di Aaron Pettinari
"Dell'Utri, in contatto con i servizi, disse ai Graviano dove si trovava Contorno"
Il collaboratore di giustizia catanese sentito al processo d'Appello trattativa
"Nel 1995, quando era detenuto a Pianosa, mio padre (Giuseppe Squillaci, ndr) era in cella con Vittorio Manganoe lo vedeva scrivere telegrammi a Silvio Berlusconiper essere aiutato. Mangano diceva a mio padre che Berlusconi era l'unica persona che poteva dare una mano ai mafiosi. Mio padre mi disse che questi neanche partivano, tornavano indietro e li strappavano". A parlare è Francesco Squillaci, collaboratore di giustizia catanese, sentito questa mattina al processo d'Appello trattativa Stato-mafia che si celebra davanti la Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Angelo Pellino (a latere Vittorio Anania). Un dettaglio che fino ad ora non era mai stato riferito dal pentito, come lui stesso ha ammesso mentre rispondeva alle domande del pg Giuseppe Fici (che rappresenta l'accusa assieme a Sergio Barbiera): "Queste cose non le ho dette dentro i 180 giorni, lo sto facendo adesso perché ho riflettuto sulle cose che mi disse mio padre, sul 41 bis ed altre cose importanti. Ed io ho pensato a questa come ad altre circostanze".
Santapaola, Riina e le stragi
Squillaci, autoaccusatosi di ben 14 delitti di cui mai nessuno aveva parlato prima, nel corso del suo esame ha ripercorso l'evoluzione di Cosa nostra a Catania con l'avvento dei corleonesi. Se in un primo momento i rapporti con i Santapaola, che presero il posto di Calderone, erano ottimi con tanto di "scambi di favori", poi, secondo il racconto dl pentito, divennero più difficili ai tempi delle stragi.
"Con la strage di Capaci cambia tutto - ha proseguito il teste - A Benedetto Santapaola viene proposto dai corleonesi di uccidere qualcuno delle istituzioni, qualche magistrato. Era un metterlo alla prova. Così vennero accontentati da Santapaola che decise di colpire Lizzio, uccidendo uno degli ispettori più scomodi della mobile di Catania, che dava la caccia ai latitanti anche in maniera poco ortodossa. In particolare a spingere a commettere l'omicidio fu Aldo Ercolano,il vice rappresentante di Cosa nostra. E venne dato l'ordine un mese prima dell'agguato in una riunione. Eugenio Galea, Natale Di Raimondo, Francesco Di Graziavennero da mio padre durante la latitanza. Io ero presente e mi dissero che si doveva fare".
Come un fiume in piena Squillaci, che ancora si trova in carcere per scontare l'ergastolo subìto proprio per l'omicidio dell'ispettore, ha riferito le confidenze ricevute dal genitore ma anche da capimafia come Eugenio Galea, che in vece di Benedetto Santapaola partecipò alle riunioni della Commissione regionale in cui fu deliberata la morte di Falcone e Borsellino.
"Galea è stato mio padrino e con lui ho avuto un rapporto di confidenza - ha raccontato in aula - Fu lui a raccontarmi di questa riunione a cui Santapaola non si presentò perché lui era in disaccordo con Riina sulle stragi. Era convinto che se si toccava Falcone sarebbe stata l'autodistruzione di Cosa nostra. Si vociferava che se si fosse presentato, manifestando di essere contro le stragi, possibilmente non ne sarebbe uscito vivo". Galea gli disse anche che "Riina era convinto che con la morte di Falcone lo Stato sarebbe sceso a patti con Cosa nostra, perché avevano una parte della politica che era collusa che aveva fatto delle promesse che tutto sarebbe andato 'liscio come l'olio'. Per questo Riina era sicurissimo che avrebbe vinto questa guerra con lo Stato".
Sul punto nel corso dell'esame il pentito ha anche raccontato di confidenze raccolte dal dottore Gaetano Sangiorgi che gli parlò di "politici importanti, che oggi non ci sono più, che volevano la morte di Falcone".
I fratelli Graviano, Filippo e Giuseppe
Telegrammi per B.
Rispondendo alle domande del Pg Squillaci ha raccontato le modalità con cui la sua famiglia è entrata in Cosa nostra, la latitanza vissuta assieme al padre, Giuseppe, immediatamente dopo l'omicidio Lizzio, ed i colloqui avuti anche dopo gli arresti. "Mio padre fu sottoposto a 41 bis nel maggio 1995. Da Pianosa faceva la spola per alcuni processi. In occasione di uno di questi, laddove il Presidente ci autorizzava di stare assieme in cella qualche ora, mi parlò di Mangano. Mi disse che era un grande amico di Silvio Berlusconi e che scriveva questi telegrammi. Ma non partivano, tornavano sempre indietro". Rispondendo ai difensori di Dell'Utri, Bertorotta e Centonze, Squillaci è stato ancora più specifico: "L'autorità penitenziaria proprio non li faceva partire, lui scriveva il nome del destinatario, la via, ma loro si rifiutavano. Il contenuto dei messaggi? Mio padre aiutava Mangano a scriverli perché lui ci vedeva poco. Diceva che stava male; che lo stavano facendo morire; che il 41 bis era durissimo e chiedeva aiuto per andare via da Pianosa; di mandare qualcuno per fare un'ispezione. Questi erano i temi".
Dell'Utri e quell'indicazione su Contorno
Anni dopo, quando al padre fu tolto il 41 bis, i due tornarono nuovamente a trascorrere del tempo assieme e a parlare. "In un'occasione mi raccontò di aver conosciuto i fratelli Graviano - ha aggiunto il pentito - Con loro nacque una confidenza nel momento in cui lo aiutarono in carcere in un momento difficile. Si occupavano di lui quando aveva delle necessità legate al suo stato di salute, lo accompagnavano in doccia e facevano per lui le pulizie. Mio padre mi disse che durante un colloquio avuto con loro nel carcere di Spoleto, dove si trovava tra il 1998 ed il 2000, gli dissero che avevano individuato il collaboratore Totuccio Contornoa Roma e che non erano riusciti ad ucciderlo per poco. Erano amareggiati perché avevano avuto informazioni importantissime, che lui forse aveva tentato di uccidere un loro parente. Sempre i fratelli Graviano, che si vantavano di avere una amicizia stretta, intima con Dell'Utri, dissero che sarebbe stato proprio lui che attraverso servizi segreti deviati avrebbe fatto sapere dove si trovava Contorno". Ovviamente l'ipotesi è tutta da verificare, anche perché Squillaci non ha saputo contestualizzare temporalmente quell'eventuale scambio di informazioni tra i Graviano e Dell'Utri. Su contestazione degli avvocati dell'ex senatore di Forza Italia ha solo confermato che il padre gli riferì che quelle notizie "erano arrivate da un politico importante amico dei Graviano" e che gli fu fatto il nome di Dell'Utri.
Certo è che Contorno riuscì a scampare ad un attentato, nell'aprile del 1994, avvenuto vicino alla sua villa di Formello, nella campagna romana. Ma lo storico pentito mafioso era già stato individuato qualche tempo prima. A parlarne, tra gli altri, vi era stato anche il collaboratore di giustizia di Brancaccio, Gaspare Spatuzza inserendo il tema nel dialogo che ebbe con Giuseppe Graviano al bar Doney nel gennaio 1994, quello in cui il capomafia, gioioso, gli parlò degli obiettivi raggiunti grazie a "quello di canale 5"(Berlusconi) ed il "compaesano"(Dell'Utri). “Sentendo le parole di Graviano al bar Doney io ho provato a dire se non fosse il caso di occuparci di Totuccio Contorno, (sospettato di essere il responsabile dell’omicidio di Michele Graviano, padre di Giuseppe, nonché responsabile della scomparsa di Salvatore Spatuzza, fratello di Gaspare, ndr). Lo avevamo rintracciato a Roma ma Graviano disse 'lascia stare Contorno perché l’attentato ai carabinieri (la strage dell'Olimpico, ndr) si deve fare lo stesso sia perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia sia perché per Contorno dobbiamo trovare un tipo di esplosivo diverso”.
Silvio Berlusconi e Roberto Maroni © Imagoeconomica
Decreto Biondi e legge sui pentiti
Altro tema affrontato è stato quello dell'appoggio che Cosa nostra diede a Forza Italia alle elezioni del 1994. "Tutta Cosa nostra siciliana doveva dare i suoi voti al partito di Silvio Berlusconi, Forza Italia. - ha proseguito il collaboratore - Dentro al carcere di Bicocca scoppiò un applauso alla notizia della vittoria, perché si pensava che Silvio Berlusconi sarebbe stato quello che avrebbe aiutato i detenuti cambiando quella legge. Era per noi quello che avrebbe potuto aggiustare la giustizia in Italia, facevamo il tifo per lui come allo stadio. Un primo segnale ci fu: nell'estate del '94 fu emanato un decreto legge svuota-carceri (il decreto Biondi, ndr) però prontamente bloccato dal ministro dell'Interno di allora, Roberto Maroni. Si diceva intanto che lui, Berlusconi, era la persona che doveva far arrivare benefici a tutti i mafiosi". "Per noi quel decreto fu un segnale - ha aggiunto - Poi parlando ci si rese conto che forse era presto ma poi ci furono anche altri segnali come la legge sui pentiti". Quando l'avvocato Milio (difesa Mori, ndr) gli ha fatto notare che quella legge fu un'iniziativa del governo Prodi, poi approvata dal governo Amato, il teste ha immediatamente replicato: "Ci sono stati governi che si sono scambiati il volto politico. Io non so chi ha approvato, se quello Prodi o Amato ma ci fu l'appoggio di Silvio Berlusconi e fu lui a chiedere un intervento sui 180 giorni per evitare la produzione a rate". E poi ancora: "Berlusconi ha provato a sistemare il sistema carcerario e della giustizia. I segnali arrivavano da qualche parte e se ne parlava non solo tra chi era al 41 bis, ma anche tra quelli che erano stati più fortunati ed erano in regime normale. Tutti erano favorevoli a far salire Berlusconi, tutt'oggi c'è ancora gente letteralmente innamorata di lui, di Silvio Berlusconi".
Idea dissociazione
Squillaci, che in 26 anni di detenzione non è stato mai detenuto al 41 bis, ha anche raccontato di aver conosciuto il boss Pietro Aglieri da cui ricevette alcune confidenze. Tra cui anche quella sull'ipotesi di dissociazione che fu avanzata dentro Cosa nostra "per attenuare la questione del 41 bis"."Aglieri lo disse anche a mio padre di questa volontà che si era paventata di potersi dissociare. A lui disse che aveva avuto dei colloqui con qualcuno della Dda per far cessare e ammorbidire il 41 bis facendo una dissociazione di massa di Cosa nostra. Mio padre acconsentì ma Aldo Ercolanonon digerì molto la cosa tanto che finì lì. Seppi che c'era una linea moderata, accolta da U zu Binnu Provenzano,che poteva esserci questa cosa. So - ha proseguito il collaboratore - che Pietro Aglieri era d'accordo, così pure Pippo Calò e Piddu Madonia.Tutti quelli vicini a Provenzano erano quelli che potevano dissociarsi, quelli che erano vicini a Riina invece erano in disaccordo".
Concluso l'esame del pentito catanese il processo è stato rinviato alla prossima settimana quando saranno chiamati a deporre i direttori delle carceri di Tolmezzo e Milano.
Dossier Processo trattativa Stato-Mafia
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