Dalle circolari di Parisi all'allarme di Scotti
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“C’era una piena percezione istituzionale della strategia dietro l’omicidio Lima”. Roberto Tartaglia, nel proseguire la discussione in questo primo giorno di requisitoria davanti alla Corte d’assise di Palermo ha ricordato una serie di considerazioni che immediatamente dopo la morte del politico siciliano vennero effettuate a livello istituzionale.
“Martelli - ha ricordato il pm - ha riferito che sentì Falcone subito dopo l’omicidio Lima (in foto) e che questi disse: ‘Ora succederà di tutto, perché si è rotto un equilibrio’. Una lucidità, quella di Falcone, che si spinge molto più avanti. Alla deposizione della Ferraro quest’ultima ha detto che Falcone la chiama poche ore dopo l’omicidio Lima, mentre si trova negli Stati Uniti, e le dice: ‘se puoi torna subito perché ora ci sarà un’escalation inevitabile’. Quando le abbiamo chiesto a cosa pensava Falcone dopo Lima ci ha risposto che almeno Falcone fece un nome che era quello di Mannino, come il primo della lista dei designati dopo Lima”. Anche De Mita, in quel momento vertice del potere politico democristiano è stato sentito nel corso del processo. “Dopo omicidio Lima Falcone chiede di parlarmi - aveva dichiarato nella sua deposizione - in macchina da solo il 15 marzo Falcone dice: Ora preparatevi perché la mafia dopo la sentenza della cassazione eleverà lo scontro della mafia allo Stato”. Alla domanda rivolta a Falcone sul perché non scriveva di questi temi il magistrato rispose che in quel momento “queste cose non passano”.
L'ex ministro degli Interni, Vincenzo Scotti
Le circolari di Parisi e l’allarme di Scotti
Che vi fosse la consapevolezza di fibrillazioni in seno a Cosa nostra in seguito alla sentenza del Maxiprocesso è dimostrato da una serie di documenti e circolari antecedenti al 31 marzo 1992. Addirittura 12 quelle a firma dell’allora Capo della Polizia Parisi e di altri. “In quei documenti - ha ricordato Tartaglia - si parlava di rischio di destabilizzazione e i nomi dei soggetti a rischio inseriti in quelle circolari sono Andreotti, Vizzini e Mannino. Gli stessi nomi che vengono dai pentiti o da Falcone quando parla con la Ferraro”. Anche quattro giorni dopo la morte di Lima c’è una circolare in cui si parla di “luttuosi episodi in riferimento alle minacce a Vizzini e Mannino”. In quella stessa circolare del 16 marzo si fa riferimento all’utilizzo di tecniche di disinformazione con “messaggi intimidatori, telefonate e lettere apocrife per generare atti di protesta”. Poi la circolare termina con una frase che non è di poco conto: “l’omicidio appena consumato fa affiorare fondati indizi alla pretesa di interrompere la linea della fermezza statuale…”. “C’è già quasi tutto in questa circolare - ha ribadito Tartaglia - L’alternativa era solo una: mediare, cercare un compromesso”. Parlando della genesi della circolare il pm ha evidenziato le dichiarazioni del ministro degli Interni di allora, Vincenzo Scotti, che prese le stesse con particolare serietà tanto che il 17 marzo 1992, andò in Parlamento effettuando un’esternazione pubblica. “Scotti - ha ricordato il sostituto procuratore - pone alcuni punti fermi. Per la prima volta dice quello che tutti, da Cosa nostra alle istituzioni, avevano capito. Si trattava di un omicidio eversivo per ‘cospargere il terreno della lotta con cadaveri eccellenti con le tecniche degli eversivi’. Scotti aggiunge chiaramente che ‘dopo questo omicidio siamo in presenza di un fenomeno che mira a piegare gli apparati ai propri fini’. Dunque il Parlamento sa che il significato di quell’omicidio potrebbe essere questo. Scotti prospetta il rischio elevatissimo che continuando con la linea della fermezza ci sarebbero stati altri omicidi politici”. L’accusa evidenzia poi un altro passaggio chiave del discorso di Scotti. Quella in cui disse che “né si può sfuggire a questo problema (attentati) coltivando l’illusione che basta cambiare un ministro dell’Interno per risolvere una questione così complessa”.
In quell’audizione l’ex ministro pose anche un’alternativa politica ed etica che vale la pena ricordare: “A questo punto le strade sono due o uno scontro a 360° contro la criminalità organizzata con le armi del diritto che si potrà raggiungere tutti assieme solo se si saprà reggere costi molto alti, umani e politici. Oppure accontentarsi della pax mafiosa, con un atteggiamento di connivenza che certamente provocherà nell’immediato meno violenza, ma che porterà allo sfaldamento e alla dissoluzione politica, morale ed etica. ... Allora dobbiamo essere pronti a scegliere la prima strada”.
Parole dure che Tartaglia ha voluto ripetere in aula quest’oggi. “Noi - ha ribadito - chiediamo questo agli imprenditori. Di denunciare e non trattare. Ed è il minimo che possiamo chiedere quando c’era chi trattata sotto banco mentre gli altri morivano”.
Ma in quel momento storico c’erano anche altre circolari, provenienti dai carabinieri che confermavano il clima di opposizione di Cosa nostra allo Stato con le intimidazioni contro politici. In quel contesto venivano indicate anche le possibili “prossime vittime”: Salvo Andò e Calogero Mannino.
L'ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli
Tra vendetta e Falange armata
E che i mafiosi avevano obiettivi politici viene riferito anche da diversi collaboratori di giustizia. Giuffré ha spiegato che “bisognava partire da Lima perché era l’ambasciatore di Cosa nostra a Palermo per Andreotti come lo era stato Mannino per Agrigento”. E sempre Giuffré aveva spiegato che quella morte serviva “per insegnarlo a tanti altri, era un segnale da dare”. “Il pentito Giovan Battista Ferrante - ha proseguito Tartaglia - ha raccontato che dopo Lima ‘altri avevano iniziato a occuparsi di altri politici: Vizzini, Purpura e Mannino”.
Di quest’ultimo hanno parlato anche Totò Cancemi e lo stesso Totò Riina aveva fatto dei commenti con Lorusso il giorno immediatamente successivo all’audizione di Onorato al processo trattativa. Il pentito Galliano racconta dei pedinamenti che erano iniziati nei confronti di Vizzini, mentre Brusca ha raccontato di essersi mosso per far pedinare Martelli. “Ad un certo punto, però, salta tutto - ha detto Tartaglia - Su questo calendario di nomi, se eccettuiamo il nome di Falcone, si è in presenza di obiettivi di politici siciliani e vertici nazionali. In quasi nessuno dei verbali c’è il nome di Borsellino, in nessuno di quei verbali c’è il nome di Grasso e in nessuno di questi verbali ci sono quegli attentati di Firenze, Milano e Roma. Quelli serviranno quando servirà far crescere la pressione sulle istituzioni”.
Sempre il pm ha evidenziato alla corte come con l’omicidio di Lima “avviene la rottura traumatica dei rapporti tra mafia e politica” e che in quell’occasione, “per la prima volta in Sicilia c’è un messaggio di rivendicazione della Falange Armata (sigla usata per la rivendicazione di diversi omicidi e delitti) con parole che torneranno identiche nella seconda telefonata: ‘la FA se ne assume la paternità politica e morale’”.
Il vecchio con il nuovo
“In quel momento - ha evidenziato il pm - si era capito che ci voleva la sostituzione del vecchio col nuovo. I nomi da eliminare che erano stati designati nella riunione di Natale sono gli stessi presenti nelle circolari istituzionali. Poi Brusca racconta di aver incontrato Riina dopo l’omicidio Lima e che questi gli disse che non era ancora contento per poi aggiungere: ‘si sono fatti avanti alcuni soggetti politici’. E fa tre nomi Ciancimino, Bossi e Dell’Utri. Su questo torneremo più avanti”.
Dossier Processo trattativa Stato-Mafia
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