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Nell'audizione una prima relazione sulle informative della Dia acquisite agli atti

Quella delle stragi è una storia che affonda le proprie radici nel passato e su uno scenario che travalica i confini italiani, in uno scenario condizionato dai cambiamenti internazionali. E' questa la sensazione che si ha nell'ascoltare l'audizione del commissario capo della Dia, Michelangelo Di Stefano, davanti alla Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria (Presidente Bruno Muscolo, a latere Giuliana Campagna) nel processo d'appello 'Ndrangheta stragista. Chiamato a deporre sulle due informative da lui redatte con gli accertamenti alle richieste della Procura generale, rappresentata in aula dal Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha messo in fila una lunghissima serie di fatti ed episodi che allargano ulteriormente il quadro emerso con la sentenza di primo grado che ha visto le condanne all'ergastolo degli imputati Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi il 19 gennaio 1994 sull’autostrada all’altezza dello svincolo di Scilla. 
Accompagnato da delle slides, utili per facilitare la comprensione soprattutto ai giudici popolari sono stati evidenziati diversi temi, a cominciare dall'omicidio dell'educatore carcerario Umberto Mormile (ucciso nell'aprile 1990) fino ad arrivare al ruolo avuto da Domenico Papalia, descritto nel 1996 dal pentito Nunziato Romeo come il "vertice della 'Ndrangheta". Quel Papalia di cui parla il boss di Altofonte Nino Gioé in quella misteriosa ultima lettera che avrebbe scritto prima di suicidarsi la notte del 28 luglio 1993. 
Sempre quel Papalia che, ha comunicato oggi il Presidente Muscolo, ha inviato una missiva alla Corte d'Appello. Una lettera in cui rigetta ogni accusa e si lamenta delle inchieste del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo per poi scagliarsi contro i pentiti definiti "falsi collaboratori di giustizia" e "millantatori". "Io sono in carcere da 45 anni e se collaborassi con i servizi segreti - scrive - non sarei ancora qui, con la certezza di finire i miei giorni in carcere". Papalia ha anche contestato le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, Annunziato Romeo, che dovrà essere sentito più avanti nel processo d'Appello. E infine conclude: "Sono in carcere da mezzo secolo e non vedo come si possa dare credito a Romeo che sono al vertice nazionale della 'Ndrangheta. Anche se esistesse tale organismo non verrebbe certo affidato a un pastore ignorante dell'Aspromonte". Eppure i pentiti lo indicano come il soggetto che aveva i rapporti con i Servizi di sicurezza. Servizi che gli avrebbero suggerito di usare la sigla "Falange Armata" per rivendicare il delitto Mormile. 


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L'educatore carcerario, Umberto Mormile


La vicenda Mormile e la Falange Armata
Nella sentenza di primo grado si era giunti alla conclusione che "dietro la sigla Falange Armata in relazione ai delitti inseriti nella strategia stragista, con finalità di natura politico-eversiva ideata da Cosa nostra, ed appoggiata dalla 'Ndrangheta, vi siano certe connivenze di soggetti appartenenti ai servizi segreti deviati, in termini quantomeno di favoreggiamento dei responsabili, mediante il suggerimento di tecniche e modalità idonee a provocare una forte reazione dell'opinione pubblica, per realizzare il cambiamento di rotta auspicato dalle mafie più potenti del Paese". Dunque, per quella Corte, "si intravede il coinvolgimento di ulteriori soggetti che hanno concorso nell'ideazione e la deliberazione degli eventi in esame. Non vi sono state solo le organizzazioni criminali, ma anche tutta una serie di soggetti provenienti da differenti contesti politici, massonici, servizi segreti che hanno agito al fine di destabilizzare lo Stato". Da questa premessa la Dia si è mossa anche per rispondere alle richieste di approfondimento investigativo. 
Così si è cercato di spiegare cosa vi fosse dietro la sigla Falange Armata, se vi fosse una relazione con Gladio e le attività Stay Behind. Il teste ha ricordato come vi fu un'attività svolta dal Presidente del Consiglio e dal segretario del Cesis, all'intento del Sismi, per cercare di comprendere quali fossero i soggetti all'interno della struttura, "ma buona parte di questa documentazione è andata distrutta"


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La morte di Gioé
"Gioé è un responsabile della strage di Capaci - ha detto Di Stefano - sarebbe stato in procinto di una collaborazione giudiziaria. E c'è da capire se sia stato suicida o suicidato nel carcere di Rebibbia la notte successiva alle bombe del 28 luglio 1993. Vedremo che Gioé era anche un paracadutista che aveva fatto servizio, seppur militare di leva, presso la caserma Vannucchi, dove ha sede il primo battaglione paracadutisti dei Carabinieri e che in diversi atti di indagine era indicato come soggetto in grado di svolgere operazioni di intelligence". "Gioé - ha aggiunto il commissario capo - si trovava rinchiuso nello stesso penitenziario in cui era rinchiuso Riina. Da inchieste è emerso che Riina avrebbe avuto la disponibilità di un cellulare e che sarebbe dovuto essere trasferito in un altro carcere. In quel contesto, da poco, era diventato direttore del Dap Francesco Di Maggio. Soggetto che era stato in precedenza ai vertici del Commissariato antimafia". 
Parlando del delitto di Gioé il teste, mostrando anche le immagini, ha parlato di "un'alterazione della scena del crimine" e successivamente, parlando della lettera rinvenuta "sull'aspetto forense quella lettera di quattro pagine rileva una serie di anomalie sia per quanto riguarda la caduta linguistica che grafica. Parliamo di un soggetto che scrive con la mano destra. Nella prima parte della lettera ha una scorrevolezza secondo il rigo di scrittura. Nella seconda parte c'è una caduta verso destra ed è spiegabile sul punto di vista forense, con uno stato di depressione. Ma la prima parte ha una consistenza linguistica con dei contenuti che fanno rimando ad una terminologia giuridica, raffinato-burocratese, che diventano quasi elementari nell'ultima parte". "Il contenuto della lettera è stata mostrata a persone legate a lui - ha detto Di Stefano - e le conclusioni sono come le nostre, ovvero che quello scritto sia stato fatto sotto dettatura". Nel corso dell'esame il commissario ha anche ricordato il fatto che a distanza di 48 ore dai fatti la lettera sarebbe uscita fuori dal contesto carcerario, finendo nelle mani di un giornalista che scrisse un articolo dal titolo "Cara mafia mi suicido". "Al tempo vi fu un'indagine - ha detto il teste - da successivi approfondimenti abbiamo rilevato che tra le persone che avevano un rapporto confidenziale con quella testata giornalistica vi fosse il generale Francesco Delfino, ma anche il colonnello Mori. Detto riscontro fu rilevato dall'agenda dello stesso Mori e evidenziato durante un esame del dottor Chelazzi"


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Uno scatto d'archivio di Vincenzo Li Causi (a destra), tratta dal libro "Skorpio. Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto"


Il trasferimento di Li Causi
Altra figura approfondita nell'informativa è quella di Vincenzo Li Causi, "un appartenente interno al Sismi che aveva coordinato il centro Scorpione di Gladio, istituito al fine di addestrare operatori di Gladio, a Trapani, dove nello stesso periodo era presente la famosa loggia massonica Scontrino".
Mentre a Roma e Milano esplodevano le bombe, e moriva in cella Antonino Gioé,  parallelamente al Sismi veniva fatta un'ordinanza di servizio in cui diversi dipendenti venivano trasferiti da una sezione a un'altra. "Siamo al primo agosto 1993. Abbiamo acquisito documenti in precedenza classificati dove emerge che Vincenzo Li Causi veniva trasferito ad un'altra sezione del Sismi. Assieme a lui vengono trasferiti anche Passaro e Scocco che rientrano nell'elenco dei sedici operatori del Sismi indicati dall'ambasciatore Fulci. Li Causi non è mai emerso come soggetto intraneo a quel gruppo ristretto, ma questo documento di fatto, insieme ad altri, indica come verosimilmente anche Li Causi facesse parte di quella cerchia ristretta". Dunque sono state ricordate le circostanze misteriose della morte di Li Causi ed il dato per cui, accanto a lui vi era anche un uomo che era appartenente all'elenco dei sedici degli Ossi, Conti Giulio, o Giulivo, presente in due elenchi distinti presentati da Fulci. Inoltre sono state indicati alcuni dati come i possibili contatti con Ilaria Alpi, il suo ruolo al centro Scorpione dove si alternava con Paolo Fornaro


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La riunione di Nizza
Sempre in quel periodo dell'estate 1993, in Francia a Nizza, vi sarebbe stata una riunione a cui avrebbero partecipato un soggetto di vertice del settore amministrativo del Sisde, Vittorio Canale (storico ambasciatore della cosca De Stefano in Costa Azzurra), un agente dei servizi segreti libici, e il collaboratore Nucera". Quest'ultimo riferì anche di un piano di evasione per far fuggire Riina dal carcere di Rebibbia attraverso un elicottero
Nel corso della deposizione si è accennato a fatti come la strage di Capaci, il rapimento e la morte di Aldo Moro, il golpe Borghese, i fatti di Sigonella, il caso Moby Prince, la morte di Luigi Ilardo, il separatismo di Licio Gelli con la P2 e Stefano Delle Chiaie tra il 1989 ed il 1990 e tanti altri misteri d'Italia. Ma sono stati inseriti nell'informativa anche altri episodi come il sequestro di Roberta Ghidini, definito come un "sequestro anomalo", per la "singolarità di questo sequestro di persona nel momento in cui si stavano celebrando a Brescia le elezioni amministrative che avrebbero portato al primo posto la neofita Lega Nord. E da lì a poco le elezioni politiche che avrebbero portato la Lega ad essere il quarto partito italiano"
Un fatto indirettamente legato con l'attentato di Palazzo San Giorgio del 2004, quando, su segnalazione del Sismi, la squadra mobile trovò alcuni panetti di tritolo nella sede del Comune di Reggio Calabria. Il punto di contatto è dato dal fatto che "uno dei soggetti attori del sequestro di Roberta Ghedini sarebbe stato lo stesso soggetto interessato nel ritrovamento dell'esplosivo.

Foto di copertina © ACFB

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