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di Aaron Pettinari
"Baiardo parlò di rapporti tra boss di Brancaccio e Berlusconi, ma era inattendibile"

Dalla prima udienza in cui ha iniziato a deporre nel processo calabrese che lo vede imputato per essere stato mandante, assieme a Rocco Santo Filippone, degli attentati contro i carabinieri avvenuti in Calabria tra la fine del 1993 ed il 1994, Giuseppe Graviano (in foto) lo ha ripetuto già più volte al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo: "Se lei andrà ad indagare sull'arresto condotto nei confronti di Giuseppe e Filippo Graviano scoprirà i veri mandanti delle stragi. Scoprirà chi ha ucciso il poliziotto ucciso insieme alla moglie, Agostino. Scoprirà la verità su tante cose. Però i carabinieri devono dire la verità".
Venerdì scorso, davanti alla Corte d'assise presieduta da Ornella Pastore, l'argomento dell'arresto di "Madre Natura" (così veniva chiamato il capomafia di Brancaccio), avvenuto il 27 gennaio 1994, è stato affrontato con l'escussione del teste Andrea Brancadoro, oggi colonnello dell'Arma dei Carabinieri e che al tempo curò le indagini.
Il boss stragista, videocollegato dalla saletta del carcere di Terni, tramite il proprio avvocato, Giuseppe Aloisio, ha rivolto una serie di domande al teste nel tentativo di capire chi, eventualmente, lo possa aver "tradito".
In realtà qualche idea, sul punto, se l'è fatta in questi anni di carcere.
Ecco perché la deposizione di Brancadoro poteva avere, a suo modo di vedere, un rilievo.
Basta leggere le dichiarazioni del boss durante le conversazioni con il compagno d'ora d'aria, Umberto Adinolfi.
Durante quella latitanza il boss di Brancaccio non si aspettava di essere arrestato ("A Milano facevo una vita normale - racconta Giuseppe Graviano, il boss delle stragi, al suo compagno dell’ora d’aria - non mi aspettavo l’arresto, ero circondato da una copertura favolosa. Com’ero combinato io... solo il Signore... lo bacio. Mi sono spiegato?”) e l'arresto arrivò all'improvviso, nel ristorante "Gigi il cacciatore”, che all’epoca si trovava in via Procaccini.
In quel momento Giuseppe e Filippo Graviano erano a cena con le fidanzate (poi divenute mogli in carcere), Bibbiana Galdi e Francesca Buttita. A tavola, c’erano anche due amici arrivati da Palermo, Salvatore Spataro e Giuseppe D’Agostino.
"Durante la giornata, arrivano persone a Milano, quelli che mi hanno fatto arrestare ... il giocatore del pallone ... D’Agostino... suo padre" diceva ancora Graviano al suo interlocutore. Ed è proprio quella la domanda che Graviano si porta dentro da ormai ventisei anni. In quelle intercettazioni citava spesso D'Agostino, ma in una delle scorse udienze ha spiegato che a suo modo di vedere "D'Agostino Giuseppe è stato coinvolto a sua insaputa, era la prima volta che veniva a Milano". Ma gli altri?
"Se i carabinieri diranno la verità su come sono andati i fatti, quelli che mi hanno arrestato, se anche D’Agostino Giuseppe dirà chi li ha aiutato a fare il provino al Milan e le società di Milano. Se indagate su questo, voi scoprirete la verità su chi sono i veri mandanti" aveva ripetuto nelle ultime udienze.
Se in passato si era pensato che ad essere pedinato poteva essere D'Agostino è emerso che gli occhi degli investigatori erano puntati sul cognato, Spataro, su indicazioni di una fonte confidenziale.
Più volte Aloisio ha provato a ricevere indicazioni sulla fonte, addirittura anche chiedendo di rivelare il nome. Il militare (con l'assenso della Corte) dapprima si è fermamente opposto ("La fonte fiduciaria è un soggetto palermitano, esposto a rischi significativi e non escludiamo che possa ancora vivere a Brancaccio"), poi, quando gli è stato chiesto se si trattasse di una donna, ha aggiunto: "Dopo il suo arresto ho avuto colloqui investigativi con Graviano Giuseppe e so che è ossessionato dalla questione - dice - e non posso dare ulteriori indicazioni. Parliamo di Brancaccio, il triangolo via Loreto, via Modeo, Corso dei Mille, il quartiere è quello".

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Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo © Imagoeconomica


L'indicazione su Spataro
L'udienza è proseguita con il racconto sulle indagini che furono sviluppate dopo la morte di don Pino Puglisi, "un fatto eccezionale, di una gravità estrema nella Palermo di quegli anni, una Palermo in cui negli anni novanta non registrava la presenza di fenomeni di microcriminalità, se non per quanto attiene le rapine agli autotrasportatori che si verificavano con cadenza giornaliera”.
Il militare non sa ben dire quando, se "i primi di ottobre, di novembre o di dicembre", ma ad un certo punto una fonte indicò ai carabinieri Salvatore Spataro, insospettabile infermiere di Palermo, come un possibile contatto di Giuseppe Graviano.
Ad un certo punto "la fonte ci aveva avvisato di un imminente viaggio di Spataro in treno verso il nord Italia. Noi, però, dalle intercettazioni non eravamo riusciti a captare niente che ci facesse pensare ad uno spostamento imminente in programma. La mattina del 26 gennaio, però, capimmo che Spataro non si era recato a lavoro e allora attivammo un pedinamento alla stazione di Palermo. I miei uomini, due soli carabinieri, avevano l’ordine di individuare Spataro e seguirlo”.
Così videro Salvatore Spataro, insieme alla sua famiglia, recarsi a Milano, in treno. E dalle intercettazioni sentirono parlare del Duomo. Così venne predisposto un servizio ulteriore per Milano.

Il pedinamento di Graviano a Milano
Il colonnello dei Carabinieri ha anche raccontato che a Milano, il 27 gennaio, venne individuato Giuseppe Graviano e che questi fu anche pedinato "fra la folla in giro per Milano, dove si era incontrato con altre due famiglie giunte in Lombardia dal Sud, sino a tarda sera”.
Seguimmo Graviano - ha proseguito il colonnello Brancadoro - che in taxi raggiunse il ristorante Gigi il cacciatore dove entrammo in azione e lo catturammo appena fuori dal locale dopo cena”.
In quell'arresto vi era anche il fratello Filippo Graviano che in un primo momento non fu riconosciuto dagli investigatori ("per noi si trattava di un favoreggiatore con una carta d’identità intestata a Filippo Mango”). La scoperta sull'identità del boss di Brancaccio avvenne in carcere, quando Giuseppe Graviano contattò la madre per comunicarle dell’arresto e chiese ad uno degli agenti che lo stavano tenendo in custodia di chiamare il fratello Filippo, che si trovava in una stanza accanto, per potergli fare salutare la parente.

Inattendibilità Baiardo sui rapporti tra Graviano e Berlusconi
Infine Brancadoro ha anche raccontato degli accertamenti che furono compiuti sulle dichiarazioni di Salvatore Baiardo, gelataio e figlio dell’ex assessore socialdemocratico di Omegna, un paese sul lago d’Orta in Piemonte. Baiardo è l’uomo che ha ospitato i Graviano nella loro latitanza. Si scoprirà essere il cugino della moglie di Cesare Lupo, un fedelissimo dei boss di Brancaccio.
Baiardo, che verrà poi condannato per favoreggiamento ai Graviano, pur senza divenire collaboratore di giustizia, racconterà molte cose alla Dia di Firenze che al tempo indagava sulla strage di via dei Georgofili. In passato ha persino tentato di scagionare “Madre Natura” con un memoriale. Al tempo però, si diceva pronto a riferire elementi importanti su Graviano ed i rapporti con Berlusconi.
Salvatore Baiardo - ha ricordato il militare in aula - subito dopo il suo arresto ci disse di essere pronto a collaborare e, dietro la corresponsione di un ingente somma di denaro, di darci il modo di avviare delle indagini sul mondo economico di alto livello di Milano. Le informazioni diceva di averle avute da Graviano stesso. Lui dette soltanto un’indicazione: parlò di una società Euromobiliare srl che gestiva supermercati, che non abbiamo mai trovato. Dall’altra ci si rende conto della qualità dell’informatore al parlarci. Mi resi subito conto che le sue notizie erano inconsistenti sul rapporto fra Graviano e Berlusconi. Ritenemmo Baiardo del tutto inattendibile”.
Il processo è stato rinviato a questa settimana, ma l'emergenza Coronavirus non aveva ancora raggiunto il suo apice con il decreto dei giorni scorsi e le sospensioni di tutte le udienze fino al 22 marzo.

Foto di copertina © Ansa

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