di Aaron Pettinari
“Cosa nostra e 'Ndrangheta sono le componenti mafiose di un sistema più ampio che in prima persona portava avanti un progetto politico per ripristinare gli equilibri che si erano persi e che in modo rassicurante potesse superare le liste autonomiste che avevano evidenti limiti”. E' questa l'immagine sempre più evidente che emerge seguendo il terzo giorno della requisitoria del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che vede imputati davanti alla Corte d'Assise Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio e Rocco Santo Filippone, esponente della cosca Piromalli, accusati di essere i mandanti degli attentati ai carabinieri in cui morirono anche i due appuntati Fava e Garofalo.
Di fronte ad uno scenario politico nazionale ed internazionale in evoluzione, dove il rischio per le due mafie era quello di tornare ad essere delle semplici organizzazioni criminali, entrano in gioco le “menti raffinatissime” che, spiega Lombardo “stavano al di sopra e stanno ancora oggi al di sopra dei gradi apicali di quelle componenti mafiose. Usando il linguaggio che utilizza Carminati in 'Mafia Capitale' sono quei soggetti che conoscono solo loro il sopramondo e il sotto mondo; dei soggetti di mezzo”. “L'immagine è quella di una clessidra o di una doppia piramide capovolta - ha aggiunto - I grandi capimafia del livello di Graviano e Filippone sono tra i pochissimi che sanno come sono organizzate le grandi mafie verso il basso, ma sanno anche come è composto il sovramondo, di cui solo loro sono parte integrante e che diventa mafioso proprio per effetto della loro presenza”.
Nella ricostruzione del magistrato è proprio il sovramondo a spingere in un primo momento la visione autonomista. Poi, per effetto delle amministrative del 1993, lo scenario cambia. Per questo motivo si sposta l'attenzione su “un'attività in corso da tempo, finalizzata ad un movimento politico che possa ricollocarsi in quel centrismo che aveva permesso alla Dc di essere il baricentro di un sistema”. Quel “cambio di cavallo”, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non era frutto di una scoperta improvvisa ma, come ricordato dal pentito Tullio Cannella, era figlio di un “progetto parallelo a quello ricondotto ai livelli medio bassi di Cosa nostra e affidato a lui da Leoluca Bagarella. Un progetto ricondotto a Bernardo Provenzano”. “E' quella la 'falsa politica' che è stata sempre utilizzata per proteggere fino in fondo gli obiettivi reali - ha aggiunto Lombardo - E questo è il discorso che si porta avanti e bisogna far credere a tutti: spingere verso i movimenti autonomisti, le leghe meridionali e Licio Gelli (una delle menti raffinatissime) che aveva interlocuzioni storiche con le componenti mafiose, ma anche relazioni salde con le altre componenti fondamentali: quella massonica, per il ruolo che aveva avuto nel Goi, e quella della destra eversiva, rappresentata da Stefano Delle Chiaie".
Alla fine, però, la direzione presa sarebbe stata diversa portando al sostegno di Forza Italia, un progetto di cui, lo ha detto anche Giuseppe Graviano nel suo “flusso di coscienza”, girava voce ben prima del dicembre 1993.
Dentro Sistemi criminali
Rivisitando l'indagine “Sistemi criminali” (chiusa con un'archiviazione, ndr) Lombardo ha evidenziato quegli elementi che facevano emergere l'esistenza di un “piano di 'eversione dell’ordine costituito' messo in atto da un'associazione risalente agli anni 1990-1991 nella quale erano confluite diverse entità criminali: Cosa Nostra con lo schieramento corleonese, uomini della massoneria 'deviata' e dell’eversione nera a loro volta legati a Cosa Nostra e altre consorterie mafiose come la ‘Ndrangheta, e pezzi delle istituzioni che ruotavano attorno agli apparati di sicurezza".
Il mondo che cambia
Per questo motivo, nel corso della requisitoria, Lombardo ha voluto ricostruire tutte le fasi del progetto separatista, con la nascita delle Leghe che vedeva una massima condivisione tra varie componenti criminali.
Tra i primi a parlare di quel progetto vi era Leonardo Messina, il quale, in un verbale del 4 febbraio 1993, ha raccontato di quanto gli fu riferito da Aldo Miccichè, ovvero “che la Lega Nord, non tanto grazie a Bossi che era un pupo, quanto per Miglio che era il vero ideologo, era in realtà una costola della Dc dietro cui era celato Andreotti e forze imprenditoriali del Nord che erano interessate alla divisione dell’Italia in più Stati”.
“Saranno quelle stesse forze imprenditoriali del Nord di cui parla Graviano? - si è chiesto provocatoriamente Lombardo mentre il capomafia prendeva appunti dal carcere di Terni - Certo era che Andreotti non si era dato per perso. Aveva capito che il brand della Dc e dello scudo crociato era bruciato. Con santa pace dei sostegni che a quel movimento politico erano stati garantiti dal Vaticano”. E sarebbe quello il motivo per cui si sarebbe reso disponibile a perlustrare nuovi percorsi, fino a valutare quella divisione in tre macroaree che Miglio portava avanti con convinzione.
“L’ipotesi a Gelli piace, Miglio per Andreotti è un uomo con cui possiamo parlare. Racconterà in un'intervista a Il Giornale di quella discussione di fronte ad un camino spento per capire che ruolo potesse avere la lega Nord”. In quell'intervista, incredibilmente, Miglio arriverà persino ad aprire ad una sorta di costituzionalizzazione del ruolo delle mafie e nello specifico diceva di essere per il “mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta”. “Cosa significa? Si voleva dar loro il controllo del territorio, la gestione degli appalti?” si è chiesto con ironia Lombardo. E poi ancora: “O le elenchi tutte o dici genericamente mafie. Questo significa che i riferimenti erano specifici e non generici”.
Non solo le riunioni di Enna
Sempre Messina ha riferito di quanto apprese nell'agosto del '91, ovvero “che nella provincia di Enna erano riuniti Riina, Madonia, Santapaola e Provenzano. Si trattennero nella zona di Enna non continuativamente fino al febbraio ’92, dopo l’esito del maxiprocesso. L'obiettivo era la discussione di un progetto politico che puntava alla creazione in Sicilia di uno stato indipendente; il progetto era stato costituito dalla massoneria. Voglio specificare - diceva al tempo il collaboratore di giustizia - che Cosa nostra, 'Ndrangheta e massoneria facevano parte di un sistema criminale integrato”. E delle riunioni nelle campagne di Enna ha parlato anche Filippo Malvagna, ex uomo d'onore della famiglia catanese Pulvirenti-Santapaola, che raccontò di quella famosa frase che il Capo dei capi, Totò Riina, dirà: “Bisogna fare la guerra per poi fare la pace”. Riunioni che venivano svolte tanto in Sicilia quanto in Calabria a Nicotera, a Parghelia e contrada Badia. E' qui che i "sette" principali esponenti delle famiglie calabresi entrano definitvamente nella scena manifestando lo sta bene per l'impegno nella strategia stragista.
Un progetto che dalla 'Ndrangheta era perfettamente condiviso. A raccontarlo è un altro soggetto sentito nel corso del processo, Pasquale Nucera. Già nei primi anni Novanta ai magistrati aveva raccontato di una riunione avvenuta a Polsi nel settembre 1991 a cui avrebbe partecipato anche il boss Francesco Nirta, Giovanni De Stefano “che era un amico di Milosevic” disse anche che c’erano altre persone, altri politici e che in quell'occasione si parlò di fondare un “Partito degli Uomini” che doveva "sostituire la Dc”.
Che il 1991 sia il momento chiave in cui inquadrare l'intera campagna stragista e politica si evince anche da altri elementi come ad esempio, l'omicidio del giudice Antonio Scopelliti. “Per comprendere il periodo bisogna fare una lettura molto più ampia e articolata - ha proseguito Lombardo - Il dato storico è che nell'ottobre 1991 Cosa nostra sa già che il Maxi processo andrà male. E così sarà il 30 gennaio 1992. La sostituzione della vecchia classe politica non è facile. E' un momento storico dove si rischia di tornare ad essere una banda criminale che non è più apparato e non è in grado di incidere e condizionare la vita della Nazione. Prima di fare scelte definitive, dunque, bisognava avere fortissime rassicurazioni e certezze che arriveranno alla fine del 1993 fino ad arrivare a quelle dichiarazioni di Spatuzza su quel Graviano che ha fretta di consumare il 'colpo di grazia'”.
La requisitoria del pm Lombardo è proseguita ripercorrendo le dichiarazioni di svariati collaboratori di giustizia, come i pugliesi Salvatore Annacondia, Gianfranco Modeo e Marino Pulito che hanno introdotto ulteriori argomenti sul circuito che ruotava attorno a Gelli (sempre lui) ed i soggetti vicini al Venerabile, con tanto di “contatti diretti finalizzati ad aggiustare processi e gestire pacchetti di voti da destinare a quegli schieramenti funzionali, o ritenuti tali, per un più ampio progetto politico”.
Per spiegare come componenti politiche extraparlamentari siano state in qualche maniera “collante, al di fuori del controllo partitico” e di cui “la destra eversiva è stata componente principale” Lombardo ha anche ricordato sentenze passate in giudicato come quelle sulla strage di Bologna richiamando anche quegli elementi che in qualche maniera portano ad un vero e proprio parallelismo tra il piano stragista-politico, che avrà luogo tra il 1990 ed il 1994, e quel programma già vissuto in certi ambienti negli anni precedenti. Dall'allargamento dell'ideologia politica verso un interesse più economico alla minaccia della conquista del potere da parte del partito comunista italiano, fino all'attacco nei confronti delle forze dell'ordine e la necessità di coltivare rapporti con lo Stato italiano.
Quel che è certo è che ad un certo punto le stragi passeranno da una fase di accelerazione ad una di “attesa”. Segno che un nuovo equilibrio era stato raggiunto?
Svariati collaboratori di giustizia hanno raccontato quel che avvenne con Cosa nostra e 'Ndrangheta che porteranno avanti una strategia comune. Un asse che, secondo la ricostruzione dell'accusa, vedrà muoversi in particolar modo i Graviano. E, sul fronte calabrese, quell'ala strettamente vicina alla famiglia dei Molé-Piromalli che, assieme ai De Stefano, aveva vinto la guerra di mafia. Due famiglie centrali per quel direttorio di sette che disse “Sì” alla strategia del terrore e di attacco frontale allo Stato. O, per dirla con le parole di Riina, per “fare la guerra per poi fare la pace”.
Foto © ACFB
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