di Miriam Cuccu
È il giorno della requisitoria dei pm
Dal 2013 la Corte d’Assise di Palermo ha passato sotto la stessa lente di ingrandimento una lunga lista di testimoni, dichiarazioni, carteggi e conversazioni registrate di pentiti, mafiosi, e rappresentanti della istituzioni. Si va dalla deposizione “eccellente” dell’ex presidente Napolitano (le stragi furono un “ricatto a scopo destabilizzante di tutto il sistema”) agli “strali” di Totò Riina, passando per le agende di Ciampi sul rischio di un colpo di Stato durante le stragi del luglio ’93, e le parole intercettate in carcere di Giuseppe Graviano “cortesia” chiesta da “Berlusca”. Tutti elementi confluiti nel processo trattativa Stato-mafia, oggi giunto alla sua fase conclusiva. Salvo imprevisti il Presidente Alfredo Montalto chiuderà l’istruttoria dibattimentale dopodiché avrà luogo la requisitoria della pubblica accusa con gli interventi dei magistrati Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Sebbene di trattativa si parli, già la memoria depositata nel 2012, al termine dell’indagine condotta anche da Antonio Ingroia, sottolineava che “nessuno è imputato per il solo fatto di aver trattato”. A fare da “autori immediati del delitto principale”, quello di minaccia ad un Corpo Politico dello Stato, ci sono infatti i boss Giovanni Brusca - oggi collaboratore di giustizia - Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, il “postino” del papello, insieme a Totò Riina e Bernardo Provenzano. La posizione di Binnu u’ tratturi era già stata stralciata per le gravi condizioni di salute, che portarono al suo decesso nel luglio 2016. Quanto a Riina, morto il mese scorso nell’ospedale di Parma, la Procura di Palermo ha già anticipato che al termine della requisitoria chiederà alla Corte d’Assise di dichiarare il “non doversi procedere per morte del reo”. Durante l’udienza, però, i pubblici ministeri considereranno ugualmente “i fatti che riguardano direttamente Riina”.
Tra le fila degli ex politici, ad essere accusati di “aver fornito un consapevole contributo alla realizzazione della minaccia” in qualità di “consapevoli mediatori” sono gli ex ufficiali dei Carabinieri Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, insieme agli ex politici Calogero Mannino - assolto in primo grado con il rito abbreviato - e Marcello Dell’Utri, già in carcere per concorso esterno. Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo don Vito, è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa per aver fatto da tramite fra il padre e Bernardo Provenzano. Infine Giovanni Conso e Nicola Mancino, rispettivamente ex ministro della giustizia ed ex ministro dell'interno, sono “colpevoli di una grave e consapevole reticenza”.
Nel corso dell’udienza il presidente Montalto dovrà anche decidere se acquisire o meno i sei documenti della Fondazione Spadolini, richiesti dalla pubblica accusa in quanto da questi si evincerebbe lo stato di minaccia e preoccupazione vissuto a livello istituzionale tra il ‘92 e il ‘93.
La sentenza, prevista per la prossima primavera, chiude tre anni e mezzo di udienze celebrate sotto il fuoco incrociato di critiche e tentativi di delegittimazione provenienti da più parti, a cominciare dal conflitto di attribuzione sollevato dallo stesso Napolitano contro la Procura di Palermo, e dal tentativo di trasferire il processo lontano da Palermo e dai magistrati del pool da parte di Mori. Proprio sul passato dell’ex generale dei Carabinieri al Sid (Servizio Informazioni Difesa) i legali di Mori e De Donno avevano presentato un esposto in cui si chiedeva conto delle indagini. Anche le minacce contro i magistrati del processo, e in particolare contro Di Matteo (destinatario di una vera e propria condanna a morte da parte del capo di Cosa Nostra), sono finite nel tritacarne della stampa e fatte passare per un tentativo di rilegittimare il dibattimento, a uso e consumo di una maggiore “copertura mediatica”. Nel frattempo, però, i rischi corsi dal pool trattativa continuavano, e continuano, ad essere alti. Forse perché con questo processo - e l’inchiesta che, parallelamente, prosegue - ad essere passati sotto il setaccio sono quegli “indicibili accordi” che servirono per traghettare il Paese dalla prima alla seconda Repubblica a suon di bombe e patti tra Stato e mafia. Proprio la prima udienza del “Trattativa” fu inaugurato con una lettera anonima recapitata a Di Matteo: “Attenzione a quando parli, alle auto su cui viaggi, al telefono cellulare. È come se avessi vicino a te una microspia”. Del resto, anche il pentito Vito Galatolo aveva riferito, non molto tempo fa, che il pm di Palermo “si è spinto troppo oltre”, magari toccando quei fili ad alta tensione che dovevano rimanere sepolti insieme a molti altri segreti di Stato.
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