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amato giuliano c ansaIl Giudice costituzionale tra "non so" e "non ricordo" sentito nella trasferta romana del processo trattativa
di Aaron Pettinari
“L'allarme di Scotti sugli attentati? Non ricordo”. “Scotti voleva fortemente essere confermato ministro degli Interni? Possibile ma non ricordo”. “La scelta di Conso alla giustizia su indicazione di Scalfaro? No, una mia decisione”. E poi ancora: “Sarà che ho una certa età e la mia memoria funziona selezionando nel passato le cose che sono rimaste importanti... E poi sono quattro volte che dico queste cose”. E' una deposizione ricca di incertezze ed indisponenza quella di Giuliano Amato, ex Presidente del consiglio sentito quest'oggi al processo trattativa Stato-mafia, in trasferta a Roma. L'ennesima occasione persa, da parte di un ex uomo delle istituzioni, per dare concretamente un contributo nel rispetto della ricerca della verità. Anche nell'atteggiamento e nella predisposizione a rispondere a tutte le domande poste che si evince l'irritazione di fronte all'accertamento di fatti che hanno comunque segnato la storia del nostro Paese. Il racconto di Amato è partito da lontano, da quando nel marzo 1992 venne ucciso Lima ed il ministro Scotti lanciò una serie di allarmi su una “campagna di destabilizzazione” ma il let motive della “memoria limitata” ha inizio dalle prime battute: “Seppi di questo ma non lo seguii direttamente. Le minacce nei confronti dei politici Mannino, Vizzini, Andreotti ed anche la mia persona? Non lo ricordo, così come non ricordo dibattiti su questo. Andreotti disse che era una 'patacca'? Sono passati tanti anni. In coscienza posso dire che non ho ricordi su questo”.
Rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo l'ex vicesegretario del Psi ha anche ricordato come si arrivò alla formazione del Governo: “Fui convocato al Quirinale il 18 giugno. Scalfaro mi scelse dopo che Craxi aveva dato una terna di nomi. Poi il 28 giugno andai con una lista ben precisa di chi avrebbe dovuto fare il ministro. Durante le consultazioni, mi confrontai con l'allora segretario Dc Forlani, al quale feci presente l'opportunità di non scegliere nomi di soggetti colpiti da provvedimenti giudiziari legati a Mani Pulite o potenzialmente colpibili”. L'attuale giudice della Consulta ha proseguito affermando che Scalfaro “condivise le mie scelte” e “Mancino andò all'Interno perchè era un nome che mi tranquillizzava, era una persona solida. Martelli rimase alla Giustizia mentre Scotti, andò agli Esteri”.
Nella sua esposizione Amato ha detto di aver appreso solo oggi (dato alquanto inverosimile) dell'intervista su Repubblica dell'ex ministro Scotti, con tanto di richiamo in prima pagina, dove dichiarava apertamente la sua preferenza per rimanere ministro degli Interni, anche per dare un segnale di continuità con il lavoro che era stato iniziato da lui e Martelli contro la mafia. Quell'intervista è stata letta in aula da Di Matteo: "La mafia colpirà ancora (…) C’è chi fa orecchie da mercante (…) bene, a questi signori ho già detto che io non andrò più a Palermo a raccogliere insulti e monetine per loro e al loro posto. Nessuno può pensare, dinanzi alla guerra che bisogna scatenare contro la mafia, di lavarsi pilatescamente le mani. Sia ben chiaro, soltanto con un esecutivo forte, legittimato nel tempo e nei consensi può proseguire il lavoro già iniziato da me e da Martelli. È una politica che va confermata e una legittimazione di quella politica passa attraverso la riconferma di entrambi… nel mio partito come in quello di Martelli c’è chi sarebbe molto contento che entrambi ce ne tornassimo a casa”. E poi il magistrato ha chiesto: "al di là di quello che ha detto lei oggi, Scotti chiedeva la sua riconferma. Lei questa uscita pubblica la ricorda?". La risposta: "La sto leggendo solo ora" ad otlre vent'anni di distanza. “Io - ha detto Amato - credo che se avesse avuto questo problema mi avrebbe chiamato e detto Giuliano io ritengo importante per lotta contro la mafia che rimango agli Interni, ma questo non è accaduto, è l'unica cosa che ricordo”. Durante la deposizione Amato ha detto di “non ricordare” ma al tempo stesso “di non poter escludere” che Martelli gli riferì le parole di Pannella su uno “scherzo da prete” che il Presidente della Repubblica di allora Scalfaro avrebbe fatto allo stesso ex ministro della Giustizia per metterlo contro Craxi.
Amato, poi, in relazione al rapporto con Scotti, ha affermato inoltre di non avere "mai saputo di una sua intenzione di dimettersi subito dal nuovo incarico. Ci mettemmo al lavoro perchè due giorni dopo dovevamo andare a Monaco per il G7. In verità Scotti doveva risolvere un problema di incompatibilità, sollevata dalla Direzione della Dc, tra il mantenimento della carica di parlamentare e la funzione di ministro”. Parlando ancora di Scotti, l'ex premier ha detto di essere “rimasto preso alla sprovvista quando alla fine di luglio di quell'anno decise di dimettersi da ministro”.

Le stragi e la destabilizzazione
L'ex premier, in tema di lotta alla mafia e soprattutto in un periodo drammatico dopo la strage di Capaci, ha affermato di fatto approfondendo quel “non ricordo precedente” che nell'esecutivo c'era la consapevolezza di una campagna stragista della mafia volta a destabilizzare il Paese”. “Oltre alla battaglia per la conversione in legge del decreto che introduceva il 41 bis fu avviata anche l'operazione 'Vespri siciliani" - ha raccontato - Questa rafforzava il controllo del territorio con l'utilizzo dell'esercito. E infatti quella campagna mafiosa (riferito alla morte dei politici) non fu portata avanti”. Purtroppo, però, le stragi nel 1993 continuarono ed anche nel 1992 ci furono fatti inquietanti come la morte di Ignazio Salvo, il ritrovamento del proiettile a Firenze nel giardino di Boboli ed il fallito attentato al commissario Rino Germanà.

Il 41 bis
In tema di carcere duro per i boss, Amato ha detto di non “ricordare di preciso il dibattito politico ma percepii che sulla conversione del dl sul 41 bis c'erano degli ostacoli tanto che ne seguii personalmente il percorso e andai a parlare con i presidenti di Camera e Senato. E' corretto dire che la strage di via D'Amelio e l'aver posto la fiducia sul 41 bis abbiano determinato la conversione”. Quanto alle dimissioni da Guardasigilli di Martelli, Amato ha ricordato che il gesto fu legato al preannuncio di avviso di garanzia per l'inchiesta sul Conto Protezione: "Io, mio malgrado, accettai le sue dimissioni e pensai a nominare Conso con il quale avevo avviato un lavoro per trovare una soluzione politico-legislativo a Tangentopoli. Anche sul nome di Conso, Scalfaro non fece alcuna opposizione”. Un dato, quest'ultimo, che va in forte contrasto con quanto dichiarato dall'ex segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, che sulla nomina di Conso riferì che proprio Scalfaro intervenne con una telefonata dall'aeroporto di Ciampino per poi avvisare Amato. L'ex Presidente del Consiglio ha replicato: “Io sono sicuro di aver chiamato Giovanni Conso perché lavorammo assieme poco tempo prima. Ma non escludo che Scalfaro possa aver fatto delle consultazioni per conto suo”.

Borsellino, Fulci e la Falange Armata
Sollecitato dalle domande di Di Matteo l'ex Premier non è riuscito a chiarire quanto riferito in commissione parlamentare antimafia nell'ottobre 1992 quando, parlando di Paolo Borsellino disse: “Tutti sappiamo che Borsellino stava correndo un rischio per il suo lavoro, proprio per il timore che il decreto non venisse convertito in parlamento e ciò mi è noto per testimonianza persona e diretta, per cui sono certo...”. “Non conoscevo Borsellino. Non so chi possa avermi detto certe cose” ha detto oggi Amato.
Il teste ha poi sostenuto di avere saputo da Fernanda Contri, all'epoca segretario generale della Presidenza del Consiglio, dei contatti che Mori aveva instaurato con l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino. “Seppi che Mori venne cercato da segrertatio generale di Palazzo Chigi (anche se non ha escluso che l'iniziativa possa essere stata dello stesso Mori di recarsi dalla stessa, ndr) per avere notizie, su sua iniziativa, su quel che stava accadendo. Mi disse che Mori in realtà non è che sapesse molto. Questo accadde nel luglio 1992, non ricordo se prima o dopo via d'Amelio”.
Durante la deposizione l'ex Presidente del Consiglio ha anche ricordato di aver parlato in diverse occasioni con l'ambasciatore Fulci, ex capo del Cesis, e di aver sentito parlare della Falange Armata
come di una “sigla che potesse avere una fonte istituzionale. Chi me lo disse? E chi se lo ricorda..”.
Nel pomeriggio è poi stata la volta del controesame, da parte dei legali di Mancino, dell'ex Guardasigilli Martelli. “Mancino - ha ricordato ancora una volta - intervenne alla Camera il 4 agosto del '92 giorno della conversione del dl sul 41 bis. Confermo che mi sono lamentato con lui dell'iniziativa del capitano del Ros Giuseppe De Donno, seguite alla strage di Capaci, riferendomi ad attività non ortodosse e non autorizzate”. Martelli si è detto “certo che Scalfaro voleva togliere Scotti dall'Interno e che Mancino lo aveva scelto lo stesso Scalfaro. Quando dissi che c'erano due ufficiali del Ros che non si arrendono mi riferivo al fatto che non accettavano l'idea che c'era una legge dello Stato che, istituendo la Dia, aveva imposto il coordinamento delle indagini delle tre forze di polizia”.

Dossier Processo trattativa Stato-Mafia

Foto © Ansa

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