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riina lorusso dambrosio mancino 610di Francesca Mondin e Miriam Cuccu
Prosegue l’esame di Salvatore Bonferraro

I dialoghi intercettati tra Totò Riina e Alberto Lorusso, il mancato arresto di Nitto Santapaola, le telefonate tra Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio. Sono solo alcune delle attività investigative di cui si è occupato Salvatore Bonferraro, commissario di Polizia in servizio al centro Dia di Palermo dal ’92. Al processo trattativa Stato-mafia è proseguita la deposizione del teste, che si è concentrata sulle delicate indagini da lui condotte corredate di anomalie riscontrate ed episodi mai del tutto spiegati.










Quel video Rai interrotto sulla parola trattativa
Lo scorso settembre al processo trattativa Stato-mafia veniva ascoltato l’audio della conferenza stampa sull’arresto di Totò Riina, dove il generale Giorgio Cancellieri, in riferimento agli attacchi sanguinari di Cosa Nostra, parlava di “fenomeni che hanno aggredito nei gangli vitali la popolazione, il cittadino comune, qualsivoglia attività produttiva, con attacchi ripetuti contro le istituzioni statali. E questo in un piano anche, chiamiamolo in termini militare-strategici, addirittura potrebbe avere dell’inaudito e dell’assurdo, di mettere in discussione l’autorità istituzionale. Quasi a barattare, a istituire una trattativa per la liquidazione di una intera epoca di assassini, di lutti, di stragi in tutti i settori della vita civile nazionale”. Oggi, il sostituto commissario di Polizia Salvatore Bonferraro, che si occupò degli accertamenti sulle registrazioni di quella conferenza stampa, in aula ha raccontato di una interruzione scoperta nelle registrazioni integrali della Rai dove manca totalmente la frase in riferimento alla trattativa. Nel grezzo dell’emittente televisiva, ha spiegato il teste, “c’è un taglio immagine quando il generale Cancellieri dice: ‘Quasi a barattare a istituire una…’. Si sente solo la lettera “t” e poi salta la parola trattativa e tutto il resto, il video riprende successivamente con altri argomenti”. Un fatto anomalo, come altrettanto strano appare che nessuna agenzia di stampa all’epoca riportò quelle parole del Generale Cancellieri.










Telefonate Mancino-D’Ambrosio
Bonferraro si è occupato anche degli accertamenti sulle intercettazioni telefoniche, captate tra il 2011 e il 2012, tra il senatore Nicola Mancino e l’ex consigliere giuridico dell’allora presidente Napolitano, Loris D’Ambrosio. Telefonate dalle quali emerge la paura del senatore Mancino, oggi imputato a questo processo per falsa testimonianza, di finire indagato nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Questa mattina in aula si è tirati a parlare del fatto che il senatore Mancino il 5 marzo parlò con D’Ambrosio riguardo la sua volontà di evitare un possibile confronto con l’ex ministro Claudio Martelli, prima ancora che questo venisse chiesto dai pm. Solo il 30 marzo infatti, ha spiegato il teste, “fu avanzava la richiesta, da parte del pm del processo Mori-Obinu, del confronto tra Martelli e Nicola Mancino”. Quindi, ha domandato il pm Di Matteo, “Mancino si preoccupa di evitare il confronto prima che il questo venga richiesto?”. “Si” è stata la risposta secca del commissario di Polizia.










Terme Vigliatore e le tracce mancate
Altro episodio toccato è stato il mancato arresto, il 6 aprile '93, del boss Benedetto Santapaola, intercettato in un'abitazione a Terme Vigliatore (Messina) la cui cattura sfumò in quanto i militari fecero irruzione nella villa degli Imbesi, imprenditori locali, per procedere ad una perquisizione. Villa che distava 50 metri dal locale nel quale il giorno precedente era stato intercettato Santapaola. Poco prima, tra l'altro, ci fu un inseguimento nel quale furono sparati colpi di arma da fuoco contro Fortunato Imbesi, inizialmente scambiato per il latitante Pietro Aglieri.
Quel giorno, dal Ros, nessuno ritenne di avvisare dell'accaduto la magistratura che aveva intercettato il boss latitante. Bonferraro ha spiegato che nonostante gli accertamenti svolti “non è stata riscontrata la presenza del generale Mori” sia per “documenti mancanti” relativi a quell'anno, sia perchè “non è stata acquisita documentazione” in merito a riscontri utili. In più, ha aggiunto il teste, “Imbesi disse che erano entrati numerosi carabinieri nell'abitazione” mentre “dal verbale di perquisizione acquisito si riscontrano due sole firme: quelle di Pinuccio Calvi, maresciallo dei carabinieri in servizio al Ros, in squadra con il capitano Ultimo, e dello stesso Fortunato Imbesi”.
Pochi giorni dopo, il 14 aprile, la Polizia di Stato fece una vasta perquisizione sui luoghi interessati. Il giorno dopo una nota del commissario di Barcellona Pozzo di Gotto, letto in aula da Bonferraro, spiega che durante l'operazione fallita del 6 aprile il “movimentato inseguimento” contro Fortunato Imbesi, alla guida di una Mercedes, era dato “dalla convinzione che nel predetto mezzo potesse esservi Benedetto Santapaola” e l'irruzione a villa Imbesi fu fatta “per catturare il latitante qualora vi avesse trovato ospitalità”. Un'operazione sfumata a causa di “un errore di localizzazione” in seguito al quale, ovviamente, Santapaola non si recò più nel luogo dove era stato intercettato.










Gli incontri tra il Ros e il pentito
Parlando inizialmente dei periodi di codetenzione del pentito Angelo Siino, ex ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, con il boss Antonino Gioè e Vito Calogero Ciancimino, Bonferraro ha quindi snocciolato una serie di date nelle quali il collaboratore ha incontrato Mori e De Donno per sostenere dei colloqui investigativi. Citando poi due episodi: “Il 25 giugno '93 dalle 12.50 alle 16.40 fanno ingresso a Carinola (carcere del casertano, ndr) il capitano De Donno e il colonnello Mori” indicando come “motivo dell'accesso” la dicitura “dal direttore”. Lo stesso giorno, ha spiegato il teste, “Siino alle 12.55 usciva dalla cella fino alle 16.40 con la motivazione 'ud', cioé udienza”. Caso simile accadde il successivo 25 agosto: “Dalle 9.15 alle 13.50 fanno ingresso De Donno e Mori” con la medesima giustificazione. Quindi “Siino dalle 9.10 alle 13.40 usciva dalla cella con la motivazione 'udienza ispettore capo'”. La coincidenza temporale fa invece supporre che ci furono degli incontri, non documentati, tra il pentito e gli ufficiali del Ros. Inoltre, ha spiegato Bonferraro, “non si rilevano atti autorizzativi del Siino a svolgere attività con il colonnello Meli o altri ufficiali di polizia giudiziaria”. Episodi che il pentito stesso ha dichiarato essere accaduti nonostante Siino all'epoca fosse formalmente agli arresti domiciliari.










Microspie all'“Opera” per i dialoghi Riina-Lorusso
Altro argomento affrontato dal teste sono le intercettazioni dei colloqui tra Totò Riina e Albero Lorusso, con il quale “da diversi mesi stavano insieme”, nel carcere di Opera. Attività che Bonferraro ha seguito personalmente “dall’inizio alla fine”.
L’iniziativa nacque dopo le segnalazioni di alcuni agenti che “nelle relazioni di servizio informavano che Riina durante la pausa di alcune udienze aveva esternato affermazioni in riferimento alla trattativa Stato-mafia”. “Le intercettazioni vennero effettuate dal 3 agosto 2013 - ha spiegato il teste - sia durante il passeggio che durante la socialità”, ma solo nel primo caso “abbiamo registrato numerosi colloqui dove Riina esternava fatti gravi o riferimenti ai suoi trascorsi giudiziari”. E quando il “capo dei capi” parlava di “fatti particolari, abbassava il tono della voce, ma avendo utilizzato apparecchiature molto sofisticate potevamo sentire lo stesso quello che dicevano”.
Attraverso gli accertamenti dell'agente della Dia gli “strali” di Riina sono stati scandagliati nelle parole, nei toni e nei gesti: dalla strage di Capaci al fallito attentato all'Addaura, dall'omicidio del generale dalla Chiesa a quello del procuratore Scaglione. “Binnu ci sparò” commentava Riina in riferimento al magistrato assassinato il 5 maggio 1971: ma il nome di Provenzano non entrò mai nelle indagini sul delitto. Tra i dialoghi, anche quelli in cui u' curtu condannò a morte Di Matteo, insieme ad un episodio che resta tuttora inspiegabile: il 14 novembre 2013 Lorusso disse a Riina “hanno detto che alla prossima udienza ci saranno tutti i pm”. Il giorno prima la stampa aveva iniziato a riportare le prime minacce del “capo dei capi” contro Di Matteo e i sostituti procuratori di Palermo volevano presenziare tutti insieme all'udienza sulla trattativa per manifestare solidarietà al collega. Intenzione mai divulgata, né poi effettivamente messa in pratica. “Ci sorprese che Lorusso ne avesse informato Riina” ha commentato Bonferraro quando Di Matteo ha chiesto come sia stato possibile. “Abbiamo acquisito, ascoltato e visionato tutti i telegiornali dei canali che potevano essere visti in carcere, ma nessuno ha mai dato quella notizia”.

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