Cianferoni chiede la nullità del processo. Per Bagarella chiesta l’assoluzione
di Aaron Pettinari
Il processo trattativa? “E’ un non processo. Ed è frutto della faida tra servizi segreti di sinistra e di destra, tra Gianni De Gennaro e Mario Mori”. Totò Riina? “Un parafulmine anche da morto”. Il suo arresto? “Non è vero che lo ha fatto arrestare Provenzano. Ma quella di Di Maggio è una messinscena clamorosa”. Il papello? “Non esiste”. La morte di Paolo Borsellino? “Un delitto di Stato”. L’Italia? “Un Paese che vive di ricatti”.
Sono questi alcuni dei passaggi principali dell’arringa difensiva di Luca Cianferoni, storico legale di Totò Riina (deceduto lo scorso novembre) e di Leoluca Bagarella, davanti alla corte d'Assise di Palermo al processo sulla trattativa Stato-mafia.
Una vera e propria arringa “post mortem” a difesa del Capo dei capi per cui, così come per il cognato, è stata chiesta l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Un paradosso se si considera che, essendo Riina deceduto, per questi il reato è anche estinto.
Tuttavia Cianferoni ha chiesto la nullità del processo per “effetto della nullità dell’udienza del 28 ottobre 2014” quando venne esaminato al Quirinale l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano. Del resto, all’epoca, era stata proprio la difesa di Riina e Bagarella, assieme a quella dell’ex senatore Mancino, a richiedere di presenziare a quell’audizione, ma la Corte rigettò. Addirittura l’avvocato toscano ha sostenuto che “questa Corte ha tutto il materiale per mandare le carte a Caltanissetta e ricominciare il processo da capo” anche perché, a suo avviso, sarebbe la continuazione del processo per la strage di Capaci.
Rivisitazione storica
Ovviamente il legale non è d’accordo con la ricostruzione dell’accusa, che ha chiesto per Bagarella la condanna a sedici anni, per cui nel 1992, con il delitto dell’eurodeputato Salvo Lima e poi le stragi, i mafiosi “volevano vendicarsi, ma anche inviare un messaggio di ricatto al governo e alle istituzioni, Cosa nostra cercava la mediazione”. “Il discorso dell’omicidio Lima non sta in cielo né in terra” ha detto il legale che ha fatto cenno a “pressioni e forzature” che ci furono per il cambio di collegio giudicante per il maxi processo.
"C'è del marcio nel nostro paese - ha detto ancora Cianferoni - che vive sui ricatti. Si è costituto un assurdo, cioè che Riina si sia fatto arrestare. E' assurdo, per chi ha conosciuto Riina, immaginare che si sia fatto arrestare. Né avrebbe mai fatto patti con chi indossa la divisa".
Inedito Riina
Nel corso della discussione sono stati anche ricordate alcune dichiarazioni “inedite” di Riina. Parole in libertà che il Capo dei capi avrebbe detto in questi anni di processo.
“Prima di ammalarsi, Riina (descritto come un imputato eccellente ed esemplare, ndr) scriveva lettere e camminava - ha riferito rivolgendosi alla Corte - L'unico passatempo che Riina aveva era guardarsi il processo. Negli ultimi tre anni non ha avuto la possibilità di ascoltare radio o vedere la tv. Quindi l'unico passatempo era vedere il processo in videoconferenza. Inizialmente voleva fare l'abbreviato ma poi mi disse che forse in questo modo poteva danneggiare gli altri imputati”. E poi ancora: “Ricordo bene che un giorno Riina mi disse: avvocato, ma insomma, che vogliono da me? Che parlo o che sto zitto? Qua nessuno ha fatto una trattativa con Riina, anche perché se avesse trattato, non avrebbe un figlio condannato all'ergastolo, da 21 anni. E' una menzogna, ma si è voluta tenerla in piedi".
Ovviamente sono state sminuite tutte le affermazioni fatte dal Capo dei capi nei colloqui con il compagno d’ora d’aria, Alberto Lorusso così come quelle raccolte dagli agenti penitenziari (“Io non ho cercato nessuno, erano loro che cercavano me, per trattare” e “A me mi ha fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”).
“Le parole di Riina - ha detto Cianferoni - vere, non vere, se voi andate nelle carceri se ne sentono dire di tutti i tipi. Sui giudici, sui pm, sugli ispettori, sui marescialli, le mogli, le amanti. Sono esseri umani”. Giustificazioni gratuite, come se fosse normale dire di voler far fare ad un magistrato “la fine del tonno” o elogiarsi per averli “fatti salire dai palazzi e scendere come fossero formiche”.
Lorusso è stato definito dal legale come un “agente provocatore al soldo dei Servizi” in quanto “dentro le carceri vanno i servizi che hanno portato ad inquinamenti e calunnie”. Tra gli inquinamenti vi sarebbe anche il ruolo di Provenzano. “Non è vero che a far arrestare Riina è stato Provenzano - ha ribadito più volte - Ci sono due elementi che lo dimostrano. Uno lo dico (la notizia non reale che Giovanni Riina, figlio di Toto' ''u curtu'', all'entrata di Provenzano nel carcere di Terni, avrebbe esclamato: “Questo sbirro qui l'hanno portato?”, ndr) l’altra la tengo per me”.
L’arresto del Capo dei capi
Il legale si è concentrato sull’arresto del boss corleonese, avvenuto il 15 gennaio 1993 a Palermo, dopo una latitanza ventennale che la Procura aveva definito come “frutto di un compromesso vergognoso”. E se da una parte secondo il legale “è uno degli episodi meno oscuri della storia, un arresto vero di un latitante che non ha fatto accordi con nessuno”, dall’altra ne ha messo in dubbio la versione “ufficiale”, con la collaborazione di Di Maggio che è stata definita come una “messinscena”. Cianferoni ha anche parlato del papello che “non esiste” anche se “nell’ultima clausola si chiede di togliere le tasse sulla benzina, come in Svizzera. Questa clausola l’ho sempre interpretata come la firma dell’agente segreto che ha scritto questo foglio”. “Queste cose - ha aggiunto - servono per catturare Riina e non per trattarci. Il problema è arrestare il mio cliente e non farci accordi”.
Sistemi criminali
Secondo l’avvocato difensore di Riina e Bagarella, parlando del processo, “si è costruita una ipotesi per essere indagata, questo ho trovato nel processo trattativa. Insomma, non siamo di fronte a un fatto ma a una ipotesi costruita per essere indagata” e “la Procura di Palermo è caduta da quando ha ipotizzato l’inchiesta sui Sistemi criminali. Gelli, Delle Chiaie, etc., la Procura ha portato avanti fino a oggi una ipotesi fatta per autoalimentarsi, e il giudice non può consentire tutto questo. Anche da morto tocca fare a Riina da parafulmine”. Quindi ha espresso pesanti considerazioni sull’operato del gup che dispose il rinvio a giudizio, oggi componente togato del Csm, Piergiorgio Morosini: “Mi chiedo perché una persona preparata come Morosini dispose il giudizio fece 50 pagine. Me lo chiedo perché non posso pensare che non sa come si fa un decreto, perché ha fatto questo? Ecco la mia inquietudine. Qui, la partita qual è? Mi chiedo da cinque anni perché un giudice bravo come Morosini ha fatto questo? Cosa c’è dietro? Non accetto che ci sia solo politica”.
Cianferoni, rispetto alla posizione di Bagarella, ha definito lo stesso come “un soldato semplice senza compiti direttivi”. Poco importa se numerosi collaboratori di giustizia affermano il contrario. Così, ha chiesto l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”, mentre l’avvocato Anania, ugualmente legale del cognato di Riina, ha chiesto “il non doversi procedere contro Bagarella per non aver commesso il fatto”.
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