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lapis gianni massimo cianciminodi Aaron Pettinari
Dalle rivelazioni di Lapis sul papello al viaggio in Egitto con il figlio di don Vito

Il prossimo quattro febbraio Massimo Ciancimino, imputato e testimone al processo trattativa Stato-mafia, salirà sul pretorio per raccontare la sua verità. Un momento particolarmente atteso da quando i pm lo chiamarono per la prima volta per avere dei chiarimenti su quell'intervista rilasciata al settimanale Panorama, il 14 dicembre 2007. Dichiarazioni roboanti su quel dialogo che il padre ebbe con alcuni ufficiali dell'Arma. “Dopo la strage di Capaci il capitano De Donno incontrò mio padre per tutta l'estate del 1992 – disse allora - Una volta De Donno mi consegnò la piantina di Palermo ed un elenco di utenze telefoniche presumibilmente in uso a Totò Riina: mio padre avrebbe dovuto segnare la zona e indicare i numeri. Dopo una settimana riconsegnai tutto con indicato il quartiere di Viale Regione Siciliana e dissi: 'Lì dovete cercare Riina'”. E' facile pensare che partirà da qui l'esame previsto per la prossima settimana. Intanto oggi è stata la volta di due avvocati, Giovanna Livreri e Roberto Mangano.

La prima, legale di Gianni Lapis durante il processo sul “tesoro” di Vito Ciancimino che lo vedeva imputato con lo stesso Massimo, ha raccontato di aver saputo, proprio dal professore, che il quarto figlio del politico democristiano “godeva di una sorta di immunità”. L'episodio è quello della perquisizione, nel 2005, dello studio e dell'abitazione del legale. “Gianni Lapis – ha detto risponedno alle domande del pm Roberto Tartaglia (in aula assieme a Nino Di Matteo) – era particolarmente adirato in quel giorno perché la polizia giudiziaria si dimostrava nei suoi confronti particolarmente invadenti. Volevano persino aprire la cassaforte con l'esplosivo. Poi chiamò Ciancimino e questi gli disse che da lui l'atteggiamento era stato particolarmente soft e molto aichevole. Con rabbia il professore mi disse che a Ciancimino non avevano voluto neanche le chiavi della cassaforte che era in vista”. Il perché di quella disparità di trattamento, secondo quanto disse Lapis, consulente per Vito Ciancimino in ambito affaristico, professionale, ma anche personale, sarebbe stato dovuto alla presenza, nella cassaforte di Ciancimino, di documenti scottanti. “Lapis – ha aggiunto la Livreri - diceva che lì c'era la documentazione del padre relativo ad un accorto Stato-mafia ed una trattativa. Carte che per lui erano come un salvacondotto per cui a lui non lo potevano toccare. Parlò anche del papello. Cosa c'era in quel documento? A suo dire nomi di magistrati, pezzi dello Stato, delle istituzioni e delle forze dell'ordine. Lapis si sentiva tradito perché anche lui si sentiva protetto. Diceva che lui e Massimo potevano fare quello che volevano e che non potevano essere toccati come ripagamento per quella collaboazione che Ciancimino ebbe con il Ros per la cattura di Totò Riina. Cose che gli aveva riferito sia Vito che Massimo Ciancimino”. Quindi ha aggiunto che Lapis le fece i nomi degli ufficiali del Ros che si recarono dal sindaco mafioso: “Chi? Mi parlò di Mori e De Donno”.
Durante la deposizione l'avvocato ha parlato anche della società del metano appartenuta in passato a Vito Ciancimino e che aveva tra i soci Maria D'Anna, e il marito Ezio Brancato. “Il professor Lapis mi parlò di copertura politico-giudiziarie sulla società 'Gas'. In particolare mi fece il nome di un magistrato che stava a Roma e che si occupava della Gas perchè aveva degli interessi, si trattava di Giusto Sciacchitano, mentre tra i politici mi fece il nome dell'ex ministro Carlo Vizzini che gli era stato molto vicino”. La Livreri, pur ribadendo in aula di non avere mai conosciuto il figlio dell'ex sindaco di Palermo, nel 2009 parlava con Lapis di Ciancimino jr via telefono. Il pm Roberto Tartaglia le ha anche letto un passo di una sua intercettazione. “Quello ha i documenti del padre – commentavano - se li caccia salta tutto”. Una telefonata in cui la Livreri mostra di sapere a cosa il suo interlocutore si riferisse.

Il viaggio a Sharm el Sheik
L'udienza è poi proseguita con l'esame del teste Roberto Mangano, legale di Massimo Ciancimino dal settembre 2005 al settembre 2009, chiamato in particolare a riferire sui motivi e le circostanze di un viaggio all’estero avuto con Ciancimino jr in epoca di poco antecedente all’arresto di Bernardo Provenzano nell’aprile del 2006. Secondo il racconto fornito dal legale, “tre settimane prima” della cattura del capo mafia, Massimo Ciancimino gli chiese di partire insieme, con le rispettive compagne. “Ricordo – ha detto oggi rispondendo ai pm - che Ciancinimo mi disse che il viaggio gli era stato regalato da Chateau d'Ax, di cui era titolare di un negozio in franchaising a Palermo. Me lo disse più volte. Io declinavo sempre l'invito. Poi mi lasciai anche con la mia ragazza di allora e lui continuava a proporre questo viaggio di divertimento. Seppi anche che la moglie di Ciancimino si era persino attivata per dire a un mio collega, l'avvocato Nino Caleca di convincermi a partire. Così la settimana prima della partenza, ai primi di aprile del 2006, diedi la mia disponibilità. Ma lui non mi spiegò perchè insisteva tanto affinchè io andassi. Si poteva parlare anche di cose di lavoro ma non era la motivazione principale”. Mangano ha anche ribadito che durante quella permanenza a Sharm, il figlio di don Vito “restava tutto il giorno chiuso in camera. A fare cosa? Lui stava spesso collegato su internet e parlava con il cellulare. Con chi? Diceva con giornalisti. Poi in uno di questi giorni venne data la notizia della cattura di Provenzano, c'era un servizio in tv, del Tg1, ma non ricordo commenti”.
Poi, proseguendo il suo racconto, l'avvocato Mangano ha sottolineato di aver appreso solo dopo, successivamente ad un interrogatorio in Procura, del reale motivo per cui c'era stato quel viaggio: “Allora Ciancimino spiegò che gli avevano consigliato di allontanarsi da Palermo, in quella settimana perchè sarebbe successo un fatto eclatante (l'arresto di Provenzano ndr). Io rimasi contrariato perchè non me l'aveva detto prima”. Durante l'udienza Mangano ha anche riferito un ulteriore episodio: “Nell'agosto 2006, mentre Ciancimino era agli arresti domiciliari, andai a trovarlo a casa. Trovai la porta aperta della sua abitazione ed entrai. In quel periodo soffriva di depressione anche. Una volta entrato trovai Ciancimino in accappatoio. Mi disse che erano stati lì dei carabinieri e che gli avevano fatto un'iniezione al ginocchio in quanto postumo di un sinistro stradale. Mi disse che quando io ero entrato in quell'occasione loro erano usciti senza che io li vedessi”. In particolare l'avvocato Mangano ha anche aggiunto un dettaglio rispetto a quando du sentito al processo Mori-Obinu: “Ricordo che in quel giorno quando entrai in casa c'era un forte odore di alcool etilico”. Inoltre ha specificato che quando “si sfiorava l'argomento carabinieri, Massimo Ciancimino si trasformava, non parlava. Mi parlava di aver avuto più visite dei carabinieri nella sua abitazione e si preoccupava del fatto che magari violava le prescrizioni del giudice. Gli dissi di star tranquillo che magari potevano esser presi come colloqui investigativi. Lui comunque diceva che questi si fermavano spesso a parlare con lui. Io chiesi anche di incontrare queste persone ma lui mi disse che non era possibile, tanto che ogni volta che mi vedevano arrivare loro andavano via. Ciancimino jr diceva che la casa era attenzionata”.
Sul finire d'udienza, prima del rinvio, c'è stata anche un'interruzione a causa di un malore di Totò Riina. Il Capo dei capi, detenuto a Parma, è da tempo ricoverato presso l'ospedale della stessa città e il suo legale, Luca Cianferoni, ha espresso le difficoltà del proprio assistito nel presenziare alle udienze. Tuttavia il processo è ripreso con l'intervento del medico che ha riscontrato solo un forte dolore alla schiena del boss “per via della febbre”.

In foto: Massimo Ciancimino e Gianni Lapis (montaggio fotografico)

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