di Aaron Pettinari
Lunedì la Corte decide sulle richieste della difesa Graviano
Il 30 giugno il possibile via alla requisitoria del procuratore aggiunto Lombardo

Tra i mesi di dicembre 1993 e febbraio 1994 in Calabria vi furono una serie di attentati contro l'arma dei carabinieri.
Il primo attentato, risalente al 2 dicembre 1993, si concluse con un nulla di fatto dopo che i killer non riuscirono a colpire i bersagli. Ma il 18 gennaio 1994 vennero uccisi Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, entrambi appuntati scelti. L'ultimo atto vi fu il 1° febbraio 1994, quando i militari Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra vengono investiti dai proiettili durante il controllo di un'autovettura. Il commando di fuoco, però, per evitare di restare imbottigliato nel traffico dell'ora di punta serale, non ebbe il tempo di fermarsi per eliminare le due vittime che riuscirono a salvarsi nonostante le gravi ferite riportate.
Per quegli attentati la Procura di Reggio Calabria ha portato a processo il capomafia di Brancaccio Giuseppe Graviano, attualmente al 41 bis e fedelissimo di Totò Riina, e Rocco Santo Filippone, legato alla potente cosca calabrese dei Piromalli di Gioia Tauro. Quest’ultimo, secondo l'accusa, era a capo del mandamento tirrenico della 'Ndrangheta all'epoca degli attentati ai carabinieri: la Dda di Reggio Calabria ha contestato al capomafia anche il reato di associazione mafiosa in quanto è considerato, oggi come allora, elemento di vertice della cosca Filippone.
In questi anni di processo, in corso davanti alla Corte d'assise di Reggio Calabria, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha ricostruito quella lunga stagione di sangue e bombe dei primi anni Novanta evidenziando come anche quegli eccidi contro i carabinieri, avvenuti per mano della 'Ndrangheta, fossero parte attiva di quella strategia di attacco frontale contro lo Stato, inserita anche in un progetto di ricerca di nuovi referenti politici, portata avanti con le stragi che tra il '92 e il '94 già aveva fatto saltare in aria lo svincolo di Capaci e via d'Amelio a Palermo, via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano e a Roma davanti a San Giorgio al Velabro e a San Giovanni in Laterano. Un progetto che vide Cosa nostra, con un ruolo operativo fondamentale, secondo quanto già acclarato dalle sentenze definitive, ma che sarebbe stato condiviso anche dalla criminalità organizzata calabrese, come riferito da diversi collaboratori di giustizia. E' questo il quadro emerso in questi anni di processo, tra testimonianze, atti e documenti. Una strategia unica stabilita da una commissione ristretta che ha visto, con una posizione più marginale, anche la potente cosca De Stefano.
"'Ndrangheta stragista" è divenuto così un processo che allarga dunque l'orizzonte rispetto quanto già emerso nel processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia (con le condanne in primo grado e l'appello ancora in corso) ed i vari processi delle stragi.
Quella di lunedì potrebbe essere l'ultima udienza della fase istruttoria, tanto che la Presidente della Corte d'Assise, Ornella Pastore, ha già stilato un calendario per le discussioni delle parti e, salvo sorprese, il 30 giugno dovrebbe iniziare la requisitoria del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.
Salvo sorprese perché la difesa di Giuseppe Graviano, rappresentata dall'avvocato Giuseppe Aloisio, ha presentato un lungo elenco di testi che vorrebbe fossero escussi ai sensi dell’ex articolo 507 del codice di procedura penale. Un elenco in cui compaiono svariati nomi di boss mafiosi. Dagli 'Ndranghetisti Pino Piromalli detto “Facciazza” e Mommo Molé, fino ad arrivare a Giuseppe Lucchese, Giuseppe Marchese, cognato di Leoluca Bagarella, Domenico e Raffaele Ganci (boss della Noce fedelissimi di Totò Riina), i boss Vincenzo Buccafusca, Santo Mazzei e Aldo Ercolano.
Figure che secondo il legale potrebbero offrire un "contributo importante" per fare da contraltare e smentire le dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia.
Le scorse udienze è stato sentito l’ex reggente del clan catanese dei Laudani negli anni delle stragi, ed ex killer, Giuseppe Di Giacomo. Questi ha parlato in maniera chiara ed inequivocabile dell'esistenza di un direttorio di "sette capocrimine" che rappresentavano "l'organismo di vertice della 'Ndrangheta nel mondo" rappresentato dai vari Franco Coco Trovato, Peppino Piromalli, poi sostituito dal nipote Pino Piromalli Facciazza, Luigi Mancuso, Pasquale Condello, Testuni Pesce, un Bellocco e Peppe De Stefano". Un organismo a cui si interfacciava la "Cupola ristretta" di Cosa nostra che, a detta del collaboratore, vedeva tra i suoi componenti Leoluca Bagarella, Totò Riina, Santo Mazzei, Aldo Ercolano, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e Matteo Messina Denaro. Erano loro gli stragisti che avrebbero portato avanti le stragi, decise da una serie di riunioni che si tennero "ad Enna, Mazara del Vallo, Alcamo, Castelvetrano, Caltanissetta".
Proprio per "contrastare" in particolare le affermazioni di Di Giacomo, la difesa Graviano vorrebbe sentire i due mamma santissima calabresi delle famiglie Piromalli e Molé.
Di Giacomo, tra le altre cose, aveva anche raccontato di aver saputo dalla voce dello stesso fratello di Graviano, Filippo, alcune confidenze sugli interessi economici di famiglia nel Nord Italia.
Dichiarazioni che in parte vanno a riscontrare quelle che per mesi, salvo poi chiudersi in un rinnovato silenzio, Giuseppe Graviano aveva fatto in aula durante le sue deposizioni fatte di mezze verità, messaggi velati e strali contro l'ex premier Silvio Berlusconi, colpevole, a suo dire, "di non aver rispettato i patti economici" rispetto a presunti investimenti che sarebbero stati fatti dalla sua famiglia.
Per assurdo, per confutare le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, che parlò delle stragi e del coinvolgimento dei calabresi, la difesa del boss di Brancaccio vorrebbe sentire anche il falso pentito della strage di via d’Amelio. O ancora, Pietro Scotto, arrestato lo scorso febbraio con l'accusa di aver gestito la famiglia di Resuttana durante la detenzione del fratello Gaetano.
Richieste che secondo il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo arrivano fuori tempo massimo. "Siamo fuori dal perimetro di questa fase dell’istruttoria. Le richieste della difesa devono essere rigettate perché inammissibili - ha detto nell'ultima udienza il magistrato - Mi piacerebbe che venissero in aula Mommo Molé e Pino Piromalli per rispondere alle mie domande, ma sono soggetti che non hanno mai detto nulla e che potrebbero venire qui solo ad avvalersi della facoltà di non rispondere. E comunque le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Di Giacomo in realtà non si fondano sulle confidenze che lui riceve dai soggetti indicati dall’avvocato".
Lunedì, dunque, la presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria deciderà se accogliere o meno le richieste di integrazione avanzate dagli avvocati. Qualora si ritenesse di sentire qualcuno dei soggetti indicati il programma andrebbe stravolto e la sentenza del processo, molto probabilmente, slitterebbe a dopo l'estate.

Dossier Processo 'Ndrangheta stragista

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