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riina c picture alliance battaglia giadi Aaron Pettinari
Al processo trattativa sentiti gli agenti del Gom che raccolsero l'esternazione

“Io non ho cercato nessuno, erano loro che cercavano me, per trattare”. “A me mi ha fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”. Così avrebbe detto il Capo dei capi in persona, Totò Riina, interloquendo con alcuni agenti del Gom (Gruppo operativo mobile, reparto mobile della polizia penitenziaria). Di queste parole hanno riferito oggi in aula, al processo trattativa Stato-mafia, Michele Bonafede e Francesco Milano. I due erano già stati ascoltati dalla Procura di Palermo dopo che gli stessi avevano redatto una relazione di servizio in cui si riportavano le affermazioni del boss corleonese, all'epoca ancora detenuto presso il carcere Opera di Milano. Così le confidenze del capomafia, fatte in due diverse occasioni (il 21 e il 31 maggio 2013) sono finite agli atti del processo. Date particolari se si considera che proprio il 27 maggio 2013 è il giorno in cui ha avuto inizio ufficialmente il processo davanti alla seconda sezione della Corte di Assise del Tribunale di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto. E proprio poco tempo prima erano state depositate le liste testi.
Nella prima occasione di dialogo, quella del 21 maggio, “u curtu” stava assistendo in video conferenza ad un processo del tribunale di Torino e durante un'interruzione dello stesso si è lasciato andare ad alcune esternazioni. “Eravamo presenti io, lui e un ufficiale giudiziario che assisteva alla video conferenza - ha ricordato Bonafede - E lui chiese a me cosa ne pensassi del processo trattativa Stato-mafia, del fatto che avevano chiamato circa 130 persone. E mi disse: 'le pare giusto quello che stanno facendo stanno facendo pressione a me e alla mia famiglia?”. Riina era un vero fiume in piena e sempre diceva all'agente penitenziario: “Io sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse. Com'è possibile che sono responsabile di tutte queste cose? La vera mafia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro. Loro scaricano ogni responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a termine. Io sto bene. Mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura”. E poi ancora: “Io sono stato condannato per cose, per Capaci in quanto Capo di Cosa nostra non potevo non sapere. Ma come è stato ucciso Falcone? Il pentito Giovanni Brusca non ha fatto tutto da solo, c'è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l'agenda rossa. Ha visto cosa hanno fatto? Perché non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l'agenda. C'erano i servizi al Castello Utveggio e poi sono scomparsi. Mi hanno chiesto se conoscevo persone ma io con i magistrati non ci parlo”. E sempre in questo discorso avrebbe anche detto di non sapere nulla del papello. Il dialogo proseguì poi al termine dell'udienza durante il trasferimento in cella: “A me mi ha fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”. Quindi ha anche confermato quanto detto ai pm durante l'interrogatorio del 6 giugno 2013, ovvero che Riina disse anche “Io glielo dicevo sempre a Binnu di non mettersi con Ciancimino”.
“Nel corso di quella mattina - ha ricordato il teste Bonafede - il Riina doveva fare la terapia. Erano circa le 7.30, entriamo e ad un certo punto, non so perché mi viene di fare una domanda. Era da poco morto Andreotti e in tv si parlava sempre di lui. Così gli chiesi 'ma è vero che lei ha baciato in bocca Andreotti?'. La sua risposta fu chiara: 'Lei appuntato vuole sapere se conosco Andreotti? Ma lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso dire che era un galantuomo e che io sono stato dell'area andreottiana da sempre”.
La loquacità di Riina si manifesta nuovamente il 31 maggio 2013. “Quel giorno dovevamo andare ad un'udienza di questo processo. Disse qualcosa come 'Io non cercavo nessuno ma erano loro a cercare me per trattare con me'... questo era il succo”. Di questo dialogo però ha riferito ai pm il 6 giugno e non vi furono relazioni di servizio ma furono comunque avvertiti i superiori. “Non ho ricordo del motivo ma di questa parola 'per trattare' ho ricordo che la disse proprio Riina. In questo momento mi ricordo così. Queste parole furono dette a voce normale, non bisbigliando”.
Il teste ha anche detto di aver avuto modo di conoscere il compagno d'ora d'aria di Riina Alberto Lorusso. “I loro rapporti erano cordiali - ha detto rispondendo ad una domanda del pm Roberto Tartaglia - Durante l'ora d'aria li vedevamo solamente parlare ma non sapevamo quello che si dicevano. Lorusso l'ho incontrato anche a Roma a Rebibbia. Non fece mai nessun commento sulla storia delle intercettazioni uscite”. Quindi ha detto di non aver mai saputo se il boss pugliese fosse in grado di scrivere messaggi criptici o alfabeti particolari.
Successivamente è stata la volta del teste Francesco Milano che ha raccontato l'episodio in cui Riina, nel corridoio disse che “Io non cercavo nessuno erano loro che cercavano me”. “Lo disse in dialetto siciliano - ha ricordato - Credo che sapesse in che processo si stesse recando perché credo che gli fu notificato prima. Perché non venne formalizzata la relazione di servizio? Noi avvertimmo i nostri superiori, c'era l'ispettore Foschini, lo avvertimmo ma poi ci fu anche un malore di Riina che di fatto fece passare la questione in secondo piano. Il detenuto stava male ed è prevalsa l'assistenza sanitaria del detenuto anziché la formalizzazione della frase”. Milano, a differenza del collega, ha detto di non ricordare, nelle esternazioni di Riina, altre parole. Il processo è proseguito con l'esame, da parte di Basilio Milio (avvocato di Mori e Subranni), del teste-imputato, Massimo Ciancimino

Dossier Processo trattativa Stato-Mafia

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