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mannino-calogero-web1di Lorenzo Baldo - 4 dicembre 2013
Tra le parti civili ammesse anche Salvatore Borsellino e le Agende Rosse
Palermo.
La notizia arriva inaspettata. Tutte le richieste di costituzione di parte civile nel processo a Calogero Mannino, in uno stralcio del procedimento per la trattativa Stato-mafia, sono state ammesse. Lo ha deciso il gup Marina Petruzzella. Tra queste: l’Associazione familiari vittime strage di via dei Georgofili, Rifondazione Comunista, i comuni di Palermo e Firenze, il Centro Pio La Torre, la Regione Siciliana e la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’Associazione nazionale vittime di mafia e Cittadinanza per la magistratura. Decisamente importante l’ammissione dell’associazione Agende Rosse di Salvatore Borsellino (non ammessa invece nel processo madre sulla trattativa Stato-mafia). Il fratello del giudice assassinato in via D’Amelio parteciperà quindi alle udienze nelle quali verrà approfondita quella ignobile trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra nei confronti della quale lo stesso Paolo Borsellino si era opposto con tutte le sue forze.

Antefatto
Il 23 febbraio 2012 era uscita la notizia che l’ex ministro democristiano, Calogero Mannino, era indagato dalla Procura di Palermo per violenza o minaccia a un corpo politico o istituzionale dello Stato nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Come è noto quell’inchiesta è confluita in un processo iniziato da qualche mese, mentre la posizione di Mannino è stata stralciata.
Di fatto dopo un paio di rinvii, e una sospensione per motivi di salute dello stesso imputato, inizia finalmente oggi il processo con rito abbreviato che vede l’ex sottosegretario al Tesoro alla sbarra. Il gup Petruzzella dovrà ora valutare il ruolo dell’ex deputato Dc all’interno del patto scellerato tra mafia e Stato. Quali “pressioni” avrebbe esercitato Mannino ai fini dell’alleggerimento del regime carcerario del 41 bis per numerosi mafiosi a fronte dei timori per la propria incolumità sorti prima e dopo l’omicidio di Salvo Lima? Per comprendere meglio questa storia occorre mettere insieme alcuni pezzi di questo mosaico tuttora incompleto.

L’ex ministro viene graziato
Come è risaputo ancora prima dell’assassinio di Lima (12 marzo 1992) una serie di circolari provenienti soprattutto dai Servizi avverte del rischio di attentati alle principali cariche dello Stato. Tra i diversi minacciati, oltre ad Andreotti e Vizzini, c’è anche Mannino. Sta di fatto che all’ex ministro viene però risparmiata la vita. A raccontarlo è un diretto protagonista di quei tempi: Giovanni Brusca. “Era tutto pronto – aveva sottolineato ai magistrati il boia di Capaci – quando Riina mi fa sapere, tramite Biondino Salvatore, di fermarmi che c’era un altro lavoro in corso”. L’altro lavoro era la strage di via D’Amelio, organizzata ed eseguita con un’accelerazione del tutto anomala, così da eliminare Paolo Borsellino ritenuto un “ostacolo” alla trattativa stessa. Totò Riina decide quindi di risparmiare quegli altri politici che aveva messo nella “black-list” di Cosa Nostra durante le riunioni preparative della strategia stragista. Ma quali “input” esterni riceve il capo dei capi, e da chi? Nell’ottobre del 2009 l’allora procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, aveva lanciato una sibillina provocazione: “La trattativa ha salvato la vita a molti politici”. I successivi chiarimenti dell’attuale presidente del Senato non avevano però dipanato i dubbi e le perplessità che queste sue dichiarazioni avevano creato.

Subranni e Mannino
Un ulteriore dato di fatto riguarda poi gli ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno che, proprio a cavallo delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, incontrano Vito Ciancimino, l’interlocutore politico preferito dei corleonesi, con l’obiettivo di instaurare un canale di comunicazione finalizzato a trovare il modo di “mettere fine alle stragi”. Da evidenziare che l’unico a conoscenza di quel dialogo (su ammissione dell’ex colonnello Mori al processo di Firenze) è il suo superiore del Ros, il gen. Subranni, amico di Calogero Mannino. Di fatto la Procura di Palermo suppone che in quegli incontri Riina fece consegnare al Ros il famoso “papello”, l’elenco di richieste di Cosa Nostra in cambio di una ritrovata pax mafiosa. Tra queste richieste c’è proprio l’annullamento del 41 bis. La cronologia dei fatti aiuta a comprendere meglio gli eventi collegandoli tra loro.

La profezia
Nel mese di febbraio ’92 (dopo il verdetto della Cassazione sul maxi processo) Mannino riceve a casa una corona di crisantemi. Pur avendo capito perfettamente quale messaggio di morte rappresentasse, si guarda bene dal denunciarlo. Qualche giorno dopo, però, confida al maresciallo Giuliano Guazzelli: “Ora uccidono me o Lima”. E così accade. Il 12 marzo Salvo Lima viene assassinato a Mondello. Tre settimane dopo, il 4 aprile, viene barbaramente ucciso anche Guazzelli. L’ex ministro democristiano vive nel terrore. Per gli inquirenti l’eliminazione del maresciallo Guazzelli (di fatto mai del tutto chiarita) sarebbe stata decisa, dopo l’omicidio Lima, per lanciare un ulteriore messaggio di minaccia proprio a Mannino. Il sottoufficiale dei carabinieri aveva a tutti gli effetti un filo diretto con l’ex deputato democristiano ed era diventato una sorta di trade-union tra lo stesso Mannino e Antonio Subranni. A darne conferma agli inquirenti era stato successivamente Riccardo Guazzelli, figlio di Giuliano, che aveva rivelato quell’incontro particolare, avvenuto prima dell’omicidio Lima, nel quale Mannino aveva esternato al maresciallo il suo terrore di essere ucciso. Un’altra conferma era giunta dalle annotazioni dell’ex colonnello del Ros, Michele Riccio, il quale, il 13 febbraio 1996, aveva scritto di suo pugno: “Sinico, confermato Subranni aveva paura della morte di Guazzelli (maresciallo) vicino a Mannino, De Donno fu fatto rientrare di corsa dalla Sicilia - Guazzelli fu avvertimento per Mannino e soci?”. Dopo l’omicidio di Guazzelli, Mannino incontra più volte a Roma il gen. Subranni. Una volta, lo convoca insieme all’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada.

Mannino e il 41bis
Successivamente, secondo l’ipotesi accusatoria dei magistrati palermitani, Mori avrebbe quindi contattato Vito Ciancimino per avviare una trattativa che vedrebbe tra i protagonisti proprio Calogero Mannino quale autore di “pressioni per un ammorbidimento del 41 bis”. Sta di fatto che nei primi mesi del ’93 uno scambio epistolare tra l’amministrazione penitenziaria e il Ministero dell’Interno ci rivela che all’epoca esisteva una grande fibrillazione attorno alla possibilità di prorogare o meno i decreti di 41bis a scadenza annuale. Una discussione che si protrae nonostante le bombe di Roma, Firenze e Milano e che prende forma nel mese di novembre di quello stesso anno con la mancata proroga del 41bis per oltre 300 boss. Anni dopo l’ex Guardasigilli dell’epoca, Giovanni Conso, afferma di aver agito “in solitudine, senza informare nessuno”. A smentirlo: testimonianze e documentazione del biennio stragista. Tra queste carte basta citare la nota del Dap del 26 giugno 1993 con la quale viene prevista una riduzione dei provvedimenti applicativi del 41bis in relazione proprio ai quegli oltre 300 decreti emessi nel novembre del ‘92. Quel documento, così come scritto, è mirato a rappresentare un vero e proprio “segnale di distensione” a Cosa Nostra. Lo stesso motivo per cui, a dire dell’ex ministro della giustizia, Conso, avrebbe lasciato scadere quelle proroghe.

Il “gioco grande”
E ‘ evidente che la trattativa partorita dai sistemi criminali dentro i quali si muove anche Cosa Nostra non si limita unicamente alla questione del 41bis. Il processo attualmente in corso davanti alla Corte di Assise cercherà di fare luce a 360° su quel “gioco grande”, individuato da Falcone e Borsellino, all’interno del quale si agitano poteri più o meno occulti. Poteri che hanno visto - e che vedono - tra le loro file uomini delle istituzioni di primissimo piano che si sono macchiati le mani del sangue di tanti innocenti. Il ruolo di Calogero Mannino (ex imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, assolto definitivamente dopo un lungo iter processuale con esiti alterni), nella trattativa tra Stato e mafia va quindi posto sotto le lenti di ingrandimento.

Prima strategia della Difesa
Come prima strategia difensiva uno dei legali di Mannino, l’avvocato Carlo Federico Grosso, ha sollevato eccezione di “incompetenza territoriale del tribunale di Palermo rispetto al reato contestato nel capo di imputazione. Poiché – ha specificato il legale – l’omicidio Lima sarebbe l’atto prodromico della trattativa che in concreto si sarebbe svolta a Roma dove ci sono stati i contatti tra Ciancimino e i carabinieri e dove per altro ha sede il Governo, è competente l’autorità giudiziaria romana, salvo poi stabilire se sia competenza del Tribunale dei ministri o meno”. La Procura ha chiesto un rinvio per replicare alle eccezioni della difesa. Il processo è stato quindi rinviato al 7 febbraio 2014.

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