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puzzle mentaleProcesso trattativa Stato-Mafia
di Aaron Pettinari

C'è l’ok della corte per il capitolato di prova allargato sul passato di Mori

“Non ricordo bene”, “non so”, “mi pare”, “sono passati dieci anni”. E’ così che, ancora una volta, al processo trattativa va in scena il “cliché degli smemorati”. Se da una parte il colonnello Sergio De Caprio (“Ultimo”) ha deciso di restare in silenzio avvalendosi della facoltà di non rispondere, dall’altra c’è chi, come il maresciallo Giovanbattista Migliore, tra lunghe pause e risposte confuse, si è beccato il rimprovero del presidente della corte d’Assise Alfredo Montalto: “La invito ad essere un po’ più disposto a riferire quello che sa su questo, le devo ricordare quali sono i suoi obblighi… E noi siamo di fronte ad una serie di non ricordo su questa vicenda che lascia veramente perplessi…visto che ci sono episodi che si dovrebbero ricordare…”. La vicenda altro non è che la perquisizione avvenuta il 17 febbraio 2005 nell’abitazione di Massimo Ciancimino e le modalità con cui furono sequestrati alcuni documenti, tra cui alcuni manoscritti del padre Vito. “Il brigadiere Lecca in quest’aula ha dichiarato di essersi allontanato e i suoi non ricordo ci lasciano molto perplessi - ha ricordato ancora Montalto nella sua “reprimenda” - Lei era lì in uno spazio di pochi metri e non vede che si allontana con una macchina? I suoi ricordi ci lasciano molto molto perplessi”. Nonostante ciò il militare non ha aggiunto particolari significativi. “Non ho motivo di essere reticente - ha replicato il militare alle contestazioni subite dal pm e dal Presidente - se non lo ricordo è tutto qua. Ho qualche difficoltà a ricordare tutte le sfumature”.
Nel suo racconto Migliore ha anche confermato alcuni dettagli. Ad esempio nessuno lo aveva avvisato dell’assenza di Massimo Ciancimino nel giorno della perquisizione né lo ragguagliò sulle indagini: “L’indagine mi fu affidata in un secondo tempo ma fino a quel momento non me ne ero mai occupato. Eravamo in cinque, credo che andammo con due macchine. Ci aprì un tale, Angotti, che era nella casa. Io stazionai sotto, ma non ricordo se anche Angeli stette sempre sotto. E c’era anche il capitano Lanzilao che era sotto. L’esistenza di una cassaforte? Nessuno disse mai di aver trovato una cassaforte, se vi fosse stata io l’avrei fatta aprire”. A conti fatti, se in tre sarebbero rimasti al pian terreno dell’abitazione del figlio di don Vito, ciò significa che al piano superiore andarono al massimo in due. Un racconto, però, che non coincide con altre testimonianze. Ed è proprio questo “balletto” che riempie di mistero quanto avvenuto durante la perquisizione.
Infatti Migliore non ha fatto alcun riferimento a lunghe attese per attendere le chiavi del magazzino di Ciancimino, né di spostamenti particolari. “Nel magazzino - ha ricordato - siamo entrati tutti. Ad un certo punto qualcuno trovò uno scapolo, credo il brigadiere Rossetti, con questi documenti di carattere politico-amministrativo di Vito Ciancimino”. Alla domanda se questa documentazione fu mostrata ad Angeli in un primo momento ha riferito di non ricordare così come non ricordava di eventuali contatti telefonici di Angeli con qualcuno dei superiori. Solo dopo la contestazione del pm Di Matteo ha confermato che il capitano Angeli aveva parlato telefonicamente con qualcuno. Con chi? Nel 2009 disse con il colonnello Sottili, ma oggi non è stato altrettanto convinto nella risposta.
Confusione c’è poi stata nel ricordare come avvenne il rientro dall’Addaura (“Mi pare con due macchine”) ed anche la redazione del verbale di sequestro. “Mi pare che lo scatolone lo avevamo noi. Andammo in caserma e io partecipai alla repertazione, furono fatti i verbali e le carte lasciate nell’ufficio del capitano Angeli”. Alla domanda del pm Di Matteo se furono fatte fotocopie degli atti ha ribadito, anche in questa occasione dopo una contestazione, quanto detto nel 2009, ovvero che vi era stato un divieto di fare fotocopie. Perché dunque Lecca fu mandato in fretta e furia da Angeli per fotocopiare alcuni documenti?
Ma gli interrogativi non si concludono qui anche perché, sempre sollecitato dal pm, Migliore ha anche ricordato l’esistenza, all’interno del Nucleo operativo, di una sorta di “black list del personale indesiderato al gruppo investigativo”. “Ricordo che di questo si parlava nei corridoi - ha dichiarato oggi - Era una lista del personale non che doveva essere rimosso, rimosso è una parola grossa… ma non poteva seguire le indagini”. Ma quando Di Matteo ha chiesto un approfondimento ha subito cercato di correggere il tiro: “No.. no.. mi pare che fosse pure proposto il trasferimento di alcuni soggetti. Chi c’era in questa lista? Io non l’ho vista ma Blandano (che indagava su Ciancimino jr) c’era. Saverio Masi? Non ricordo, ma so di altri colleghi”.
Prima della conclusione del dibattimento i pm hanno annunciato il deposito di un verbale di interrogatorio, effettuato nei giorni scorsi, di Corallo, ovvero l’uomo che secondo quanto riferito da Angotti lo scorso 30 settembre, effettuava lavori di muratura a casa Ciancimino. Da questo si ricaverebbe che nella data della perquisizione della casa di Ciancimino jr la cassaforte era stata effettivamente montata. Infine il presidente Montalto ha accolto l’acquisizione dell’intervista rilasciata da Roberto Maroni, nel luglio 1994, in cui denunciò l'”imbroglio” con cui il Consiglio dei ministri aveva approvato il decreto Biondi inserendo sottobanco disposizioni che favorivano Cosa Nostra. Infine è stata anche accolta la richiesta dei pm di allargare il capitolato di prova su cui esaminare il tenente colonnello Massimo Giraudo.
“Lo chiediamo – aveva detto il pm Tartaglia all’udienza del 30 settembre - per riferire in ordine alla documentazione acquisita ed agli accertamenti esperiti con riferimento alla carriera professionale di Mori, ai rapporti di questi con i servizi di sicurezza, nonché alle relazioni intrattenute con i fratelli Giorgio e Gianfranco Ghiron (il primo noto avvocato deceduto nel 2012, il secondo imprenditore)”. Questi temi si aggiungono a quelli già ammessi sulla Falange Armata e sulle doglianze raccolte dall'allora capitano De Caprio”.
Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 13 ottobre quando sarà ascoltato Rosario Pio Cattafi, già condannato per mafia.

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