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riina salvatore c al jazeeradi Aaron Pettinari
Il generale Cancellieri: “Il giorno dell'arresto del capomafia dichiarazioni concordate col Ros”

Dopo aver fatto sobbalzare sulla sedia mezza Italia per aver espresso la propria volontà a farsi interrogare dai magistrati al processo trattativa Stato-mafia, Totò Riina torna sui suoi passi e, intervenuto in video collegamento dal carcere di Parma, ha revocato il consenso in via ufficiale. “Sto male, ho avuto la febbre”, ha detto in poche parole per motivare il dietrofront. Il Presidente Alfredo Montalto ha quindi interpellato anche gli altri imputati (esclusi Massimo Ciancimino e il pentito Giovanni Brusca, già auditi in dibattimento). Da Mario Mori a Giuseppe De Donno, da Antonio Subranni a Marcello Dell'Utri, come da copione, hanno tutti negato il consenso a sottoporsi all'esame. La stessa linea seguita anche dai boss. Antonino Cinà aveva già manifestato il proprio “No” alla scorsa udienza mentre Leoluca Bagarella oggi ha ribadito: “Al momento non ho niente da dire. Quando ho avuto da dire l'ho scritto”.
Bagarella è il boss della lettera-proclama con cui, nel 2002, richiamò i politici per la durezza delle misure adottate contro i mafiosi, ovvero il 41 bis (regime carcerario cui sono sottoposti gli imputati di mafia). E', però, più probabile che oggi il cognato di Riina abbia fatto riferimento a lettere più recenti, come quella inviata al gup Piergiorgio Morosini proprio nei primi momenti del processo trattativa Stato-mafia. Una lettera in cui si sentiva “leso” dall’accostamento del proprio nome a quello di chi fa politica.

Cancellieri, la trattativa e le dichiarazioni concordate
L'udienza odierna non verrà ricordata solo per il diniego di Riina e degli altri imputati. Si è tenuto infatti l'esame del generale di Brigata Giorgio Cancellieri, teste dell'avvocato Milio, chiamato a testimoniare sui contenuti della conferenza stampa che si tenne il 15 gennaio 1993, giorno dell'arresto di Riina. E' in quell'occasione, infatti, che Cancellieri arriva ad usare il termine “trattativa”: “A lui (Riina) sono riconducibili tutta una serie di gravissimi e reiterati episodi di criminalità nell’Isola, nell’intera Nazione e anche fuori del territorio dello Stato. Fenomeni che hanno aggredito nei gangli vitali la popolazione, il cittadino comune, qualsivoglia attività produttiva, con attacchi ripetuti contro le istituzioni statali. E questo in un piano anche, chiamiamolo in termini militari, strategico, che addirittura potrebbe avere dell’inaudito e dell’assurdo, di mettere in discussione le autorità istituzionali. Quasi a barattare, a istituire una trattativa per la liquidazione di un’intera epoca di assassinii, di lutti, di stragi in tutti i settori della vita civile nazionale”.
Così l'ex comandante dei Carabineri Regione carabinieri Sicilia ha ricordato quel che avvenne in quella giornata frenetica: “Venne il generale Mori in ufficio dicendomi: 'ho una buona notizia, nella sua caserma c'è in manette Totò Riina'. Immediatamente iniziammo i preparativi per la conferenza stampa che avrebbe avuto una risonanza mondiale. Quelle dichiarazioni erano concordate su spunti da parte del Ros. C'era Mori, ricordo anche Subranni. Ricordo che avevo questi fogli con gli appunti”.
Su come è venuto in possesso di questi appunti, però, il ricordo del generale è stato piuttosto confuso. In un primo momento ha dichiarato che a darglieli era stato lo stesso Mario Mori, poi ha detto che quelli erano suoi appunti redatti “dopo aver parlato con Mori e Subranni. Chiedemmo anche al Comando generale se a quella conferenza stampa avessero dovuto parlare gli ufficiali del Ros, che avevano preceduto all'arresto, o il Comandante territoriale che era simbolo dell'arma nel contesto siciliano. Fu deciso che a parlare dovevo essere io e concordammo il filo conduttore delle dichiarazioni che avrei dovuto fare. Io ricordo questi due fogli. Sull'arresto di Riina c'era da stare attenti a non dire qualche parola sulla modalità di arresto e su altre attività e venne fuori questo scritto”. “Quei foglietti li avevo sotto - ha poi ribadito a domanda del pm Antonino Di Matteo (presente in aula assieme a Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia) - io me li ero letti e riletti, mi ero preparato ed avevo memorizzato quel che dovevo dire”.
Il teste ha poi dichiarato che in quel momento non pensò al significato di certe parole come “trattativa” e nessuno, né in quel momento né dopo, tra magistrati, investigatori e giornalisti gli chiese cosa avesse voluto dire.
“Questa frase che ho letto - ha detto - mi sorprendono come significato oggi, alla luce di quel che stiamo vedendo del processo, ma in quella circostanza... Quella era una stagione in cui c'erano state le due stragi dei due magistrati. Io assunsi il comando il giorno prima dell'omicidio dell'imprenditore Libero Grassi e subito ci si rese conto di quella che era l'atmosfera che c'era. Poi ci fu la morte dell'onorevole Lima, quindi un crescendo fino al giorno dell'arresto di Riina”. Tuttavia il generale ha dichiarato di non aver mai saputo nulla degli incontri tra Mori, De Donno e Vito Ciancimino salvo che, successivamente, dopo gli interrogatori del marzo 1993, con i fatti che leggeva tramite i giornali.
Il processo è poi proseguito con il controesame del collaboratore di giustizia Giuseppe Di Giacomo quindi è stato rinviato a domani quando sarà il giorno delle dichiarazioni spontanee dell'ex ministro degli Interni Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza.

Foto © Al Jazeera

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