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toga tribunaledi Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
“Mio padre aveva rapporti con i servizi segreti fin dagli anni ’70” ha spiegato Massimo Ciancimino, interrogato dal pm Nino Di Matteo, davanti alla Corte d’Assise di Palermo per il processo trattativa Stato-mafia. “Mi venne riferito da lui che nel 1970 venne chiamato dalla segreteria del suo amico, l’allora ministro degli Interni Restivo, tramite anche il ministro Ruffini, per cercare di trovare un contatto di equilibrio con 'i suoi paesani’ (la mafia cortonese, ndr)”, e viene "incaricato di fare questo tramite veicolare per raccogliere informazioni e attivarsi nei rapporti con i corleonesi”. In particolare, ha continuato Ciancimino, “ho visto sempre un soggetto che veicolava le informazioni, il signor Franco, che faceva da postino tra quelli che rappresentavano le istituzioni e mio padre, mi pare una specie di collettore, apparteneva a Gladio, ai servizi, si collocava sempre al di sopra”. Il signor Franco era "una presenza costante quando mio padre aveva bisogno di veicolare con queste persone. I rapporti di mio padre, data la visibilità pubblica, con personaggi politici legati a istituzioni e uomini nei servizi con cariche ben conosciute, non potevano essere rappresentati così palesemente, per cui veniva usato questo soggetto che non destava sospetti e attenzioni”.
Dei rapporti di don Vito con i servizi di sicurezza Ciancimino junior ne venne a conoscenza “dal ’99 al giorno della sua scomparsa” ma già prima "avevo avuto conoscenza diretta di certe veicolazioni che avvenivano” come ad esempio l’informazione pervenuta “dell’inchiesta nella quale furono coinvolti i miei fratelli per costituzione di capitali all’estero” ma anche “dossieraggi e verbali su politici che non potevano arrivare tramite canali tradizionali, mio padre aveva accesso a tipi di informazioni che in quell’ambito dovevano assumere anche un carattere di segretezza”. Alcuni dossier, ha proseguito, “portavano la dicitura ‘riservato', mi ricordo che mio padre ne prendeva visione e subito se ne liberava, me ne sono occupato anche io di disfarmene secondo le sue indicazioni. Mio padre mi aveva detto che gli erano serviti per convincere dei politici in alcune scelte giuridiche” ed anche “per avvisare amici a lui legati di possibili inchieste in corso nei confronti di persone che sarebbero state riconducibili a lui”.
L’ultima volta che Ciancimino jr vide il signor Franco, ha spiegato, “è stato quando mi ha messo al corrente delle indagini che c’erano su di me e mi ha detto di sbarazzarmi della documentazione conservata a casa mia. Nei vari periodi ha continuato a darmi informazioni delle mie situazioni processuali, avevo una sua utenza telefonica per chiamarlo e lui mi dava appuntamenti. Quando sono stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di 416 bis mi avvisò dicendomi di non preoccuparmi perchè il tutto non era finalizzato ad inchieste veramente dirette nei miei confronti ma a una tutela. Nel caso in cui - ha precisato - potessi essere chiamato a rispondere a vicende come quella della trattativa, avrei potuto usufruire della facoltà di non rispondere”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Mio padre incontrò Berlusconi. Suoi interessi su affare Milano 2''

di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 13:23
“Mio padre si incontrò con Silvio Berlusconi. Me lo disse lui ed anche mia madre mi ha poi confermato che non era un incontro occasionale. Chi lo organizzò? Se ricordo bene fu organizzato per tramite di Bontade e Dell’Utri. All'epoca mio padre rappresentava un centro di potere”. Prosegue l’esame, al processo trattativa Stato-mafia, di Ciancimino jr, teste ed imputato. In particolare il figlio di don Vito ha riferito degli interessi e degli investimenti a Milano assieme agli imprenditori Buscemi e Bonura. “Nel 1976-1977 - ha riferito - venne proposto a mio padre di investire nell'attività dell'imprenditore milanese Silvio Berlusconi che stava costruendo a Milano due. Promotore dell'iniziativa fu Stefano Bontade. Lui accettò e all'affare parteciparono anche gli imprenditori Buscemi e Bonura. Ci fu anche una partecipazione di Provenzano". Quindi ha proseguito: “A mio padre venne chiesta anche una consulenza urbanistica sul progetto Milano due, per valutare il tipo di operazione. Lui si meravigliava della velocità con cui l'imprenditore era certo di ottenere le opere di urbanizzazione". Ciancimino ha anche accennato alla figura di Francesco Paolo Alamia, anche lui tramite con Berlusconi. "Attraverso un contatto politico - ha detto -  Francesco Paolo Alamia, mio padre investì a metà anni Settanta circa 4 miliardi delle vecchie lire nelle società del costruttore milanese Berlusconi".

Stato-mafia, Ciancimino jr: “Per mio padre Riina un doppiogiochista e pupazzo”
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 13:00
"Mio padre ha conosciuto Riina nello stesso periodo in cui conobbe Provenzano. Li conosceva entrambi come picciotti di Liggio con cui aveva una conoscenza. Prima degli anni '80 ho visto Riina più volte. Veniva anche nella nostra casa. Ricordo che veniva accompagnato da Pino Lipari, Nino Salvo. C’erano anche altri alle volte. Ricordo Santapaola, Carlo Greco. Io non partecipavo a queste riunioni, chiamiamoli summit. Alle volte poi io accompagnavo mio padre e restavo poi fuori con altri personaggi”. Massimo Ciancimino sta rispondendo così alle domande del pm Nino Di Matteo al processo trattativa Stato-mafia. In merito al rapporto del padre con Riina ha aggiunto: “Lui riteneva Riina una persona limitata intellettualmente, un doppiogiochista e un uomo aggressivo. Non ne aveva alcuna stima, lo chiamava pupazzo. Una volta litigarono per la vendita di un palazzo in via Libertà. Lui si divertiva a irritarlo. Diceva che era molto stupido e prevedibile e gli faceva fare lunghe anticamere che lui viveva come mancanze di rispetto". Ciancimino jr ha anche parlato dei rapporti del padre con il medico Antonino Cinà: “Lo conosceva da prima del 1992. Ricordo che assieme erano coinvolti in una vicenda per cercare di far uscire dal carcere Liggio dopo una sentenza di condanna. Si cercava un escamotage. Ci furono con Cinà diversi incontri nel tempo. poi nel 1992 iniziarono anche rapporti con scambi epistolari”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Quando Messina Denaro mi condannò a morte''
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 12:44
“Mio padre coinvolgeva sempre Provenzano nella distribuzione dei guadagni"
“Mio padre coinvolgeva Provenzano nella suddivisione degli utili oltre che per la ‘messa a posto’, ne teneva conto per la distribuzione dei guadagni” ha detto Massimo Ciancimino deponendo al processo trattativa Stato-mafia, parlando del ruolo del padre Vito nello scenario in alcune società. “Mio padre era coinvolto nell’attività di costruzione della rete di metano negli anni ’80 a Caltanissetta, la società si chiamava Gas Spa e degli utili ne beneficiava anche Provenzano con il 2%. La quota societaria di mio padre, consistente nel 15%, era gestita da altri soggetti per suo conto, lui era socio occulto dall’inizio fino alla vendita, avvenuta dopo la sua scomparsa”.
Ciancimino jr ha fatto poi riferimento al ritrovamento di un pizzino a seguito dell’arresto di Provenzano, in cui Matteo Messina Denaro si riferiva a lui: “Faceva riferimento alla mia persona mentre per tutti gli altri riportava nomi in codice e numeri. Messina Denaro chiedeva l’autorizzazione a Provenzano per potermi ammazzare in quanto non avevo rispettato gli impegni per l’ulteriore richiesta di messa a posto nelle questioni del trapanese. Diceva ‘il figlio del tuo amico morto a Roma pochi mesi fa continua a fare la bella vita con i soldi’ consistenti in 250mila euro. Questo perché le famiglie trapanesi avevano avanzato l’ulteriore richiesta di un altro 2% rispetto all’accordo preso da mio padre nel primo intervento. La famiglia Brancato (facente parte del gruppo societario, ndr) per paura aderisce subito. Mio padre invece mi aveva detto di riferire che quei soldi ce li stavamo mangiando a Roma in macchine e donne, e che qualsiasi questione doveva essere discussa non da Messina Denaro, ma da mio padre e Provenzano che avevano stipulato l’iniziale accordo”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Anche Riina mandava biglietti''
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 11:55
“Non solo Provenzano, anche Riina in quegli anni aveva un interlocuzione con mio padre. Erano biglietti scritti a mano, in maniera pessima e mio padre ci rideva sopra. Mio padre aveva più rapporto con Provenzano. A Riina non lo stimava molto”. A raccontarlo è Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, al processo trattativa Stato-mafia, in corso all’aula bunker di Palermo. “Mio padre - ha aggiunto - con loro aveva un rapporto continuo. Era un uomo di garanzia al centro di un sistema di potere e gestiva quegli affari su speculazioni  edilizie, concessioni, certificazioni, destinazione d’uso di terreni, appalti, e quant’altro”. Il Presidente Montalto ha quindi chiesto come avvenisse lo scambio con il Capo dei capi e Ciancimino ha dichiarato che gli fu detto dal padre solo dall’agosto 1992 che si trattavano di missive di Riina e che spesso questi biglietti venivano presi a casa di Antonino Cinà.
Sullo scambio di biglietti con Provenzano, inoltre, ha anche detto di aver consegnato personalmente allo stesso questi “pizzini” con l’ordine dal padre di distruggerli una volta letti, farseli consegnare e spargerli nei vari cestini della città”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: “Provenzano godeva di una tutela”
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 11:36
“Mio padre mi disse che Provenzano doveva di una tutela ed era libero di muoversi liberamente grazie a degli accorsi che erano stati stretti in anni passati”. E’ sugli incontri tra l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino e il boss corleonese che prosegue l’esame del teste-imputato Massimo Ciancimino al processo trattativa Stato-mafia. “Questi incontri avvengono tra il 1999 ed il 2002 quando mio padre è ai domiciliari a Roma. Ma Provenzano si vedeva con mio padre anche prima, ad esempio tra il maggio 1992 al momento dell’arresto di mio padre il 19 dicembre 1992. Mio padre disse anche che Provenzano aveva potuto prendere la guida di Cosa nostra per fermare l'escalation di violenza che aveva avviato Riina e che questo rientrava negli accordi che aveva siglato con le istituzioni. Ma gli incontri sono molteplici, negli anni’80, quindi negli anni ’90 e anche dopo fino al 2002”. Ciancimino ha riferito di una serie di incontri che avvenivano a Roma, in particolare nell’abitazione in via San Sebastianello quando il padre era agli arresti domiciliari: “Molti avvenivano lì, ma anche fuori. Io lo portavo fino al portone e per arrivarvi adottavamo una serie di precauzioni”.
Ciancimino ha poi aggiunto che uno di questi incontri è avvenuto nel luglio 1992: “Sia Provenzano che mio padre avevano problemi medici per una malattia alla prostata, una prostatite tumorale. Mio padre si era attivato per far visitare entrambi da un medico romano”.
Sempre riguardo agli incontri tra il padre e Provenzano ha poi aggiunto: “Mio padre si sentiva più scoperto di Provenzano. Ma gli incontri avvenivano anche a casa nostra perché diceva ‘tanto a lui non lo viene a cercare nessuno’”.  
Il rapporto tra l’ex sindaco ed il capomafia corleonese sarebbe avvenuto anche in via epistolare: “C’erano queste missive, queste buste chiuse - ha detto Ciancimino jr - Questi venivano portati anche da altri soggetti come Vito Lipari, Massimo Cannella, e altri. Anche qui mio padre metteva in atto diversi accorgimenti di cautela. A volte queste buste le prendevo anche io da Lipari. Non le aprivo e le portavo a mio padre. Lui per aprirle usava dei guanti bianchi in lattice. Le leggeva mi mandava a fotocopiarle e poi bruciava gli stessi bigliettini”.


Stato-mafia, Ciancimino jr: ''Provenzano da sempre amico di famiglia''
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - Ore 11:12
“Mio padre conosceva Bernardo Provenzano, io stesso lo conosco da quando avevo 7 o 8 anni, spesso andavamo a mangiare la pizza a Baida o a San Martino alle Scale con anche i miei fratelli”. A dirlo è stato Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, ex sindaco mafioso di Palermo, deponendo al processo trattativa Stato-mafia nel quale è anche imputato. “E’ un rapporto di cui ho contezza da sempre - ha proseguito parlando ancora della sua conoscenza con Provenzano - una figura sempre presente a casa nostra da quando ero fanciullo. Aveva accesso a un certo tipo di utenze che mio padre riservava agli amici ristretti, come anche Salvo Lima. Provenzano si presentava al telefono come l’ingegner Lo Verde”.
Un giorno alla fine degli anni ’70, però, Ciancimino junior ebbe la consapevolezza che si trattava proprio del boss corleonese: “Un sabato mattina, accompagnando mio padre dal barbiere, vidi sul giornale ‘Epoca’ un’immagine invecchiata al computer di Provenzano, sulla base di una foto che gli inquirenti avevano di quando aveva 17 anni. Vedendolo mi è venuto subito in mente che non era altro che quel personaggio che per tanti anni aveva frequentato casa mia”. Di questo, Ciancimino chiese spiegazioni anche al padre: “Mentre tornavamo a casa gli chiesi di Provenzano, mio padre si fermò a margine di strada, mi guardò con occhio molto duro e mi mise in guardia dicendo ‘ricordati che da questa situazione non ti può salvare nessuno’” se questa conoscenza fosse stata esternata.
Ciancimino ha poi specificato che venne a sapere dei rapporti tra don Vito e Provenzano “a seguito dell’apertura di mio padre nei miei confronti, che coincide con l’inizio della sua detenzione domiciliare nel ’99 fino al giorno sella sua morte, l’11 novembre 2002”. In quel periodo, ha aggiunto, “la mia presenza si fece sempre più costante, nasce una fiducia che da quel momento si stabilisce in un rapporto quasi alla pari. Quando gli viene in mente di scrivere in memoriale mi viene concesso di chiedere spiegazioni sulle mie perplessità, sul suo modo di operare e su quello che abbiamo subito come famiglia” in particolare “dopo il suo arresto per mafia”. Inoltre, ha precisato, “mi fu raccontato da mio padre che il legame tra lui e Provenzano nasce da quando vivevano tutti e due a Corleone, erano vicini di casa. Il rapporto tra loro si intensificò quando il padre di Provenzano pregò mio padre di dare lezioni di matematica al figlio".

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