Torna sotto i riflettori il movimento politico voluto da Bagarella “Sicilia Libera”
di Lorenzo Baldo
“Piddu Madonia mi disse di votare per Berlusconi che stava cercando di fare qualcosa per far chiudere Pianosa e l’Asinara e far alleggerire il 41bis. Era il periodo delle votazioni, io dissi ad amici e parenti di votare Forza Italia. Madonia mi diceva che la sofferenza non sarebbe durata tanto e che se avesse vinto Forza Italia avrebbero fatto chiudere Pianosa e l’Asinara, avrebbero alleggerito il 41bis e sarebbero intervenuti sulla legge sui collaboratori”. E’ l’ex stiddaro del ragusano, Angelo Cappello, a parlare in videoconferenza al processo sulla Trattativa. Per alcuni mesi del ’94 era stato detenuto nel carcere di Siracusa nella stessa cella assieme al rappresentante provinciale di Cosa Nostra per Caltanissetta, nonchè componente della “commissione regionale” (condannato tra l’altro all’ergastolo per la strage di Capaci) Giuseppe “Piddu” Madonia. Che gli avrebbe rivolto queste confidenze su Berlusconi e Forza Italia. Il pentito Cappello racconta che ad ottobre ’92, dopo il suo arresto, per un primo periodo era stato detenuto a Ragusa e dopo alcuni spostamenti in altre carceri era stato trasferito al supercarcere di Pianosa in pieno 41bis. “A Pianosa la detenzione era molto dura – racconta il pentito –. Eravamo messi tutti assieme, mi vedevo con palermitani, napoletani, calabresi”. Tra i sodali palermitani con i quali aveva avuto rapporti c’erano i boss: Antonino Troia, Gioacchino La Barbera, Salvatore Montalto, Antonio Troia, Giuseppe Maria Di Giacomo e il nipote di Totò Riina, Francesco Grizzaffi. Quest’ultimo, a detta di Cappello, durante l’estate del ’93 aveva raccolto le sue lamentele per essere stato schiaffeggiato da una guardia carceraria. “Grizzaffi mi disse di non preoccuparmi che Pianosa e l’Asinara sarebbero state chiuse e che il 41bis sarebbe stato alleggerito. Tutto questo sarebbe avvenuto grazie a un personaggio, a un ‘dottore’… il nome non me lo fece e io non glielo chiesi”. In aula la difesa di Dell’Utri lamenta che il nome “Berlusconi” sarebbe uscito solamente in questo contesto e non prima. Di fatto nei verbali riassuntivi il riferimento esplicito è quello di sostenere Forza Italia per ottenere quei benefici tanto agognati per i detenuti. Al di là del riscontro da espletare sui verbali integrali restano le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che non fanno altro che avallare le precedenti affermazioni di chi ha affrontato questi temi prima di lui.
L’epopea di “Sicilia Libera”
Con l’audizione del funzionario della Dia, Giuseppe Fonti, si è tornati a parlare del movimento politico “Sicilia Libera”, espressamente voluto dal boss di Cosa Nostra Leoluca Bagarella. Di fatto nell’autunno del ’93 l’ex imprenditore di Brancaccio legato a Cosa Nostra, Tullio Cannella, su indicazioni di Bagarella, aveva contribuito alla nascita di questo movimento autonomista durato pochissimi mesi e poi scioltosi in coincidenza con la nascita di Forza Italia. “Sicilia Libera”, però, non può essere etichettata unicamente come il risultato della decisione solitaria di un boss di Cosa Nostra. Così come ha ricordato l’ex pm Antonio Ingroia in una recente intervista in quel periodo storico “si costituivano delle leghe meridionali che avevano come punti di riferimento Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie, cioè la P2 e la destra eversiva a loro volta collegati a pezzi della criminalità organizzata italiana”. Nell’indagine denominata “Sistemi Criminali” (condotta dai pm Scarpinato, Gozzo, Lo Forte e lo stesso Ingroia) si ipotizzò che con quelle leghe si sarebbe potuto arrivare ad “un vero proprio progetto di golpe”. Che non si è mai realizzato, ma che probabilmente è “confluito” in quella trattativa “politica” tra Stato e mafia sulla quale oggi si tenta di fare luce.
Prossima udienza giovedì 1° ottobre.