Il figlio di don Vito rilascia anche dichiarazioni spontanee.
di Aaron Pettinari
“Non c'è mai stato dolo nel voler accusare il De Gennaro. Se mi avessero consegnato una foto di mio padre che si incontrava con il conte Vaselli, modificata a photoshop l'avrei comunque consegnata perché ero consapevole di per sé che il fatto era vero. Ed io quando ho visto quel biglietto con la scritta di mio padre nel documento agli atti del processo non ho pensato che non fosse reale”. Massimo Ciancimino, collegato in videoconferenza dal carcere in località protetta, ha voluto prendere la parola immediatamente dopo il proprio legale, Claudia La Barbera, per ribadire la propria innocenza rispetto il reato di calunnia per cui oggi è imputato al processo trattativa Stato-mafia. “Io cerco di andare avanti in questo che è il mio percorso – ha aggiunto il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo – fino ad oggi non ho avuto né sconti né agevolazioni da qualsiasi procura. Da 13 mesi sono in carcere nella sezione collaboratori di giustizia senza che io abbia capito il mio ruolo in questo processo”.
Nei suoi confronti la procura di Palermo ha chiesto la condanna a cinque anni per il reato di calunnia mentre ha chiesto di dichiarare prescritto il reato di concorso in associazione mafiosa in quanto tale condotta sarebbe cessata con la cattura del boss Riina. Pur riconoscendo l'onestà intellettuale dell'accusa nel mettere in evidenza i contorni della figura del proprio assistito (il pm Di Matteo nella requisitoria aveva evidenziato come il “suo contributo non è 'oro colato' ma neppure da cestinare pregiudizialmente” secondo la difesa di Ciancimino jr non è corretto dire che lo stesso sia rimasto “a metà del guado”.
“Ciancimino – ha continuato la legale – ha sempre dichiarato di aver preso la scelta di parlare affinché suo figlio fosse orgogliorso di lui, per far sì che non pensasse quel che lui aveva pensato di suo padre. Lui è una persona unica nel suo genere visto che, senza aspirare ad alcun vantaggio, ha deciso dieci anni fa di rispondere ai pm laddove la normalità è stata il silenzio. E l'abbiamo visto anche da parte di soggetti più titolati di Massimo Ciancimino, rimasto un soggetto dal cognome scomodo ma è un dichiarante, un imputato, un figlio, un padre ed un uomo. Aspetti che vanno considerati”.
La Barbera ha evidenziato come lo stesso figlio di don Vito avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere a tutte le domande dei magistrati quando è stato indagato e poi imputato per concorso esterno “ma non lo ha fatto”.
Le dichiarazioni su De Gennaro
Secondo la difesa Ciancimino questi non ha parlato di Gianni De Gennaro la prima volta nel 2010, ma già nel marzo 2009, davanti alla Procura di Caltanissetta. “Ciancimino quando parla di De Gennaro lo fa nell'ambito di quello che suo padre aveva definito il quarto livello, il grande architetto, gli uomini pericolosi tra cui il padre inseriva proprio l'ex prefetto. Ha riferito dei rapporti con il conte Romolo Vaselli, intimo amico e socio occulto del padre Vito. Rapporti che lo stesso De Gennaro ha confermato in aula all'udienza preliminare”.
Se per la difesa di De Gennaro vi sarebbe un “disegno calunnioso dell’imputato” che precede la consegna materiale del fogliettino alla Procura di Palermo e che passa anche attraverso la pubblicazione del libro “Don Vito”, scritto a quattro mani assieme al giornalista Francesco La Licata, secondo i legali del figlio dell'ex sindaco di Palermo non c'è alcun doppio fine nelle sue dichiarazioni.
Durante la propria arringa difensiva più volte è stato evidenziato come lo stesso De Gennaro non sia stato interrogato dalle Procure, nonostante gli elementi che venivano riferiti da Ciancimino e che andavano oltre il documento contraffatto (“Ciancimino ci ha riferito quella che era l'idea del padre e sapeva benissimo a cosa andava incontro. Ci ha detto che soprannominava De Gennaro come il superpoliziotto, e che forniva informazioni importanti per mettere in salvo il patrimonio tramite il rapporto con Vaselli”).
Ancora una volta sono stati ricordati i riscontri forniti dai fratelli di Ciancimino, Roberto e Giovanni, nel corso del processo e delle indagini ed ugualmente si è ricordato come Ciancimino jr non avesse gli obblighi dei collaboratori di giustizia “che devono vuotare il sacco in 180 giorni in base al contratto con lo Stato. Invece, con le sue dichiarazioni ha sempre rischiato di aggravare la sua posizione”.
Le paure di Ciancimino
Nell'arringa non sono mancati i riferimenti alle condanne già ricevute da Ciancimino, sia per la detenzione di esplosivo che per la calunnia a De Gennaro e Narracci e quella per calunnia nei confronti di Rosario Piraino.
“Secondo la Procura di Palermo oggi Massimo Ciancimino nuovamente andrebbe condannato – ha detto La Barbera – perché non ha trovato il coraggio di parlare dei rapporti del padre con i servizi segreti. La Procura ha evidenziato come non sia mai stato identificato il signor Franco. Ma se può essere plausibile che di questo soggetto non ha mai conosciuto l'effettiva identità, non è logicamente sostenibile che Massimo Ciancimino non conosca Rosselli-Rossetti ovvero il soggetto che gli ha consegnato i documenti. Quindi ha parlato di suicidio processuale. Ma questo è un termine eccessivo. La realtà è che Massimo Ciancimino ha avuto paura delle conseguenze ulteriori che sarebbero potuto verificarsi se avesse fatto ulteriori nomi”.
Nel proseguo del suo intervento La Barbera ha ricordato le enormi pressioni che vi erano attorno alla figura di Ciancimino, compreso lo scontro tra le Procure di Palermo e Caltanissetta sulla gestione dello stesso. Ha dunque ricordato anche le fibrillazioni istituzionali che si sono verificate nel susseguirsi delle sue dichiarazioni ai pm, come quelle al Copasir come emerso dall'intercettazione tra l'ex prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro ed il giornalista Luigi Bisignani.
Dunque sono state ricordate le varie intimidazioni subite, su tutte la busta con il proiettile e la foto del figlio.
“Lui è stato un vero e proprio sacco da boxe tra minacce, accuse, attacchi mediatici, avvisi di garanzia ed impossibilità a lavorare a causa dell'applicazione delle misure restrittive - ha ribadito l'avvocato La Barbera - Numerosi collaboratori e dichiaranti hanno avuto paura nel loro percorso - ha proseguito La Barbera - personaggi come Pino Lipari e Monticciolo, anche lo stesso Buscetta solo dopo la morte di Falcone ha parlato del terzo livello. Gaetano Grado in questo processo ha detto di non voler parlare di Servizi segreti e di avere paura di parlare della politica. Perché dunque Ciancimino non può aver avuto paura?”
Induzione Rosselli-Rossetti
In particolare la difesa si è concentrata sul ruolo di Rosselli-Rossetti, ovvero il soggetto che avrebbe consegnato a Ciancimino jr il documento contraffatto in cui compare il nome di Gianni De Gennaro per cui oggi si trova sotto accusa. “Rossetti è stato bravo - ha detto la legale - ha tenuto in pugno Ciancimino, piegandolo psicologicamente. Ciancimino si è sempre assunto la responsabilità di ogni sua dichiarazione anche quando ha ammesso di sapere che quel foglio non era stato scritto da suo padre davanti i suoi occhi. E' sempre andato avanti e in questo processo ha risposto alle domande per 18 udienze. E' vero si è anche fermato (nel corso del dibattimento solo in un'occasione si è trincerato dietro il silenzio) ma più su nostro input che per sua volontà. E per lui è anche stata vissuta con sofferenza".
“Rossetti - ha proseguito - si è accreditato raccontando episodi di vita personale di Ciancimino, confidenze fatte da Vito Ciancimino. Quindi Massimo riteneva che quel soggetto davvero fosse vicino al padre. Ma mai avrebbe potuto immaginare che gli avrebbe consegnato una polpetta avvelenata”. A sostegno dell'innocenza del proprio assistito il legale ha anche ricordato come proprio Ciancimino abbia consegnato anche il documento di comparazione che gli è poi valsa la calunnia. “Se avesse voluto calunniare qualcuno non vi sarebbe stata questa sovraproduzione di documenti – ha aggiunto – Inoltre lui conosceva le considerazioni del padre su De Gennaro e rispetto a quel foglio è stato indotto a credere che il padre lo avrebbe veramente scritto o davanti a Rossetti o anche in un secondo momento. Inoltre, come detto dal pm, quei documenti vengono consegnati in maniera spontanea senza alcuna logica di necessità o di semplice opportunità in quanto lui sapeva che tutti i documenti venivano consegnati alla polizia scientifica per le analisi. Se non vi è il timore di consegnare i documenti, compreso quello di comparazione, non è certo per una distrazione ma perché lui non ha falsificato materialmente il documento e si è fidato di Rossetti”.
Secondo la difesa, dunque, “non vi è la prova del dolo commesso da Massimo Ciancimino nemmeno a titolo di concorso”. “Noi - ha concluso La Barbera - riteniamo che Rossetti ha circuito Massimo Ciancimino e lo ha indotto all'errore sul fatto che i documenti dallo stesso consegnati fossero autentici e che provenissero dal padre. Pertanto chiediamo l'assoluzione di Massimo Ciancimino dal reato di calunnia e qualora fosse ritenuto colpevole chiediamo in subordine il riconoscimento delle attenuanti generiche”.
In foto: Massimo Ciancimino durante un'udienza presso l'aula bunker del carcere dell'Ucciardone di Palermo © Ansa
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