di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Unico settore di intervento era il carcerario”
“Qualcuno nelle istituzioni ha condiviso il dialogo informale con la mafia” e “l’unico settore nel quale si poteva intervenire immediatamente con una discreta previsione di esito positivo era il carcerario”. Così il sostituto procuratore di Palermo, Vittorio Teresi ha introdotto il tema del contrasto al 41 bis, il regime carcerario duro che era stato applicato immediatamente dopo la strage di via d’Amelio nel luglio 1992. Secondo l’accusa nel 1993 “gli impegni tra i carabinieri e Cosa nostra erano già stati assunti e si doveva passare alla fase esecutiva. Ma alcune richieste, come quella di natura legislativa sui pentiti e sulla confisca dei beni o quelle di natura giudiziaria come la revisione dei processi, erano irricevibili. Nessuno poteva garantire che quelle richieste sarebbero state soddisfatte”. Diversamente si poteva intervenire sul carcerario.
Ad avere competenza in materia di 41 bis erano in particolare l’ufficio politico amministrativo del ministero della Giustizia ed il Dap. “Per soddisfare la mafia - ha detto con forza il pm - è bastato cambiare quattro uomini. E si è intervenuto mediante l’azione di stravolgimento dei vertici del ministero e del Dap”. Secondo la Procura, attori di questo sconvolgimento sarebbero l’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso e gli ex vertici del Dap Adalberto Capriotti e Francesco Di Maggio. “Tra questi - ha aggiunto Teresi - cambia il grado di consapevolezza. Massima per Scalfaro e Di Maggio, in misura minore per Conso e Capriotti, utili scriba per indicibili accordi”.
Dal terrore al segnale di debolezza
“Le stragi - ha proseguito Teresi rivolgendosi alla Corte - hanno terrorizzato questi esponenti istituzionali che hanno dato segnali di debolezza. La mafia, forte della consapevolezza di uomini dello Stato che si erano fatti sotto hanno rilanciato. La paura e l’incompetenza hanno portato questi rappresentanti istituzionali a piegarsi al ricatto mafioso e al primo segnale di cedimento si realizza il delitto in contestazione. I rappresentanti istituzionali che hanno aderito al patto lo hanno fatto per debolezza che in cambio di qualche concessione potesse far cessare le bombe. Ma così non è stato. Quelle concessioni hanno portato alla tracotanza ed alla ripresa del terrorismo mafioso. La mafia infatti ha rilanciato con le bombe. Circostanza che doveva essere prevedibile da parte di investigatori come i carabinieri del Ros che vantavano una esperienza in tema di lotta alla mafia”.
Nel 1992 c’era un progetto di attentato nei confronti di Piero Grasso e nell’ottobre del 1992 un proiettile era stato rinvenuto nel giardino di Boboli, a Firenze. Poi, nel febbraio del 1993, venne ucciso l’ispettore Campanello del carcere di Poggio Reale. Un episodio a cui lo Stato reagì con fermezza. Teresi ha ricordato in merito la testimonianza dell’ex direttore del Dap Nicolò Amato: “Proposi a Martelli di applicare il 41 bis a Poggio Reale e Secondigliano perché quell’omicidio aveva una genesi camorristica. Martelli emanò il decreto di 41 bis il 9 febbaio. L’11 febbraio, però, Martelli si dimette e viene nominato Conso e il prefetto di Napoli ha mandato una serie di fax nelle quale lamentava che il 41 bis dava tensione… c’erano anche le accuse dei familiari che parlavano delle vessazioni nei confronti dei detenuti. Quando ho visto questi fax sono rimasto contrariato… il prefetto non aveva diritto di immischiarsi… ma il ministro della Giustizia decise di accogliere la richiesta del prefetto di Napoli e 12 giorni dopo Conso revocò il decreto Martelli…”. Rispetto a quell’azione decisa dal ministro della Giustizia Amato aveva anche ricordato che Conso gli chiese di far avere il decreto anche a Mancino.
L’ex ministro degli Interni, oggi imputato al processo per falsa testimonianza, secondo quanto riferito da Amato veniva interpellato spesso (“Quando si trattava di applicare il 41 bis era prassi che Conso si preoccupasse che Mancino fosse d’accordo… (…) Conso chiedeva il permesso”).
Pressioni e minacce
Teresi ha anche ricordato che il 17 febbraio del 1993 vi è una lettera dei parenti dei detenuti del carcere di Poggio Reale in cui si chiede “che tutto torni alla normalità” indicando che “la vera Bosnia è qua” e che di quella stessa data è una lettera anonima
indirizzata a Scalfaro, al Papa da sedicenti familiari dei detenuti. Una lettera in cui si chiede anche di togliere Amato dal Dap.
“Il 21 febbraio Conso revoca il decreto dei 41 bis per il carcere di Poggio Reale - ha sottolineato Teresi - Se io fossi stato un familiare dell’agente Campanello avrei chiesto conto e ragione a Conso del perché bisognava dare un segnale di distensione 12 giorni dopo l’omicidio. A chi devi dare quel segnale? Non si può non spendere una parola su una scelta così importate da parte della politica. Martelli il 10 febbraio si dimette. E’ noto che Conso non avesse esperienza, figura di uomo mite dedito alla ricerca, agli studi, la sua nomina alla giustizia destò sorpresa in quel periodo.La nomina coincide con la fibrillazione ed il clima non tranquillizzante”. Secondo l’accusa “Questi strumenti di pressione hanno una regia comune. Arrivano le minacce dalla falange armata con i primi comunicati che erano del ‘91 a firma falange armata carceraria. E’ stata sottovalutata”.
Quelle rivendicazioni proseguirono per tutto il 1992 e arrivò anche una lettera di minaccia nei confronti del direttore Amato.
Il documento del 6 marzo 1993
Nel corso della requisitoria Teresi ha fatto anche riferimento alla relazione del 6 marzo del Dap in cui Amato scriveva che “nel corso del comitato di ordine e sicurezza del mese prima Parisi e Mancino avevano espresso riserve sull’eccessiva durezza del 41 bis e dal ministro erano arrivate richieste di revoca per i detenuti di Secodigliano e Poggio Reale”. In quel documento Amato cerca di affrontare il tema del 41 bis con una pianificazione razionale e fuori dall’emergenza. Un documento che conteneva anche proposte come la videoconferenza per i processi con detenuti al 41 bis o la videoregistrazione dei colloqui con i familiari. Interventi che verranno applicati soltanto anni dopo. Secondo l’accusa si è tentato di “banalizzare le dichiarazioni di Amato che è invece uomo delle istituzioni che affronta tutti i profili del regime differenziato per l’efficacia dello strumento e dei diritti dei detenuti”. Nonostante questo profilo Amato verrà rimosso in maniera improvvisa, dopo 11 anni, senza alcuna reale motivazione. Per i pm rappresenta “un segnale verso le organizzazioni mafiose di resa, travestito dal fatto di portare serenità e normalità”.
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