di Lorenzo Baldo
Prosegue il controesame del figlio di don Vito tra storie di papelli, misteri e mappe di Palermo
E’ un ennesimo viaggio nel tempo. Che si ripete anche oggi nella penultima tranche del controesame di Massimo Ciancimino al processo sulla trattativa Stato-mafia. In prima fila c’è anche l’ex senatore democristiano Nicola Mancino, co-imputato nello stesso procedimento per falsa testimonianza. Cerca di ostentare sicurezza, l’ex ministro dell’Interno, anche quando il figlio di don Vito, con la sua solita nonchalance, gli si avvicina per stringergli la mano. Per il resto del tempo rimane sfingeo ad ascoltare pezzi di storia che lo hanno visto tra i principali protagonisti. Ecco che si torna a parlare del famigerato signor Rosselli, ex autista del generale dei Carabinieri Paolantoni, e di quanto quest’ultimo avrebbe confidato a Ciancimino jr su Nicola Mancino e Virginio Rognoni che, a suo dire, sarebbero stati coloro che avrebbero “diretto” la trattativa. Inevitabile, nel racconto del giovane rampollo della dinastia Ciancimino, la presenza del “signor Franco”, quell’eminenza grigia, a conoscenza delle trame più oscure del nostro recente passato, che avrebbe accompagnato per la manina Vito Ciancimino fino agli ultimi anni della sua vita. “I Carabinieri (Mori e De Donno, ndr) – afferma convinto il figlio di don Vito – non erano in grado di poter fare una operazione di simile portata (la trattativa, ndr), anche se inizialmente Mori, come garanzia, aveva citato solo il nome del generale Subranni”. Ciancimino jr aggiunge poi che suo padre “capiva bene che la stessa trattativa non poteva restringersi solo a Mancino e Rognoni, ma andava oltre...”. L’udienza scorre quindi abbastanza liscia attraverso la ricostruzione delle fasi della consegna del papello, delle mappe catastali per arrivare alla residenza di Riina e della fase “B” della trattativa. “Lei ha elementi per dire che Provenzano era a conoscenza del papello e della trattativa?”, chiede l’avvocato Anania. “Si, era a conoscenza – replica laconicamente Ciancimino jr –. Mio padre era stato invitato a trattare direttamente da Provenzano”. “Mio padre – sottolinea poi, rispondendo ad una ulteriore domanda dell’avvocato Romito – mi ha sempre detto che tutte queste sigle ‘Cosa Nostra’, ‘Falange Armata’ ed altre, venivano veicolate e strumentalizzate con incentivi, o falsi incentivi, nel momento in cui bisognava avere un controllo del territorio, in quanto era abbastanza chiaro che il territorio siciliano, ma anche altri territori, erano chiaramente più controllati dalle associazioni criminali nella palese assenza delle istituzioni. Quello che mio padre chiamava ‘il grande architetto’ aveva quindi influito su quella che era stata la politica stragista, mi riferisco alla ‘mala storia’ del nostro Paese con determinate azioni che erano state poste in essere per garantire quella che mio padre chiamava la ‘democrazia’ dove secondo lui il fine giustificava i mezzi”.
Probabilmente quella stessa “democrazia” che attende ancora oggi di essere liberata del tutto dal ricatto politico-mafioso.
Prossima udienza giovedì 21 luglio per la conclusione del controesame di Massimo Ciancimino.
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Dossier Processo trattativa Stato-Mafia