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napolitano-c-ansa-togaTra i testimoni chiamati dalla Corte di Assise anche il presidente del Senato, Piero Grasso
di Lorenzo Baldo - 17 ottobre 2013
Palermo. “La Consulta afferma la ‘riservatezza assoluta’ delle conversazioni del Presidente, legata all'esercizio delle sue funzioni, e l'esigenza di una ‘tutela rafforzata’ a salvaguardia del sistema costituzionale”. Fin dai primi stralci della sentenza scritta dai giudici relatori Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo (depositata lo scorso 15 gennaio) era emerso chiaramente lo scudo protettore elevato nei confronti di Giorgio Napolitano. Di fatto quella sentenza aveva portato alla distruzione delle famose intercettazioni tra il privato cittadino Nicola Mancino (ora imputato nel processo sulla trattativa) e l’attuale Presidente della Repubblica. E proprio quello scudo protettivo partorito dalla Corte Costituzionale aveva convinto molti detrattori del procedimento “Bagarella + 9” che la richiesta della Procura di Palermo di citare come teste Napolitano non sarebbe stata accolta. E invece no. Come è noto i pm di questo processo avevano avanzato questa richiesta per fare luce sulle confidenze che lo stesso capo dello Stato avrebbe ricevuto da Loris D'Ambrosio. Il 18 giugno 2012, un mese prima di morire, l’ex consigliere aveva scritto una lettera a Napolitano nella quale, tra l’altro, si diceva fortemente preoccupato “per essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. Per i magistrati era quindi necessario chiarire questo passaggio chiedendo spiegazioni direttamente al destinatario di quelle recriminazioni.

La decisione dei giudici su Napolitano
Con un po’ di ritardo sull’orario di apertura del processo il presidente della II sezione della Corte di Assise, Alfredo Montalto, ha quindi ammesso la testimonianza di Giorgio Napolitano (inserito nella lista dei 176 testimoni citati dalla procura) nei “limiti” fissati dalla Corte Costituzionale. “La testimonianza del Presidente della Repubblica – è scritto nell’ordinanza della Corte – è espressamente prevista dall’articolo 205 del codice di procedura penale, che disciplina, infatti, le modalità della sua assunzione. Tuttavia, deve tenersi conto dei limiti contenutistici che si ricavano dalla sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012 e, pertanto la testimonianza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano richiesta dal P.M. può essere ammessa nei soli limiti delle conoscenze del detto teste, che, secondo quanto è dato rilevare dalla lettura dell’articolato di prova anche sotto il profilo temporale, potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali, pur comprendendovi in esse le ‘attività informali’, comunque coessenziali alle prime e coperte da riservatezza di rilievo costituzionale secondo quanto si ricava dalla sentenza citata”. Ergo: Napolitano potrà essere interrogato solamente se le esternazioni di D’Ambrosio risultino al di fuori delle funzioni presidenziali. In sostanza prima (o appunto al di fuori) di contatti formali intercorsi con il suo consigliere giuridico. Di fatto il presidente della Repubblica non ha mai nascosto che, al di là della collaborazione professionale con D’Ambrosio, vi fosse ugualmente un rapporto di amicizia. Una cosa è certa: se Napolitano vorrà realmente fare chiarezza una volta per tutte su quelle frasi tanto inquietanti potrà farlo in quanto la stessa “riservatezza” citata più volte nella sentenza della Consulta è una “prerogativa del Presidente della Repubblica”. Nel momento che verrà ascoltato al Quirinale Napolitano si troverà perciò di fronte ad un bivio. Potrà trincerarsi dietro la spiegazione che i riferimenti della lettera di D’Ambrosio rientrano all’interno delle sue funzioni presidenziali, oppure dire tutta la verità su quei timori legati ad “indicibili accordi” che hanno portato il suo consigliere giuridico a morire di infarto. Il Capo dello Stato ha quindi la possibilità di passare alla storia come il presidente che ha contribuito al raggiungimento della verità su quelle ignobili trattative sulle quali si sono appoggiati i vari governi che si sono succeduti, oppure passare come l’ultimo obbediente servitore di quei “sistemi criminali” che ancora tengono sotto ricatto la nostra fragile democrazia.

L’ordinanza di Montalto
In merito alle “prove dichiarative” il presidente della Corte di Assise ha scritto che non può essere ammessa la testimonianza di Vittorio Teresi, Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato (richiesta dalla difesa degli imputati Mori, Subranni e De Donno) a fronte del divieto sancito per coloro che “svolgono o hanno svolto la funzione di pubblico ministero nel medesimo procedimento”.  Stessa opposizione all’acquisizione dei verbali delle dichiarazioni di Ingroia e Teresi rese in altri processi. Per quanto riguarda invece l’ammissione del “papello” e dell’esposto anonimo denominato “corvo2” la Corte ha ritenuto che i suddetti documenti “costituiscano, in ogni caso, corpo del reato” in quanto gli stessi “sono stati individuati quali strumenti diretti (nel caso del primo, in relazione alle richieste cui veniva subordinata la cessazione dell'attività stragista) o indiretti (nel caso degli altri due, in relazione ai timori suscitati nell’On. Mannino e nelle Istituzioni) della minaccia contestata al capo a) della rubrica”. Ecco allora che il “papello” e il “corvo2” sono stati ammessi. Allo stesso modo tutti “i documenti rappresentativi di pubblicazioni giornalistiche o editoriali” proposti sia dai pm sia dalle difese sono stati ammessi “con i limiti di utilizzazione già precisati dalle stesse parti richiedenti, quelli cioè connessi alla rappresentazione del loro fatto storico ed alla contestualizzazione temporale delle conoscenze in essi manifestate”. E’ entrato quindi nel processo sulla trattativa anche l’audio dell’intervista al pentito della “Cupola”, Salvatore Cancemi, realizzata dal nostro direttore, Giorgio Bongiovanni, e confluita nel libro “Riina mi fece i nomi di…” nel quale, tra l’altro, si parla di una mancata cattura di Provenzano. La nota redatta dal personale del G.O.M. del carcere di Opera è stata ugualmente ammessa in quanto è stata proposta dal pm senza la parte relativa alle dichiarazioni di Totò Riina. Allo stesso modo è stata ammessa la documentazione relativa ai viaggi compiuti dal depistatore nero, Paolo Bellini, negli anni ’91/’92.  Non sono state ammesse invece le trascrizioni delle intercettazioni effettuate in altri processi nei confronti di Olindo Canali e di Massimo Ciancimino (di cui la difesa di Subranni, Mori e De Donno aveva chiesto l’acquisizione).

I 176 testimoni
L’elenco dei testimoni chiamati dalla procura è lungo 46 pagine. Accanto ad ogni nome c’è una motivazione che il Presidente della Corte di Assise ha ritenuto valida. Alla prossima udienza del 24 ottobre verranno sentiti il questore Rino Germanà e Susanna Lima. Successivamente, giovedì 7 novembre, i primi collaboratori di giustizia ad essere sentiti in videoconferenza saranno Francesco Onorato e Giovanbattista Ferrante. Per quanto riguarda i pentiti Leonardo Messina, Giovanni Brusca e Antonino Giuffrè la Corte si riserverà la modalità della loro escussione alla prossima udienza. Nel frattempo l’avvocato di Riina e Bagarella, Giovanni Anania, ha sottolineato che la difficoltà economica dei suoi assistiti gli impedirà probabilmente di essere presente alle trasferte fuori sede. “La carta di credito della povertà non è accettata”, ha evidenziato Anania. Decisamente un ossimoro di fronte alle immense ricchezze di Cosa Nostra.

In foto: Giorgio Napolitano © ANSA

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