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tribunale-toghe0di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 11 giugno 2015
E’ la prima volta che Gaetano Grado racconta in aula le confidenze avute da Vittorio Mangano sui soldi dati a Dell’Utri ed investiti nelle società di Berlusconi. Il pentito, rispondendo ad una domanda specifica del pm Nino Di Matteo su quando avesse rilasciato certe rivelazioni rispetto all’inizio della sua collaborazione, ha specificato: “Sono andato a Roma per un altro interrogatorio con Donadio, si parlava del più e del meno e siamo finiti a parlare di Mangano”. “Era un colloquio investigativo?”, ha chiesto Di Matteo. “Sì”, la risposta del teste. E poi ha specificato che questo sarebbe avvenuto circa un anno prima rispetto al verbale dell’agosto 2012 dove fu sentito dalla stessa Procura di Palermo.
Grado ha quindi spiegato il motivo per cui queste dichiarazioni non le ha fatte subito all’inizio della sua collaborazione, alla fine degli anni ’90. “Non è che sono andato da Donadio perché mi aveva chiesto di Mangano… - ha detto l’ex boss d Santa Maria di Gesù - è stata una cosa spontanea che mi sono ricordato e che ho riferito al dottor Donadio. Perché la prima cosa che ho detto nel mio interrogatorio al dottor Prestipino era stata: ‘le parlo di tutto ma lei non mi chieda di politici perché non ne parlo completamente’. Per questo non ne ho parlato prima. E quando è uscita questa cosa con Donadio. Io non ne volevo parlare. Ancora oggi alla mia età io la morte non l’ho temuta. Io vorrei stare ancora qualche anno tranquillo… non voglio farmi ammazzare a livello di Stato… poi se c’è qualcuno che mette la firma che mi garantisce allora parliamo di politica”. A quel punto è intervenuto anche il presidente Montalto: “Lei dice che volendo campare ancora qualche anno non ha detto tutto sui politici?” E Grado ha risposto: “Ritengo che non è il momento opportuno di parlare di uomini politici”.


Processo trattativa, pentito Grado: “Quando i calabresi volevano sequestrare i Berlusconi intervenimmo”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 11 giugno 2015
“A Berlusconi volevano spillargli dei soldi. Hanno messo della polvere da sparo che ha fatto il muro tutto nero. C’erano dei calabresi che volevano sequestrare i familiari di Berlusconi e poi Stefano Bontate e Mimmo Teresi sono intervenuti”. A raccontarlo è il pentito di Santa Maria di Gesù, Gaetano Grado, oggi teste al processo trattativa Stato-mafia. “Una volta - ha aggiunto - vidi Mimmo Teresi che parlava con Stefano Bontate che gli diceva di andare dai calabresi e di presentarsi a nome suo. Mimmo disse che c’era questo problema che Dell’Utri si era lamentato del fatto che qualcuno voleva sequestrare la famiglia Berlusconi, Stefano disse di andare dai calabresi per dire che la cosa interessava a noi”. Nel 2012, interrogato dalla Procura di Palermo, Grado aggiunse che a fare delle telefonate intimidatorie erano i fratelli Mazzaferro e che Teresi andò a parlare con loro. Al suo ritorno “disse che non c’era problema e che è tutto a posto”.
Alla domanda se alla morte di Stefano Bontate avesse mai pensato di recuperare gli utili dei soldi investiti nelle attività di Berlusconi ha detto di essersi adoperato per uccidere Mangano: “Ero ancora in carcere con un certo Bruno Rossi. Volevo recuperare questi soldi, pensai vediamo se questo ragazzo può ammazzare Mangano… Mangano poteva riferire a Riina dove erano i soldi di mio fratello… dissi a Bruno Rossi se poteva ammazzare Mangano e lui mi disse di si. Poi questo ragazzo è andato via dal carcere di Vasto e non se ne fece più nulla. Era dopo l’89, con Rossi siamo stati assieme un anno circa… Poi Mangano era anche passato con Riina, era un traditore.Una volta uscito dal carcere avrei escogitato qualcosa per recuperare quei soldi tramite Dell’Utri”.
Grado ha poi riferito di non aver mai conosciuto Dell’Utri anche se ne aveva avuto l’occasione. “Io non volevo conoscere le persone che si interessavano alla politica - ha detto in aula - sapevo che Dell’Utri era vicino a Stefano Bontade e poi passa ad essere vicino ai Corleonesi. C’era mio fratello Antonino che conosceva bene Dell’Utri. Una volta mi disse: ‘guarda che non è cattivo e possiamo averne bisogno, e io gli dissi non lo voglio conoscere’. Poi una volta arrivo a Milano e mio fratello mi dice che si deve incontrare in un ristorante con Cinà, Bontate, Dell’Utri e Mangano e che dovevo andarci pure io. E ci sono andato. Dopo aver mangiato hanno iniziato a parlare di affari, sapendo di cosa avrebbero parlato mi sono alzato dal tavolo, e questa è stata la conoscenza con Dell’Utri”. Questo incontro però sarebbe avvenuto in un periodo in cui Dell’Utri non era ancora impegnato nel progetto di Forza Italia. “Dell’Utri - ha detto ancora Grado specificando ad una domanda del Presidente Montalto - si era sempre interessato di politica, anche a livello regionale, si interessava di far eleggere chi voleva lui, questo a cavallo degli anni ’70”.


Processo trattativa, pentito Grado: “Fiumi di denaro investiti nelle società di Berlusconi”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 11 giugno 2015
“Vittorio Mangano esportava fiumi di denaro con la sua macchina, li portava a Dell’Utri che li investiva”. A dirlo è il collaboratore di giustizia Gaetano Grado, teste oggi al processo trattativa Stato-mafia. “Ai tempi - ha aggiunto - stavano facendo Milano1 e Milano 2, la mafia aveva bisogno di investire i soldi della droga. Chiunque apparteneva alle famiglie mafiose mandava i soldi a Milano e li investivano, da Bontade a mio fratello, quindi anche gli Inzerillo. Investivano nelle società di Berlusconi, questo me lo disse Vittorio Mangano”. Alla domanda su quanti fossero stati questi viaggi l’ex boss di Santa Maria di Gesù ha aggiunto: “Non so quanto periodicamente avvenivano ma erano tanti. Mangano mi parlava di svariati miliardi. C’erano sicuramente anche i soldi di mio fratello Antonino che era tra i più ricchi nel traffico di droga”. Grado in aula ha raccontato anche che Mangano, pur essendo stato combinato per la famiglia di Pippo Calò, era molto vicino a Bontade e a lui. “Io avevo un certo carisma anche da semplice uomo d’onore - ha ricordato - quando hanno visto Mangano molto vicino a me lo hanno riferito a Pippo Calò che ha avuto interesse a combinarlo. E così è stato combinato. Mangano aveva un grande rispetto per me e mi faceva un sacco di confidenze. Questa combinazione avvenne dopo 5-6 mesi circa”. Con Mangano l’ex boss aveva fatto anche dei viaggi a Milano dove una volta si incontrò con Gaetano Cinà, imparentato con il boss Mimmo Teresi il quale gli avrebbe riferito “che c’era la possibilità di far entrare Mangano come stalliere da Berlusconi. Poi ho saputo che Mangano era entrato da Berlusconi tramite Cinà che era amico di Marcello Dell’Utri”. Di questa proposta fatta da Cinà ne parlò poi con Bontade. “Lui - ha ricordato il pentito - mi disse che avevo fatto bene a consigliargli di andare da Berlusconi perché era una brava persona”.


Processo trattativa, pentito Grado: “Bagarella sbirro, aveva fatto arrestare il fratello e Riina”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 11 giugno 2015
“La nuova generazione di Cosa nostra deve sapere chi è Bagarella. Uno sbirro che ha fatto arrestare il fratello e Totò Riina”. A dirlo in aula al processo trattativa Stato-mafia, in corso presso l’aula bunker dell’Ucciardone, è l’ex boss di Santa Maria di Gesù, Gaetano   Grado. Rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo (in aula per l’accusa assieme a Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia) sta ripercorrendo i primi anni della sua carriera criminale accusando apertamente il gruppo dei corleonesi. “Io  - ha detto - mi sono occupato per un certo periodo della latitanza di Riina e di Provenzano. E’ qui che sono venuto a sapere di questa cosa. Che negli anni ’62-’63 Leoluca Bagarella era stato fermato in caserma a Corleone. Lì c’era quel ‘rito’ delle legnate. E lui lì ha fatto arrestare il fratello Calogero e Riina. Questo i giovani non lo sanno. Leoluca Bagarella, sanguinario e stragista, è uno sbirro ed un infame. Ci sono i verbali alla caserma di Corleone si può riscontrare. A quel punto io ho deciso di interrompere quei rapporti che avevo con loro e poi non mi piaceva quel che vedevo di Riina, che faceva sequestri, si preparava per la guerra di mafia”. Grado ha poi raccontato della sua guerra contro Riina: “Io ero latitante, fuori dall’Italia. Poi quando tornavo gli ammazzavo qualche amico. Volevo dimostrargli che potevo ammazzargli capi mandamenti, reggenti. Riina disse ai suoi che io ero pericoloso. Poi quando mi hanno arrestato hanno fatto un’altra infamità. Hanno brindato al mio arresto. Queste cose non esistono in Cosa nostra”. Prima dell’inizio dell’udienza, per dimostrare l’attendibilità di Grado, sono state acquisite le sentenze dei processi sulla strage di viale Lazio del 2008 e quella su Riina e Provenzano del 2009.


Trattativa Stato-mafia: parla il pentito Gaetano Grado
di AMDuemila - 11 giugno 2015
Riprende questa mattina il processo sulla trattativa Stato-mafia. Per oggi è prevista l’audizione del collaboratore di giustizia Gaetano Grado. Riflettori puntati sull’ex uomo d’onore della famiglia di Santa Maria Di Gesù, fratello di Antonino Grado ucciso nel 1981 nel corso della guerra di mafia e vicinissimo ai boss Stefano Bontade e Mimmo Teresi oltre che a Vittorio Mangano, lo “stalliere” di Arcore, al quale era legato da un forte rapporto di amicizia. Partendo da questo suo legame con Mangano i magistrati intendono approfondire anche i rapporti di Grado con Marcello Dell’Utri “con riferimento ad investimenti operati da Cosa nostra in attività imprenditoriale riconducibile a Silvio Berlusconi”. Lo stesso Grado aveva definito l’ex senatore Dell’Utri (attualmente in galera per scontare una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa) un “cucchiaio per tutte le pentole”, “vicino a tutte le famiglie di Cosa nostra, anche se in modo particolare era vicino alla nostra”.

Nel 2012 Gaetano Grado, interrogato dalla Dna e dalla Dda di Palermo, aveva riferito di attività di riciclaggio effettuate dalla mafia negli anni ‘70 a Milano con la complicità di Marcello Dell’Utri. Un affare alquanto redditizio gestito dai boss Bontade e Teresi che a Mangano affidavano il denaro contante da portare a Milano nel doppio fondo della sua auto. Poi, quando era arrivata la guerra di mafia dei primi anni ‘80 e i due capimafia erano stati uccisi, Mangano era saltato sul carro dei vincitori. A questo punto, aveva spiegato Grado agli inquirenti, per salvare gli investimenti del fratello Antonino su Milano 1 e Milano 2 si era pensato di uccidere il Mangano, così da non permettere a Riina di trarre vantaggio da quel canale di riciclaggio. Un progetto ambizioso per l’ala dei perdenti, in difficoltà sia economica che militare, che avevano pensato di chiedere aiuto alla Camorra siglando un patto con il killer partenopeo Bruno Rossi, che ha già confermato la versione di Grado (anche se il progetto non andò mai in porto): gli scappati siciliani avrebbero realizzato degli omicidi a Napoli e i camorristi avrebbero ricambiato il favore a Palermo.
Rispondendo alle domande dei magistrati e approfondendo la questione del passaggio non solo di Mangano, ma anche di Dell’Utri, alla fazione vincente dei corleonesi Grado aveva inoltre ribadito che lo stesso passaggio sarebbe avvenuto. E che Dell’Utri avrebbe continuato a riciclare denaro e a svolgere la funzione di cerniera tra Cosa nostra e gli investimenti milanesi, in particolare dell’ex Premier Silvio Berlusconi.

DOSSIER Processo trattativa Stato-Mafia

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