di Aaron Pettinari
“Riteniamo che il nostro assistito, Giovanni Brusca, abbia assolto fedelmente il compito del collaboratore di giustizia raccontando fatti veri e realmente accaduti pertanto, in virtù del contributo offerto, chiediamo sia applicata l'attenuante speciale prevista per i collaboratori di giustizia e la prescrizione per le accuse contestate a Brusca”. E’ con queste parole che gli avvocati Fiermonti e Provenzano, legali di Giovanni Brusca, si sono associati alle richieste dei pm al processo trattativa Stato-mafia.
Durante la loro arringa sono stati ricostruiti i vari passaggi delle dichiarazioni del loro assistito, “mai messe in discussione nei vari procedimenti”.
I due legali hanno ricostruito velocemente i fatti intercorsi tra il 1992 ed il 1994, dalla morte di Salvo Lima al fallito attentato al collaboratore di giustizia Contorno, per poi analizzare i fatti inseriti nel capo di imputazione. Brusca, infatti, assieme a Bagarella, avrebbe minacciato il Governo di Silvio Berlusconi, per il tramite di Marcello Dell’Utri e Vittorio Mangano, chiedendo interventi di varia natura, favorevoli a Cosa nostra, in materia di contrasto alla criminalità organizzata, il trattamento penitenziario e lo stato di detenzione.
Le parole riferite da Brusca vengono nuovamente passate in rassegna a cominciare dalle modalità con cui fu presa la decisione di puntare su Mangano per contattare Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi e portare avanti le richieste. “Brusca conosceva Mangano che non era solo un chiacchierone che stava nei salotti, ma un killer - ha ricordato Fiermonti - Dopo che si era consegnato Cancemi c’è Mangano al vertice del mandamento di Porta Nuova. Lui lo propone perché il padre gli aveva parlato bene di lui e al tempo i referenti erano totalmente spariti. Sicilia Libera era un progetto di carattere provinciale ed interregionale ma non c’erano contatti con politici alti, quindi si era alla ricerca di altri contatti”.
Ancora una volta è stato ricordato che il primo a parlare di trattativa non fu Brusca ma gli ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno, al processo di Firenze sulle stragi del 1993.
Così come aveva fatto il pm Francesco Del Bene durante la requisitoria Fiermonti ha parlato degli incontri tra Brusca e Mangano ed il compito che era stato dato a quest’ultimo, proprio di contattare Belrusconi. “Un riscontro viene dalle dichiarazioni in carcere di Totò Riina - hanno ribadito entrambi i legali - Riina non va considerato quando dice al Procuratore Lari che lui con la trattativa non ha nulla a che fare, ma va preso in considerazione quando parla spontaneamente senza sapere di essere intercettato". In particolare c’è l’intercettazione in carcere tra lui ed il boss pugliese Alberto Lorusso in cui il Capo dei capi faceva riferimento a Silvio Berlusconi: “Però in qualche modo mi cercava - diceva il boss - poi mi ha mandato a questo per incontrarmi e mi cercava… perché l’ho messo sotto per il fatto di Palermo… fatto cadere le antenne…”. E poi ancora continuava: “Ci siamo arrangiati gli abbiamo fatto questo ammonimento e non l’ho cercato più (…). Poi scimuniti di mio cognato e Brusca ci sono andati a parlare… non lo ha capito Bagarella che era inaffidabile?”. E poi ancora: “Mio cognato cercava Dell’Utri, ma che di dovevano dire a Dell’Utri? Ma noi altri abbiamo bisogno di Giovanni Brusca per cercare Dell’Utri? Questo Dell’Utri è una persona seria… Che c’è bisogno di Dell’Utri per farsi presentare lo stalliere?”.
“Cosa voleva dire Riina? - si è chiesto Fiermonti in aula rivolgendosi alla Corte - Che forse aveva una strada sua? Che forse c’era una strada diversa? E come faceva dal carcere Riina a sapere questa circostanza? Non aspetta a noi indagare ma c’è questa circostanza che dimostra come il contatto vi fu”.
Per i legali, inoltre, conferme vi sarebbero anche nelle dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia che non smentiscono il loro assistito. “Una cosa è smentire - ha detto Fiermonti - ed una non conoscere i fatti. Molti di questi pentiti non è automatico che fossero messi a conoscenza di certi fatti”.
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