di Lorenzo Baldo - 28 maggio 2015
Ma chi è quel (o quella) giornalista di Panorama che ha mandato in maniera del tutto anomala i verbali di interrogatorio dell’ex vicedirettore del carcere di Opera (Mi), Massimo Parisi, ad Aldo Fabozzi, ex direttore dell’omonima casa circondariale? E questi verbali come potevano essere nelle mani del giornalista appena una settimana dopo l’escussione dello stesso Parisi? E perché Fabozzi chiede di vedere il suo ex collega a ridosso di quell’interrogatorio mostrandosi “meravigliato” per gli argomenti trattati?
Facciamo un passo indietro riprendendo alcuni stralci di dichiarazioni rese nel 2012 dall’ex avvocato Rosario Cattafi, già condannato per associazione mafiosa, considerato anello di congiunzione tra la mafia, apparati dello Stato e l’alta finanza, nonché “aspirante” pentito. “Nel ’94 o ’95, mentre ero detenuto a Milano Opera - aveva raccontato Cattafi agli inquirenti -, fui convocato nella stanza del direttore, dottore Fabozzi. Una volta che venni portato lì trovai il dottore Di Maggio (Francesco Di Maggio, ex vicedirettore del Dap, deceduto nel ’96, ndr). Costui mi comunicò che presso il carcere di Milano Opera era o forse sarebbe arrivato il palermitano Ugo Martello, che io non conoscevo. Di Maggio mi disse che si trattava di un personaggio importante appartenente alla mafia palermitana e che proveniva dal 41 bis, che era stato collocato nel mio stesso carcere e nella mia sezione. Di Maggio mi chiese in quella occasione di recare un messaggio preciso al Martello. Mi disse di fare amicizia”. Cattafi aveva ulteriormente approfondito la questione: “Martello in sostanza, doveva riferire ai palermitani che si doveva portare avanti il discorso della dissociazione e che in cambio costoro avrebbero ricevuto dei vantaggi da parte delle Istituzioni…Di Maggio mi disse che ci saremmo risentiti e che se avevo bisogno di qualcosa lo dovevo comunicare semplicemente al dott. Fabozzi”. Dal canto suo l’ex direttore del carcere di Opera ha sempre negato con forza quanto dichiarato da Cattafi. Ma i (tanti) dubbi che aleggiano su questo episodio restano comunque intatti. Lo stesso Cattafi aveva raccontato che nella primavera del ‘93 Francesco Di Maggio lo aveva convocato in un bar di Messina, alla presenza di alti ufficiali del Ros dei Carabinieri, affidandogli un delicatissimo incarico. Secondo Cattafi lui stesso si sarebbe dovuto mettere in contatto, su incarico di Di Maggio, con l’avvocato del mafioso Salvatore Cuscunà per convincerlo ad aprire un dialogo con il boss Nitto Santapaola con l’obiettivo di far cessare le stragi compiute da Cosa Nostra. In cambio i mafiosi avrebbero ottenuto benefici penitenziari: soprattutto, la cessazione del regime 41 bis. Al di là della figura “ibrida” dello stesso Cattafi - sulla quale ancora bisogna fare piena luce - resta il ruolo, quanto meno ambiguo, di Francesco Di Maggio: una sorta di convitato di pietra dietro al quale permangono molte ombre. Che indubbiamente si sono infittite con le scarne testimonianze dei due ex funzionari del carcere di Opera.
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