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pomodoro-liviadi Aaron Pettinari - 27 febbraio 2015
“Quasi ogni sera Capriotti e Di Maggio si vedevano con il ministro della Giustizia Conso” a confermarlo è Livia Pomodoro, ex capo di Gabinetto al ministero della Giustizia. Una testimonianza la sua durata un paio d’ore che evidenzia come i rapporti tra i vertici del Dap di allora (siamo nel 1993) e l’ex ministro, fossero continui. “Che ci fossero rapporti usuali era nella norma - ha detto - anche Amato passava dal ministro quando era direttore del Dap. Gli incontri con Capriotti e Di Maggio però avvenivano quasi ogni sera. Conso era una persona che del tema carcerario si è sempre interessato. Ricordo pure di aver visto in diverse occasioni anche il monsignor Curioni. Credo si conoscesse da tempo con Conso ma poi non è che so dire altro”. Durante la sua deposizione, durata poco più di un paio d’ore, l’ex presidente del Tribunale di Milano ha cercato di spiegare meglio alcuni elementi già forniti all’audizione in commissione antimafia del novembre 2010 in merito alla mancata proroga di 334 decreti di 41 bis. Allora la Pomodoro non si trovava già più al Gabinetto, tuttavia fornì una spiegazione dicendo che era improbabile che quella scelta di non prorogare fosse arrivata in perfetta solitudine dal ministro Conso. “Come avvenne oggettivamente la scelta non lo so perché non ero lì, però posso immaginare che si sia arrivati a quel punto dopo interlocuzioni precedenti. Per quei provvedimenti si dovevano inserire nomi e decreti e certe informazioni si ricavano per forza dal dipartimento. Ripeto, non so nello specifico ma la prassi vorrebbe che ci sia stato un confronto con il dipartimento e poi magari si arriva alla firma del ministro”. Alla domanda se fosse prevista anche un’interlocuzione con il ministero dell’Interno la Pomodoro ha aggiunto: “Non lo so, personalmente non so se al ministero degli Interni si occupassero direttamente del carcerario. Io non sono a conoscenza di un’interlocuzione. Può darsi che nell’ambito della richiesta di informazioni su certi soggetti possa esservi stato uno scambio di informazioni. Ma ripeto, io non ne sono al corrente”. Non solo. Alla Commissione antimafia la Pomodoro aveva anche aggiunto che tra i possibili interlocutori vi potesse essere anche la Direzione generale degli affari penali (diretto da Liliana Ferraro, ndr). Ed in aula la Pomodoro ha detto che “Il ministro Conso poteva chiedere consigli su questioni importanti. Poteca capitare anche con l’ufficio legislativo. Ma anche Martelli lo faceva ai tempi di Falcone per il 41 bis”.

Quelle informazioni che passano dall’ufficio del Gabinetto
Tra le domande che il pm Nino Di Matteo ha rivolto alla Pomodoro anche quelle sulle serie di informative e relazioni che diversi componenti hanno indirizzato particolarmente all’ufficio del Gabinetto e all’attenzione del ministero della giustizia. Dalla richiesta di applicazione dei 41 bis alle carceri di Poggio Reale e Secondigliano, approvata da Martelli e revocata al momento dell’insediamento da Conso, per poi passare all’informativa di Parisi sulla lettera inviata da sedicenti familiari di detenuti al 41 bis (quella in cui si chiede a Scalfaro ‘manda via il dittatore Amato e gli squadristi a suo servizio’, ndr). “Dal nostro ufficio passavano diversi documenti, anche così delicati. Ma il nostro ufficio aveva solo il compito di trasmettere al ministro. Nulla di più. Non ricordo che vi siano state nello specifico scambio di pareri ed opinioni con Conso. A volte certi documenti arrivavano prima al ministro stesso e poi arrivavano da noi solo per essere diramati. Ma non so ricordare come sia andata specificatamente per questi”. Per quanto riguarda, invece, il documento del 26 giugno 1993, inviato da Capriotti, in cui si proponeva di non prorogare gli oltre trecento “41 bis” che sarebbero scaduti di lì alla fine dell' anno (a parte casi particolari), per “non inasprire ulteriormente il clima all'interno degli istituti” e dare “un segnale positivo di distensione”. “In quella nota -  ha riconosciuto la stessa teste - vi è un appunto a mia firma dove vi è scritto ‘già conferito con il ministro in attesa di ulteriore appunto già richiesto a Di Maggio’ ed ha la fata del 5 luglio”. Nel merito l’ex presidente del Tribunale di Milano ha spiegato che si trattava di un semplice appunto, una sorta di promemoria, ma non è riuscita a chiarire se quell’aggiornamento a Di Maggio fosse stato richiesto dal ministro Conso o da lei stessa. “Secondo me ho preso semplicemente nota che doveva arrivare un nuovo appunto” ha risposto al pm Di Matteo che a quel punto ha incalzato: “Ma se la nota arriva da Capriotti, capo del Dap, perché chiedere ulteriori informazioni al vice?”. Ma la risposta è stata sempre la stessa: “Non ricordo, io agivo solo burocraticamente”.

Di Maggio e le stragi del luglio ’93
Durante l’esame la Pomodoro ha anche confermato di essere stata in più occasioni a cena con lo stesso Di Maggio senza escludere di aver conosciuto altre persone in quelle cene. Uno di questi momenti “conviviali” si era verificato la notte tra il 27 ed il 28 luglio 1993, ovvero la notte delle stragi di Roma e Milano. “Ricordo che tornando dalla cena sentimmo gli scoppi. Poi ci lasciammo e accesi la tv - ha raccontato ai giudici - Poco dopo ci fa l’esplosione alla chiesa del Velabro. Alzai il telefono e chiamai Conso per avvisarlo come era mio dovere. Lui mi disse di chiamare il Presidente del Consiglio. Rintracciai il presidente tramite il segretario sulla batteria, era di ritorno da Santa Marinella. Poi chiamai Di Maggio. Cercai lui perché a cena eravamo assieme e mi disse che stava andando al ministero degli Interni. E io lo pregai di tenerci informati”. A quel punto il pm Di Matteo ricordando che il 4 giugno 2002, al pm Chelazzi, la stessa aveva risposto che Di Maggio era “l’unica persona a disposizione per avere notizie per poter dare conferme al ministro Conso”, ha chiesto per quale motivo si ritenesse che quella fosse l’unica via senza passare dagli altri ministri o dal capo della Polizia . Ma nel merito la dottoressa Pomodoro ha ribadito che l’unico motivo per cui chiamò Di Maggio era perché erano stati precedentemente a cena.
Il processo è stato infine rinviato al prossimo 5 marzo quando verranno sentiti i testi Giuseppe La Greca e Salvatore Cirignotta.


Processo trattativa, Livia Pomodoro: "Non ci ponemmo il problema sulla nomina di Di Maggio al Dap"
di Aaron Pettinari - 27 febbraio 2015

“Di Maggio? Lo conoscevo già prima che diventasse vice capo del Dap. Come si arrivò a quella nomina? Credo su decisione del ministro o forse Capriotti aveva fatto il nome. Non aveva i gradi per essere nominato? Con lui non ne parlai e sinceramente non mi posi il problema. Né so come si superarono le problematiche”. E’ l’ex Presidente del tribunale di Milano, nel 1992 al capo di Gabinetto al ministero della giustizia, Livia Pomodoro a salire sul pretorio dei testimoni al processo trattativa Stato-mafia. In una deposizione costellata di “non ricordo” e “non so”, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo (presenti in aula anche Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene), sta cercando di chiarire le vicende del periodo successivo all’avvicendamento tra Amato e Capriotti al vertice del Dipartimento penitenziario. “Venni messa a conoscenza della sostituzione a fatto compiuto. Certo è che il ministro Conso con me non ne parlò. La nomina di Capriotti credo che sia arrivata in quanto si era già occupato in passato si problematiche delle carceri mentre Di Maggio aveva un incarico a Vienna”.


Processo trattativa, ex Dap Falco: “Dopo Amato la sensazione era che Di Maggio fosse il dominus”
di Aaron Pettinari - 27 febbraio 2015
“Mi sembra di ricordare che in quella fase e operativo e gestionale successiva ad Amato pareva che il dominus fosse più Di Maggio che altri”. A raccontarlo è l’ex funzionario del Dap Paolo Falco. “Fu proprio lui a comunicarmi, dopo pochi mesi, che dovevo cambiare ufficio trasferendomi all’ufficio detenuti”. Falco ha anche riferito di alcune esternazioni raccolte tramite altri, effettuate dello stesso Di Maggio, in merito alla precedente gestione di Amato. “Diceva che doveva scoperchiare un verminaio, cercare cose sulla gestione precedente” ha riferito ai giudici.
Inoltre ha anche confermato che Di Maggio aveva dei rapporti di collaborazione con alcuni esponenti di polizia penitenziaria, tra cui vi era il generale Enrico Ragosa. Tornando alla gestione di Amato, in merito alla nota del 6 marzo 1993 Falco ha ricordato che quel documento fu “prodotto dallo stesso capo del Dap dopo una serie di riunioni con la direzione del dipartimento. Ricordo che si trattava di dare una risposta specifica ad un decreto legge del febbraio 1993”.


Ex Dap Falco: “La sostituzione di Amato? Monsignor Fabbri mi anticipò che c’era l’intenzione”
di Aaron Pettinari - 27 febbraio 2015
“Tempo prima della sostituzione Amato-Capriotti venni avvicinato da monsignor Fabbri che mi anticipò che c’era questo intendimento di sostituire Amato”. A raccontare l’episodio in aula è l’ex funzionario del Dap Paolo Falco. “Lo vidi in un’occasione privata, mi pare un matrimonio di un comune amico. Quell’intervento di Fabbri mi sembrava favorevole ad Amato quasi a dirmi di avvisarlo, di stare attenti che c’era questo intendimento. Da parte di chi? Non ricordo bene se mi parlò di Conso o del presidente Scalfaro. In quell’occasione mi parlò anche di monsignor Curioni. Ma io capì in quell’occasione l’intendimento non era dei cappellani anche se c’era malcontento per lo spostamento della sede dell’ispettorato generale dei cappellani”. “Fabbri - ha aggiunto Falco - mi disse che quella decisione era stata presa da Amato (anche se lo stesso monsignore in una precedente udienza non aveva attribuito all’ex capo del Dap quella decisione, ndr). So che i cappellani erano molto seguiti da Conso e dal Presidente Scalfaro. Poi andai da Amato ad avvisarlo ma lui mi disse di non prestare attenzione a certe sciocchezze”. Parlando del giorno della sostituzione Falco ha ricordato che “appresi del fatto andando in ufficio in quel mattino. Un avvicendamento improvviso che colse di sorpresa tutti i commessi. Io ricordo che pochi giorni prima non andai ad un convegno proprio perché Amato mi aveva assegnato un incarico. Eravamo pienamente operativi”.


Ex Dap Falco: “Conso sui 41 bis cercò Mancino. Amato rimarcò il ruolo del Dap”
di Aaron Pettinari - 27 febbraio 2015

“Ci fu una discussione su quei 41 bis. Conso cercò di mettersi in contatto con il ministro dell’Interno Mancino, so che lo cercò da un telefono fisso e forse lo chiamò a casa. Non ricordo se poi firmò o meno quei provvedimenti ma credo che in quel momento non trovò il ministro. Ricordo bene il disappunto di Amato che disse: ‘Giovanni ma queste cose non dovremmo deciderle noi? Che bisogno c’è di chiedere?’. Di fatto rivendicava la competenza del Dap in materia di 41 bis. Da quel che ricordo Conso non rispose e cercò comunque il ministro Mancino”. Così ha risposto l’ex funzionario del Dap Paolo Falco, interrogato dal pm Tartaglia sull’incontro avvenuto all’aeroporto di Ciampino tra Amato e Conso nel maggio 1993.


Ex Dap Falco: “A Ciampino nel 1993 Conso ed Amato discussero di urgenti 41 bis”
di Aaron Pettinari - 27 febbraio 2015

“Ricordo di una discussione nel maggio 1993 tra Conso ed Amato. Dovevano parlare di 41 bis”. A dirlo l’ex funzionario del Dap Paolo Falco, ascoltato quest’oggi al processo trattativa Stato-mafia. Interrogato sul punto dal pm Roberto Tartaglia Falco ha precisato che l’incontro ebbe luogo presso l’aeroporto di Ciampino. “Eravamo di rientro da una visita al carcere di Sulmona. Il periodo è verificabile perché in quell’occasione venimmo informati di un incendio con un paio di detenuti deceduti o a Sciacca o a Nicosia. Conso, che era piuttosto sensibile sui temi dei detenuti, ricordo che rimase scosso e organizzò una specie di centro operativo proprio a Ciampino. Rimanemmo tutti lì e ad un certo punto arrivò Fazioli che portò alcuni provvedimenti di 41 bis, con una certa urgenza, che il ministro doveva valutare”. Se fosse applicazione, modifica o revoca Falco in un primo momento ha detto di non ricordare, poi ha confermato quando detto in precedenza, nel 2002, al dottor Chelazzi in un interrogatorio. “Si trattava di sottoesposizione di 41 bis di detenuti di spicco”, disse allora.

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