Oggi l'audizione del commissario Salvatore Bonferraro
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
La presenza di uomini del Sisde nella famosa palazzina di via Ughetti, il covo in cui si erano nascosti nei mesi successivi all'arresto di Riina i boss Antonino Gioé e Gioacchino La Barbera; la sensazione di essere seguiti da qualcuno mentre si conducevano le indagini e le attività di intercettazione per scoprire gli esecutori sulla strage di Capaci; gli accertamenti compiuti sulla famiglia Ciancimino. Sono solo alcuni degli argomenti affrontati oggi in aula al processo trattativa Stato-mafia, con la deposizione del sostituto commissario di Polizia Salvatore Bonferraro. Quest'ultimo, dal settembre del '92 ad oggi, è in servizio presso il centro Dia di Palermo ed ha partecipato in prima persona ad una lunghissima serie di indagini. Tra queste proprio quelle che portarono alla famosa intercettazione di via Ughetti in cui i mafiosi furono registrati parlando de “l'attentatuni” di Capaci. “Arrivammo lì su indicazione dei pentiti - ha ricordato il teste rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo - Loro ci suggerirono di seguire Antonino Gioé e tale 'Mezzanasca', che poi fu individuato in Mario Santo Di Matteo, per arrivare alla cattura di Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, all'epoca latitanti. Gioé e La Barbera vivevano in condizioni di clandestinità, anche se ancora non erano latitanti. Loro si trovavano in un appartamento al decimo piano e noi eravamo in uno al quarto. Questo stabile era di nuova costruzione, l'impresa costruttrice era la Co.se.da. srl e Antonino Seidita, successivamente tratto in arresto per associazione mafiosa, era il costruttore”. Dagli accertamenti svolti nel corso del tempo emerse poi che, proprio nell'appartamento di fronte a quello in cui si trovavano Gioé e La Barbera aveva trovato riparo Salvatore Benigno, uomo d'onore della famiglia di Misilmeri, condannato all'ergastolo in quanto responsabile per le stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano. Ad anni di distanza non appare come una coincidenza la presenza dei tre boss nello stesso stabile. Ma a rendere tutto ancora più inquietante sono alcuni episodi che hanno visto proprio Bonferraro come protagonista. A domanda diretta del pm se fosse mai stata registrata la “presenza di esponenti dei servizi segreti in quel palazzo”, il teste ha risposto con decisione: “E' successo un fatto durante un cambio serale. La sera del sedici marzo 1993 scesi in ascensore e quando si aprirono le porte del piano terra mi trovai due persone che erano del Sisde. Si trattava di Nunzio Purpura, funzionario adesso del centro Sisde di Palermo, e Antonina Lemmo, anche lei appartenente al Sisde che diventò poi sua moglie. In merito a questo incontro feci anche una relazione di servizio il giorno successivo”. Ma non fu quello l'unico episodio “inconsueto”. “Parlando con un collega, descrivendo le fattezze del Purpura – ha aggiunto Bonferraro – mi disse di aver incontrato questa persona mentre facevano un servizio di osservazione su Giovanni Scaduto. Scaduto si incontrava giornalmente con Gioé e La Barbera ed è il genero di Salvatore Greco, detto il Senatore. Fa parte dello stesso gruppo di Gioé. Ebbene mentre loro osservavano lo Scaduto il Purpura li guardava. Addirittura si accorsero di essere seguiti durante un pedinamento”.
La presenza di Purpura e della donna non è l'unico “filo” che si legherebbe ai Servizi. Da altre indagini, infatti, dagli accertamenti sui tabulati telefonici di Lorenzo Narracci, ex funzionario del Sisde e tuttora in servizio all'Agenzia per la sicurezza interna (Aisi), emersero in quei primi mesi ben quattro chiamate con la Co.se.da. srl.
Le indagini su Ciancimino
Altro tema affrontato ha riguardato gli accertamenti compiuti su tutti i componenti della famiglia Ciancimino. In particolare sono stati ricostruiti i passaggi della richiesta di passaporto da parte dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, nonostante già possedesse una carta d'identità valida per l'espatrio. Se in un primo momento per la Questura di Palermo non vi erano condizioni ostative per il rilascio di documenti validi per l'espatrio, dopo l'intervento della terza sezione penale della Corte d'appello di Palermo, che aveva richiesto informazioni sugli spostamenti di Ciancimino, viene emesso il nuovo ordine di arresto e il 19 dicembre don Vito finisce in manette, a Roma. Bonferraro ha anche parlato degli approfondimenti svolti sugli ingressi in carcere avvenuti per parlare con l'ex sindaco di Palermo, a Rebibbia. Oltre al figlio Massimo ed, ovviamente, i suoi avvocati, vi sono gli interrogatori con i magistrati di Palermo, Giancarlo Caselli ed Antonio Ingroia. Non solo. E' emerso anche un colloqui antecedente, datato 22 gennaio 1993, tra Ciancimino senior, il colonnello Mario Mori ed il capitano Giuseppe De Donno. "Dagli atti non è possibile sapere la durata - ha detto Bonferraro in aula - ma c'è una nota della direzione, a firma del direttore del carcere Massimo Di Rienzo, che autorizza l'accesso per il colloqui con il detenuto". Ed alla domanda dei pm se vi fosse da qualche parte un riferimento ad un'autorizzazione dell'autorità giudiziaria ha risposto in maniera lapidaria: "No".
La circostanza su Annacondia
Altro dettaglio importante emerso nella testimonianza di Bonferraro riguarda i colloqui investigativi che hanno visto come protagonista l'ex boss di Trani Salvatore Annacondia. Quando nel giugno 2015 venne ascoltato al processo trattativa aveva dichiarato di aver rivelato ben prima delle stragi '93, in alcuni colloqui con un funzionario della Dia di Bari, che sarebbero scoppiate delle bombe fuori dalla Sicilia.
Il pentito pugliese, raccontando l'episodio, aveva specificato che “non facevo interrogatori con gli ufficiali della Dia di Bari, ma con il pubblico ministero, però avevo sempre quattro persone con un funzionario 24 ore al giorno per la sicurezza. Si parla del più e del meno, e in una di queste sere dissi che succederanno attentati a musei e cose vecchie. Poi, davanti alla Commissione parlamentare antimafia, feci il nome di quel funzionario”. Oggi Bonferraro ha riferito che dagli accertamenti effettuati emerge che solo in due occasioni non vi sarebbero note o relazioni di servizio dopo i colloqui investigativi. Ed uno di questi episodi è avvenuto il 25 novembre del '92.
Mattarella invia le agende di Ciampi
All'inizio dell'udienza il presidente della Corte d'assise, Alfredo Montalto, ha tenuto a ringraziare pubblicamente il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per “l'assoluta disponibilità e la preziosa collaborazione assicurate al fine di consentire l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di documenti ritenuti utili per il completamento dell'istruttoria, nonostante gli stessi non siano attualmente accessibili al pubblico”. Dunque ha comunicato che “le fotocopie delle pagine delle agende del Presidente Ciampi” sono ora a disposizione delle parti. Il Presidente ha anche deciso di ammettere l'audizione dei nuovi teste. Si tratta del collaboratore di giustizia catanese Giuseppe Di Giacomo, che in carcere ha raccolto alcune confidenze dal boss di Brancaccio Filippo Graviano di cui ha già parlato al processo Capaci bis, e l'ex ufficiale dei Carabinieri (oggi in quiescenza), Nicolò Gebbia, già Comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Palermo e Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Marsala. In precedenti udienze i pm avevano spiegato come lo stesso ufficiale aveva chiesto di essere sentito dai magistrati lo scorso 13 settembre ed hanno dunque chiesto la deposizione “per riferire in ordine a quanto appreso nello svolgimento della sua carriera di ufficiale dei Carabinieri, ed in particolare nel periodo in cui comandava la compagnia Carabinieri di Marsala, in ordine a rapporti diretti e o indiretti tra l'odierno imputato Subranni ed i cugini Nino ed Ignazio Salvo ed il senatore Andreotti”. Audizione, quest'ultima che si terrà il prossimo 22 dicembre.
Dossier Processo trattativa Stato-Mafia