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di Aaron Pettinari
Dal cellulare al trasferimento da Rebibbia, sentiti Calabria e Cosentino

E' un'estate calda quella dell'anno 1993, la notte del 27 luglio esplodono tre bombe. Una a Milano, in via Palestro, vicino al Padiglione d'Arte Contemporanea, e poco più di 40 minuti dopo a Roma saltano in aria due Fiat Uno, cariche di pentrite e T4 e piazzate in pieno centro, una davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano, l'altra a San Giorgio al Velabro. Nel capoluogo lombardo i morti sono cinque, mentre a Roma si contano 22 feriti. Nella notte successiva nel carcere di Rebibbia il boss di Altofonte Antonino Gioè venne ritrovato impiccato con i lacci delle scarpe nella cella in cui trascorreva la detenzione. Un suicidio, si dirà, ma la verità è che attorno a quella notte vi è ancora oggi un mistero che non è stato mai del tutto chiarito. In quello stesso istituto di pena vi era anche un altro detenuto eccellente: il capo dei capi, Totò Riina. Il boss corleonese, proprio in quei giorni, sarà oggetto di discussione all'interno degli uffici del Dap per un trasferimento presso altra sede (il carcere di Sollicciano a Firenze, ndr) in attesa di essere trasferito a l'Asinara, dove erano in corso i lavori di adeguamento per il 41 bis. Inoltre, sempre Riina, sarà oggetto di alcune informative dei servizi di sicurezza che davano atto di un fatto alquanto anomalo: i primi di agosto Riina era stato visto telefonare servendosi di un apparecchio cellulare messo a disposizione da quattro agenti penitenziari che hanno ammesso di aver preso 40milioni di lire a testa.
Di queste vicende si è occupato il processo trattativa Stato-mafia che si sta svolgendo davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Palermo. Se la scorsa settimana sono stati sentiti alcuni funzionari del Sisde responsabili dell'Ufficio "Roma 2", da cui sarebbe partita la nota, oggi è stata la volta dell'ex Dap Andrea Calabria e l'ex agente penitenziario Antonino Cosentino.
Quest'ultimo, oggi in pensione, nel 1993 era il responsabile del reparto G6-bis, ovvero quello in cui Totò Riina si trovava detenuto. Rispondendo alle domande dei sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera il teste ha escluso totalmente di aver mai saputo in maniera diretta dell'utilizzo di un cellulare da parte di Riina. "C'era un controllo h24 - ha detto affermando che quelle non sono altro che dicerie - non era assolutamente possibile con un controllo strettissimo. Ricordo che i colloqui Riina li faceva in una stanza accanto e non è che c'erano contatti. Io poi non avevo il cellulare, figurarsi il personale". Il teste ha anche escluso che durante quel periodo di detenzione vi possano essere stati, in sua presenza, colloqui investigativi o incontri con parlamentari, soggetti dei servizi di sicurezza o giornalisti ("Fa fede il registro. Senza il visto del direttore del carcere non entrava nessuno"). Unica discrepanza, rispetto a quando fu sentito dai magistrati per la prima volta, il dato sul quando apprese la notizia del cellulare che sarebbe stato in possesso di Riina. Oggi, infatti, ha riferito che per la prima volta gli fu detto da alcuni suoi ex colleghi del carcere di Rebibbia che gli avevano raccontato quanto veniva riportato dagli organi di stampa.

Il mancato trasferimento di Riina
Successivamente è stata la volta dell'ex Dap, Andrea Calabria. Il funzionario, già sentito nel corso del processo, ha potuto rettificare alcune dichiarazioni dello scorso ottobre in particolare in merito ai motivi che portarono il Dap a discutere del possibile trasferimento di Riina. Aiutato dai documenti rinvenuti dall'accusa e dalla difesa, in particolare dall'avvocato Basilio Milio, Calabria ha spiegato che la vicenda è totalmente svincolata dalla questione della segnalazione riservata trasmessa dal ministro dell'Interno con una nota del Capo della Polizia. La nota Sisde, infatti, fu trasmessa in data 15 novembre 1993 mentre la decisione di trasferire Riina da Roma a Firenze Solliciano, porta la data del 30 luglio del 1993 per poi essere sospesa il 3 agosto successivo dal direttore Bucalo. "Non ricordavo con precisione i documenti - ha detto intervenendo in video conferenza - ma confermo che a luglio eravamo tutti d'accordo che Riina poteva essere trasferito da Roma. Erano finite le esigenze per cui doveva stare a Rebibbia e nei documenti (uno datato 8 luglio) è lo stesso Di Maggio che ci dice di iniziare a pensare ad una nuova destinazione in attesa di l'Asinara. Poi io andai in ferie ed una volta tornato Bucalo mi riferisce che ha sospeso e revocato il provvedimento perché il dottor Di Maggio aveva mandato un suo uomo (fu mandato Nicola Fiumara che poi fece una relazione a Ragosa, ndr) a Sollicciano per un sopralluogo". Certo è che sul finire del mese Calabria non condividerà la decisione di non procedere con il trasferimento di Riina e lo fece sapere con una nota inviata allo stesso Di Maggio: "Lo feci a futura memoria. Fermo restando che anche quella sarebbe stata una sede provvisoria io non ero d'accordo perché le controindicazioni di Fiumara, prese per buone, potevano essere superate in poche settimane". Fiumara, in una relazione datata 8 agosto 1993, aveva rappresentato in particolare alcune problematiche in materia di sicurezza ed anche lo stesso carcere aveva mandato diversi fax con cui chiedeva integrazioni di personale e strumenti.
Nonostante questo, però, Calabria mise nero su bianco che il reparto M del carcere di Firenze aveva delle misure più rigorose rispetto all'istituto di detenzione di Roma. Calabria oggi ha ribadito che questo era il suo "giudizio" su quel caso. Inoltre ha confermato che i motivi di contrasto con Di Maggio andavano oltre la vicenda Riina, ma "a causa del sistema per cui non rispettava l'iter burocratico e le prassi, guardando più al risultato, senza confrontarsi con gli altri".

La nota Parisi del 1 settembre
Altro tema affrontato ha riguardato anche una nota, datata 1° settembre 1993, in cui il Capo della Polizia Parisi scriveva: "Corre l'obbligo di sottoporre all'attenzione di codesta onorevole amministrazione la Sistemazione in strutture carcerarie di massima sicurezza, Pianosa o l'Asinara, di uno degli esponenti maggiori del crimine mafioso, si sottolinea a riguardo che nell'ambito della criminalità organizzata tale provvedimento inciderebbe significativamente sul carisma che lo stesso tuttora conserva. Diversamente il boss potrebbe apparire beneficiario di un trattamento di riguardo determinato proprio dalla sua posizione di prestigio nell'ambito malavitoso. D'altra parte la permanenza del Riina per lunghi periodi a Rebibbia e l'Ucciardone per i noti processi costituiscono di per sé una posizione di rischio di tentativi di evasione anche in forma clamorosa".
Quella nota, ha confermato il teste, per 45 giorni non avrebbe trovato risposta. "Mi disse Bucalo che gli parlò della nota la dottoressa Calandrino. Arrivò in una busta che non fu subito aperta, in attesa del rientro di Di Maggio. Io di questa cosa pensai bene, a futura memoria, di fare una relazione in cui lamentavo che quella nota non fu trasmessa all'ufficio detenuti mentre ne fu messo a conoscenza l'ufficio sicurezza. Queste cose me le ha riferite Bucalo. Questo è quanto". Ugualmente vi sarebbero stati ritardi di trasmissione anche per la nota con l'informativa del Sisde su Riina ed il cellulare. Concluso l'esame il processo è stato rinviato al prossimo 6 luglio.

Foto © Shobha

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