di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
La deposizione del braccio destro di Provenzano e Riina
“La trattativa? Ne parlai con Ciancimino”. “Il papello? Lui mi disse di averlo consegnato al capitano De Donno”. Torna a parlare Pino Lipari, l'ex ministro dei lavori pubblici di Bernardo Provenzano, che oggi ha rotto quel silenzio dietro a cui, nel giugno 2010, si era trincerato, avvalendosi della facoltà di non rispondere, al processo Mori-Obinu. Il geometra, consigliere politico dei corleonesi e gestore della cassa dei grandi appalti, sostanzialmente ha confermato quanto già aveva riferito nel 2002 all'allora Procuratore capo di Palermo, Piero Grasso. Una collaborazione con la giustizia in embrione, che fu bollata dall'attuale Presidente del Senato come “non attendibile”. Oggi però, non avendo più procedimenti pendenti, ha risposto alle domande del pm Nino Di Matteo (presente in aula assieme al procuratore aggiunto Vittorio Teresi, e ai sostituti Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia) confermando che in quei verbali riferiva quelle che erano sue “conoscenze reali”, “secondo verità”. Dichiarazioni che di fatto vanno a riscontare diverse dichiarazioni di altri testimoni già sentiti nel corso del processo. A cominciare da Ciancimino jr che, come ha ricordato oggi il teste, era presente in casa quando c'erano gli incontri tra il padre e gli allora latitanti Totò Riina e Bernardo Provenzano. “Ricordo che quello che apriva la porta era l'avvocato, Roberto – ha detto Lipari – Se sapevano chi fosse Provenzano? Da quello che so io sì. Di Riina non so dirlo. Ma Riina e Provenzano non si incontravano mai insieme con Ciancimino”.
Ciancimino e il papello
Dopo una prima serie di domande introduttive il pm Di Matteo è andato subito al cuore della deposizione di Lipari. Come aveva fatto negli interrogatori del 2002, e come aveva ribadito nel 2009 quando venne riconvocato in Procura, il geometra ha sostenuto anche oggi di aver incontrato Vito Ciancimino a Roma, all’hotel Plaza, dopo le stragi. Sarebbe è in quell’occasione che l'ex sindaco di Palermo gli avrebbe raccontato degli incontri con gli ufficiali dell'arma Mario Mori e Giuseppe De Donno. “Io già avevo parlato con Provenzano e lui mi diede una versione diversa. Ciancimino mi disse: ‘io volevo un appuntamento col primario, col Riina, un incontro, e tu non me lo hai dato, che non avevi la strada quindi mi hai depistato e siccome non potevo parlare con il suo aiuto (aiuto inteso Provenzano, ndr) pensò al medico di Riina, Cinà, a cui prospettò tutta la situazione”. Durante l'esame non sono mancate le contestazioni da parte del pm con il teste che via via ha confermato quanto dichiarato in passato ovvero che “Mori e De Donno avrebbero incontrato il Ciancimino, credo nel ‘92, a Roma, per intraprendere una trattativa, De Donno avrebbe chiesto, o Mori, non so, ‘ma che cosa vuonno chisti, che cos’è?’, era successo il... la strage di Falcone, quindi siamo subito... nelle immediate... dopo qualche 15 giorni, 20 giorni, un mese, non so...”.
L'inizio di quei colloqui tra i due ufficiali del Ros e Don Vito viene collocato da Lipari dopo la strage di Capaci ma prima di quella di via D’Amelio. “Ciancimino, nel dicembre 1992, mi disse che aveva parlato con De Donno e Mori. Mi disse che Mori aveva chiesto cosa volesse Cosa nostra perché le stragi li avevano confusi. Mi disse che l'incontro che c'era stato portava ad una trattativa, chiamiamola così, una richiesta. Anche se io non ci ho mai creduto”.
Il geometra, oggi ultraottantenne, ha confermato anche di aver appreso certi contenuti delle richieste prospettate nell'immediatezza da Ciancimino, l'aggiustamento dei processi, il 41 bis, il sequestro dei beni.
La seconda via
Lipari ha spiegato poi quella che è stata la “seconda via” scelta da Ciancimino, ovvero il contatto con il dottore Cinà: “Ciancimino non lo riteneva all'altezza. Lo aveva raggiunto sempre tramite i suoi figli. Lui andò a casa di Ciancimino e quando questi inizia a prospettargli la cosa lo stoppa ha provato a dire che era una cosa troppo grossa ma Ciancimino insiste che deve parlare con Riina e che se lui non lo fa si assume una grande responsabilità, perché è una cosa seria e si devono dare risposte a Mori. Anche Cinà mi parlò di questo discorso. Quando uscì da casa di Ciancimino lui si sentì persino pedinato. Fece avere comunque il discorso a Riina ma non so per quale canale”.
Spiegando il motivo per cui non si mosse in prima persona il teste ha ricordato in particolare un episodio in cui Riina, fuori di sé dopo un colloquio avuto con l'ex sindaco mafioso, lo prese per la collottola e gli disse che qualora avesse chiesto un appuntamento in futuro con Ciancimino avrebbe ammazzato prima lo stesso Lipari e poi don Vito. “Quando mia moglie mi riferì la richiesta di Ciancimino ricordai questo e mi chiamai fuori” ha detto oggi in aula.
Tornando ai rapporti tra i corleonesi e l'ex sindaco mafioso Lipari ha ricordato quanto fosse diverso quello che aveva Bernardo Provenzano. Lipari infatti ha descritto quest'ultimo come una persona “plagiata” da Ciancimino al punto che “se gli avesse detto di buttarsi dal quinto piano lo avrebbe fatto”. Eppure, ha ricordato, “Ciancimino non si poteva toccare, proprio perché così si sarebbe toccata la sensibilità di Provenzano”. Parlando della conoscenza con il boss, oggi deceduto, Lipari ha ricordato che questa risale già agli anni Settanta. Quindi ha parlato di una lunga serie di incontri avuti con il padrino fino al 2000. Tra questi ha anche ricordato un incontro, a Mezzojuso, nel 1996.
Cinà e il papello
Tornando a parlare della consegna del papello il teste ha raccontato quanto gli fu riferito dallo stesso Cinà. “Ebbe questo papello e lo mise in una busta chiusa – ha ricordato – Quindi lo mise in una cassetta della posta a casa di Ciancimino. Lui non era salito perché non aveva trovato posto per parcheggiare la macchina. Ciancimino non lo aveva ritenuto all'altezza del grande compito che aveva perché lui non voleva farlo”. E quando Di Matteo ha ricordato che nel 2002 aveva riferito anche di aver saputo della consegna anche dallo stesso Ciancimino Lipari ha risposto: “Può darsi ma io ho il ricordo visivo dell'incontro con Cinà”. Alla domanda su cosa ci fosse scritto in quella busta, Lipari ha dichiarato che Ciancimino gli disse “che vi era una richiesta eccessiva. La chiamava papello. Se lo consegnò a qualcuno? Mi pare di sì non ho il ricordo preciso ma mi pare che il documento non se l'è conservato in cassaforte”. Dopo una nuova contestazione del pm ha poi confermato che quella busta venne consegnata da Ciancimino a De Donno. Se così fosse si troverebbe una risposta alla considerazione del giudice Petruzzella, scritta nella sentenza Mannino per cui a Ciancimino jr viene contestato di aver fornito il papello “solo in fotocopia senza dare di ciò alcuna motivazione plausibile, posto che la circostanza che si trovasse in cassaforte all’estero non avrebbe impedito la consegna dell’originale”. Come avrebbe potuto consegnare il documento originale se l'originale sarebbe stato consegnato ad altri?
Nel prosieguo del processo Lipari ha anche parlato delle ragioni che portarono alla morte il politico Salvo Lima, ed anche quei tentativi fatti da Cosa nostra per non arrivare ad una sentenza di condanna definitiva all'ergastolo con il maxiprocesso.
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