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aula-bunker-rebibbia-4di Aaron Pettinari, Miriam Cuccu e Francesca Mondin - 13 marzo 2014
Il pentito ascoltato al processo trattativa

Pochi giorni prima del fallito attentato all'Olimpico, strage che avrebbe dovuto aver luogo il 22 gennaio 1994, Gaspare Spatuzza si trovava a Roma per incontrare “Madre natura”, Giuseppe Graviano, e mettere a punto gli ultimi preparativi prima della nuova “strage in continente”. Così come gli era stato anticipato, prima di muoversi c'era da attendere l'ordine del capomafia di Brancaccio. Ed è per questo che l'ex boss si recò, accompagnato da Antonino Scarano, anche lui condannato per le stragi del 1993.

“Ci recammo presso il bar Doney, in via Veneto a Roma – racconta Spatuzza ai pm Del Bene e Di Matteo - Già fuori c'era Giuseppe Graviano ad attenderci. Lui era latitante e sebbene sarebbe dovuto salire in macchina mi invita ad entrare al bar per consumare qualcosa. Aveva un'aria gioiosa e mi disse che avevamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa. Io capii che alludeva al progetto di cui mi aveva parlato già in precedenza, in un altro incontro a Campofelice di Roccella”. “Poi – ha spiegato – aggiunse che quelle persone non erano come quei quattro crasti (cornuti, ndr) dei socialisti che prima ci avevano chiesto i voti e poi ci avevano fatto la guerra”. “‘Ve l’avevo detto che le cose sarebbero andate a finire bene’”, avrebbe detto Graviano. “Poi – ha continuato – mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani”. E per Paese, specifica Spatuzza, "intendo l'Italia”.
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, che grazie alle sue rivelazioni ha rimesso in discussione la verità sulla strage di via d'Amelio, mostrano quella che per l'accusa del processo trattativa Stato-mafia è l'ultima parte di quella trattativa che ha avuto luogo tra il 1992 ed il 1994.
E' stato poi lo stesso Spatuzza, durante la deposizione, a spiegare come “A giugno del 2009, durante un interrogatorio coi pm di Firenze seppi che le Procure di Palermo e Caltanissetta avevano dato parere favorevole per la concessione del programma provvisorio di protezione e allora capii che dovevo chiarire alcuni omissis come quelli relativi a Berlusconi e Dell'Utri”.
Un ragionamento, quest'ultimo, inserito all'interno di uno sfogo, alludendo alla decisione della commissione di non concedergli il programma di protezione, decisione poi bocciata dal Tar: “Se abbiamo consegnato la verità alla Storia non è certo per la Commissione pentiti presieduta da Mantovano e da chi l'ha istigata”.  L'ex boss di Brancaccio ha anche ripercorso il motivo che lo ha condotto alla collaborazione avviata a marzo del 2008. “Volevo chiudere i conti con un passato che mi stava avvelenando - ha detto - Ma c'era un problema serio con i processi chiusi di via D'Amelio e col versante politico che mi avrebbe potuto creare problemi come poi avvenne. Io ci credo alla giustizia e sono qui per la verità e per chi l'aspetta La mia collaborazione è vera e seria e lo dimostrano le sentenze".

Il “colpo di grazia”
Nel corso dell'udienza che si è tenuta presso l'aula bunker di Rebibbia sono stati numerosi gli argomenti trattati a cominciare proprio dal “colpetto” da dare, nonostante l'obiettivo raggiunto. “Sentendo le parole di Graviano al bar Doney io ho provato a dire se non fosse il caso di occuparci di Totuccio Contorno, (pentito sospettato di essere il responsabile dell’omicidio di Michele Graviano, padre di Giuseppe, nonché responsabile della scomparsa di Salvatore Spatuzza, fratello di Gaspare ndr). Lo avevamo rintracciato a Roma ma Graviano disse 'lascia stare Contorno perché l’attentato ai carabinieri si deve fare lo stesso sia perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia sia perché per Contorno dobbiamo trovare un tipo di esplosivo diverso” da quello fino a quel momento usato per evitare che le forze dell’ordine possano mettere in collegamento quell’attentato mafioso a quegli attentati del 1993.

Le stragi e “le morti che non ci appartengono”
Una strategia stragista messa in atto dai capi della Cupola per indurre lo Stato a più miti consigli, ed ottenere così benefici e privilegi da loro richiesti (primo fra tutti la revoca o l’ammorbidimento del carcere duro) che ha compreso non solo omicidi eclatanti di chi stava mettendo i bastoni tra le ruote a Cosa nostra e agli apparati a lei contigui (vedi Falcone e Borsellino) ma anche il sacrificio di semplici cittadini e, in particolare, di carabinieri. “Ci siamo portati dietro morti che non ci appartengono” disse Spatuzza a Giuseppe Graviano ad un appuntamento a Campofelice di Roccella, in un periodo compreso tra la fine del ’93 e gli inizi del ’94. Quel giorno il boss di Brancaccio, alla presenza dell’ex killer (successivamente reggente del mandamento) e di Cosimo Lo Nigro, genero del boss Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo per la strage di via D’Amelio, “ci comunica che siamo lì per pianificare un attentato contro un bel po’ di carabinieri”. Un bersaglio che era già finito in precedenza nel mirino di Cosa nostra, quando si iniziò a parlare dell’attentato alle due torri di viale del Fante a Palermo, sede della Dia, “dopo l’attentato di Firenze e prima di quelli a Roma e Milano” all’interno delle quali per “conoscenze personali” si sapeva che lì “alloggiassero collaboratori di giustizia” oltre ad essere presenti esponenti della Dia e il “capitano dei Carabinieri Miranda”. “L’obiettivo indicato era quello delle torri e dei carabinieri, che poi la vicenda dell’Olimpico (il progetto dell’attentato allo Stadio Olimpico a Roma poi fallito, ndr) è un prosieguo della strategia contro i carabinieri in generale e l’occasione della presenza del capitano era un’eventualità in più da valutare, ma non era l’obiettivo” precisa Spatuzza. Quel progetto stragista a Palermo rimane ad ogni modo “allo stadio embrionale” per poi sfumare in un nulla di fatto.
A Campofelice, invece, si gettano le basi per la mancata strage allo Stadio Olimpico che il 23 gennaio 1994 fallì per il malfunzionamento dell’attivazione dell’ordigno a distanza. Ma inizialmente Spatuzza avanza qualche perplessità al boss Graviano, con il quale coltiva un’amicizia di lunga data: “Per Capaci e via D’Amelio - spiega il pentito alla Corte - per quello che mi riguarda erano nemici anche miei, anche se non li ho mai conosciuti, e in quell’ottica per me andava bene anche usare modalità terroristiche…  ma quando andiamo a mettere cento e passa chili di esplosivo in una strada abitata non è più qualcosa… stiamo andando verso qualcosa che non ci appartiene più”. Per tutta risposta Graviano, dopo aver domandato se “ci intendevamo di politica” - ed aver ricevuto una risposta negativa -  replica che “chi si deve muovere si dà una smossa” e che “c’è una situazione che se va a buon fine avremo tutti benefici, a partire dai carcerati”. Qualcosa di grosso, intuisce Spatuzza, era effettivamente in corso. Se infatti “Graviano dice ‘c’è una cosa in piedi’ - precisa - per me è una trattativa se la trattiamo in quel filo logico di quello che si è discusso in quella riunione. Se non è trattativa questa che cos’è?”.
Successivamente, dunque, dopo che Giuseppe Graviano “ci dà l’incarico con l’autorizzazione per la fase esecutiva”, “io, Giacalone, Grigoli, Giuliano e Lo Nigro buttiamo una bozza su come pianificare l’attentato. Si decidono a Palermo le modalità, l’esplosivo…”. Spatuzza parla di alcune anomalie che contraddistinguono il fallito attentato: il fatto che “Giuseppe Graviano non ha mai presenziato agli attentati a Firenze, Roma e Milano” mentre in questo caso “ha deciso di presenziare nella fase quasi esecutiva” e “di salire su a Roma”, e la presenza di “tutto il gruppo di fuoco”, sei o sette persone che dovevano muoversi tutte insieme, quando “in tre eravamo più che sufficienti”.

Quegli interessi di tutte le mafie
Secondo Spatuzza c’erano anche i calabresi a spingere per una trattativa Stato-mafia ma in seguito, nel primo periodo della sua detenzione, il pentito riportò a Giuseppe Graviano (anch’egli detenuto) di alcune “lamentele che giravano in carcere” per opera “soprattutto di napoletani e di qualche calabrese” che “attribuivano a noi siciliani la responsabilità del 41bis… all’ala stragista”. Graviano replicò: “E’ bene che parlassero con i loro padri che gli sanno dare tutte le indicazioni dovute”. Per ‘padri’ il capomafia intendeva “i responsabili, i capifamiglia” che sia in Calabria che in Campania sarebbero stati parte attiva, “tutti partecipi a questo colpo di Stato”. Altrimenti, aggiunge Spatuzza, “non avrebbe senso per Giuseppe dirmi che ‘i calabresi si sono mossi’…”.

L'omicidio di Padre Puglisi
Spatuzza, in precedenza, aveva parlato dell'omicidio di padre Pino Puglisi. "Purtroppo, e mi dispiace tantissimo, ho commesso una quarantina di omicidi assumendo vari ruoli. Tra questi vi è quello di Padre Puglisi. Lui voleva impossessarsi del nostro territorio. Prima lo controllammo, poi si decise di ucciderlo. Volevamo simulare un incidente perché sapevamo che un omicidio di un prete avrebbe avuto conseguenze, poi però optammo per un tentativo di rapina”. “Era un sacerdote che andava per conto suo - ha raccontato -. E dava fastidio. Quella della sua eliminazione era una pratica aperta da almeno due anni. In piena campagna stragista nonostante avessimo sospeso le attività ordinarie, dovemmo occuparci di don Puglisi: questo per fare capire quanto dava fastidio”.

Da via d'Amelio alle stragi del 1993
Spatuzza ha parlato anche dei preparativi per la strage di via D'Amelio in particolare sul giorno antecedente la strage in cui la Fiat 126 che lui stesso aveva rubato è stata condotta in uno scantinato alla presenza di uomini di mafia ed un personaggio misterioso: “Quando consegnai la macchina vi erano Fifetto Cannella, Antonino Mangano e Renzino Tinnirello più un'altra persona che non avevo mai visto prima. L'ho sempre descritto come un negativo sfocato di una fotografia, non era ragazzo, forse sulla cinquantina ma posso dire al cento per cento che non era persona di mia conoscenza e appartenente a Cosa Nostra. Che fosse al corrente di quel che si stava facendo ne sono sicuro perché quando, uscito dalla macchina, parlai con Fifetto Cannella non venni stoppato”. Spatuzza sostiene di non averlo più rivisto in nessun’altra occasione. “Se quella persona era estranea Tinnirello mi bloccava subito sul nascere” suppone l’ex killer, che dichiara di non essersi posto alcuna domanda in merito alla presenza del soggetto sconosciuto perchè “per me la garanzia era Giuseppe Graviano”. Filippo e Giuseppe Graviano vengono successivamente arrestati nel gennaio ’94, un arresto che a detta di Spatuzza veniva considerato “un’anomalia”. “C’era il sospetto che i fratelli Graviano fossero stati venduti”.
Rispondendo alle domande del pm Nino di Matteo il collaboratore di giustizia ha poi raccontato della riunione in un villino a Santa Flavia, dove venne progettato l'attentato di Firenze. La riunione si tenne alcune settimane prima della strage di via dei Georgofili del 27 maggio 1993: "I ciceroni erano Matteo Messina Denaro e Giusepppe Graviano.. per quello che ho capito già erano a conoscenza dei posti, la riunione era per far capire a noi… loro già erano stati in questi posti… Noi partimmo da Palermo con l'obiettivo già fissato, avevamo la foto e l'indirizzo del monumento da colpire". La decisione sul momento preciso nel quale effettuare l'attentato invece venne lasciata al gruppo di fuoco:”Avevamo facoltà nostra perchè era complicato”. “Io ho solo imbottito l'auto, i ragazzi sono andati a posizionare il fiorino” ma "quando rientrano Lo Nigro mi dice che non avevano centrato l'obiettivo …il fiorino… era stato posteggiato alcuni metri prima". Per quanto riguarda le stragi di Milano e Roma Spatuzza risponde che  a Roma, differentemente da Firenze, viene lasciata a discrezione  propria e di Lo Nigro la scelta dell'obiettivo da colpire ma viene data precisa indicazione sul quando colpire. "Già era stato consolidato anche il giorno in cui doveva avvenire il triplice attentato…era stata stabilito anche il giorno, l'ora attorno alle 23 o 24… tutto preordinato…" mentre per quanto riguarda la scelta del sito da colpire dichiara:"Quando siamo arrivati la mattina, abbiamo fatto un vasto giro… Non so se gli era stata data indicazione ma posso dire che gli obiettivi li abbiamo scelti noi..io non conoscevo Roma, lui (Lo Nigro, ndr) mi guidava." Dietro questa guida se ci fossero ulteriori guide o indicazioni Spatuzza non sa dirlo ma dichiara che “lui andava a sensazione e dava l'idea di essere più coscente”.  Entra poi nel merito degli esplosivi utilizzati per armare le autobombe e specifica che era composta da due tipi di esplosivo, quello che procuravano loro, uomini di Brancaccio dai fondali marini, e uno di consistenza gelatinosa a lui sconosciuta sia la provenienza che i soggetti che la procuravano:”Dall'esplosivo che avevamo già preparato si teneva di conto delll'altro esplosivo che doveva arrivare da fuori, non ricordo se di Messina o Catania, esplosivo che poi ho avuto modo di utilizzare per strage di Firenze” io per la prima vota l'ho visto quando sono stati  fatti i colli che è stata preparata la spedizione a Palermo ...quest'operazione è stata fatta in un magazzino in affitto di Lo Nigro Cosimo, non so chi gliel'ha dato ”.
Spatuzza racconta inoltre che per finanziare queste trasferte erano stati presi in seria considerazione i sequestri di persona, progetto successivamente accantonato: "le vittime erano un bambino parente di un imprenditore che aveva una fabbrica di argenteria a Brancaccio, un certo D'Agostino, e uno del giornale di Sicilia…il progetto - continua il teste - era in fase avanzata perché erano già stati valutati i luoghi dove nasconderli". Il processo è stato rinviato a domani quando si terrà il controesame.

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