Il boss di Brancaccio rivela: "Seppi della discesa in campo già nel 1992. Me lo disse mio cugino"
"Soldi di mio nonno investiti a Milano 3 e televisioni Mediaset"
di Aaron Pettinari
"Negli anni '70 mio nonno materno, Quartararo Filippo, aveva messo i soldi nell'edilizia al Nord. Era una persona abbastanza ricca, era un grande commerciante di ortofrutta. Lo dico in anticipo. Il contatto è col signor Berlusconi".
Stavolta, per esserne certi, non c'è bisogno di un perito. Giuseppe Graviano, boss stragista di Brancaccio, sentito al processo 'Ndrangheta stragista (dove è imputato assieme al calabrese Rocco Santo Filippone) il nome dell'ex Presidente del Consiglio lo fa più volte.
Certo, non è un collaboratore di giustizia, ha allontanato da sé ogni accusa ("io non sono responsabile. Non posso accollarmi cose dopo 26 anni di carcerazione che ho fatto e mi trovo in 'area riservata'") e, pur dicendo di "rispettare le sentenze" che lo vedono condannato al 416 bis, le sue dichiarazioni restano pur sempre quelle di un mafioso.
Tuttavia, in un gioco di messaggi neanche troppo velati, nell'udienza odierna emergono comunque una serie di elementi che non possono essere ignorati e che attraversano un periodo storico preciso, quello dei primi anni Novanta, in cui il nostro Paese è passato dalla prima alla seconda Repubblica.
Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, Graviano ha detto chiaramente di aver incontrato Silvio Berlusconi da latitante "almeno per tre volte" e che l’ultima sarebbe avvenuta nel dicembre del 1993, ovvero poche settimane prima del suo arresto (avvenuto il 27 gennaio 1994), in un appartamento a Milano 3. ("È successo a Milano 3, è stata una cena. Ci siamo incontrati io, mio cugino e Berlusconi. C'era qualche altra persona che non ho conosciuto. Discutiamo di formalizzare le società").
Storie degli anni Settanta
Ma quel rapporto non era nato in quel tempo, ma diversi anni prima quando il nonno fu interpellato "per investire al Nord, nei primi anni Settanta, venti miliardi di lire. Gli dicono che gli avrebbero concesso il 20 per cento". "Mio nonno voleva partecipare a quella società e curarsi le sue cose - aggiunge nel suo flusso di coscienza - Andò da mio padre che però gli disse che non voleva saperne e che non voleva che coinvolgesse noi nipoti. Intanto mio nonno quei soldi non li aveva, aveva messo insieme solo quattro miliardi e mezzo. Morto mio padre, mio nonno dice a me e a mio cugino, Salvatore Graviano, che camminava sempre con lui, la verità, ci dice della società con gli imprenditori del Nord, perché non aveva nessun altro a cui rivolgersi. Disse: 'C'è questa situazione, io sto andando avanti. Tuo papà non vuole che mi rivolga a voi. Io sono vecchio e ora te ne devi occupare tu. Io e mio cugino Salvo abbiamo detto: ci pensiamo. Ci siamo consigliati col signor Giuseppe Greco, padre di Michele Greco. Abbiamo deciso di sì e siamo partiti per Milano. E mio nonno ci ha presentato al signor Berlusconi, abbiamo capito cosa era questa società. Poco dopo mio nonno, che aveva più di 80 anni, morì".
Quel primo incontro, a detta del boss di Brancaccio, sarebbe avvenuto all'Hotel Quark. "Berlusconi ci ha presentato la società, eravamo solo lui, io, mio cugino e mio nonno con l’avvocato Canzonieri e che voleva che i nostri nomi apparissero nelle carte della società perché i soldi erano leciti, puliti, dovevano entrare formalmente nella società mio nonno e quelli che avevano investito i soldi. Noi - ha proseguito - eravamo lì con mio nonno perché lui ormai era molto anziano, dovevamo essere pronti a prendere il suo posto una volta morto".
Gli incontri del 1993
Graviano ha parlato di altri due incontri, nel 1993, in presenza di Berlusconi. "C’è una riunione preliminare con me, mio cugino e Berlusconi a Milano 3, la situazione andava regolarizzata - ha detto intervenendo dalla videoconferenza-. Siccome Berlusconi aveva detto di sì, dovevamo fissare un appuntamento. C’erano anche persone che però non mi sono state presentate in quell’occasione. Penso sapesse che ero latitante. Lo ero dal 1984 e io mi sono presentato col mio nome, sapeva che ero nipote di mio nonno".
Nonostante fosse un ricercato, però, a detta di Graviano non aveva problemi di movimento: "Io facevo shopping tranquillamente in via Montenapoleone, frequentavo i ristoranti, ogni sera andavo al cinema o al teatro, una vita di divertimenti più che di latitanza. Ero latitante a Omegna dove stavo nella pace degli angeli, ma Milano per serviva per questi incontri, non avevo nessun timore, ma lo sapevo che mi stavano cercando".
Graviano ha anche assicurato che anche se i nomi di quei soggetti non apparivano "c'era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano (anche lui deceduto, ndr)".
Quegli investimenti, a detta del capomafia siciliano, avrebbero riguardato i settori dell'edilizia ma anche delle televisioni Mediaset.
Il magistrato, Giuseppe Lombardo
La discesa in politica
Ma non sono solo gli "affari" che avrebbero interessato i rapporti tra la famiglia Graviano e l'ex Presidente del Consiglio e allora imprenditore.
Infatti Graviano ha riferito di aver appreso, sempre per il tramite del cugino, che già nel 1992 Berlusconi avrebbe detto di "voler scendere in politica". "Forza Italia era già preparato all’epoca - ha detto oggi in aula - Berlusconi ne parla con mio cugino Salvo, gli chiede se giù in Sicilia gli potevano dare appoggio. Mio cugino gli dice 'non c’è bisogno che ti faccio campagna elettorale, c’è questa situazione a Brancaccio, rendilo un bel quartiere - come voleva fare mio padre, che faceva lavorare tutti - e vedi che la gente ti dà i voti'. Siamo prima della strage di Capaci, era successo da poco l’omicidio Lima mi pare".
Possibile che il boss di Brancaccio abbia scelto oculatamente le sue parole?
Quello "scendere" richiama un'intercettazione su cui, per il momento, non è stato ancora chiesto alcun chiarimento: quella del 10 aprile 2016 in cui il boss, secondo le trascrizioni depositate al processo trattativa Stato-mafia, parlando con il boss Umberto Adinolfi ha dichiarato: "Berlusca mi ha chiesto questa cortesia... per questo è stata l'urgenza di... come mai questo qua, poi che successe, ero convinto che Berlusconi vinceva le elezioni in Sicilia, Berlusconi...". E' in quell'occasione che Graviano aggiungeva: "Lui voleva scendere però in quel periodo c'erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa...".
Tradimento
In attesa di conoscere se sul punto Graviano parlerà nella prossima udienza (prevista il 14 febbraio prossimo, ndr) restano ancora altre "rivelazioni" del capomafia siciliano.
Ed uno dei momenti più difficili è stato quando è stato chiamato a dare una spiegazione ad un altro passaggio di intercettazioni. Cosa voleva dire con l'affermazione "quando lui si è ritrovato ad avere, grazie a diversi... un partito così nel ’94... si è ubriacato. Perché lui dice 'Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato'. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore..."? Perché Berlusconi aveva tradito?
Seppur in maniera vaga Graviano ha provato a dare una risposta. Circondato dai documenti ed appunti ha iniziato a fare un elenco: "Con Adinolfi si parla di politica, lui è anche un appassionato di queste cose. Poi si parla di Berlusconi, della Lega, dei fascisti, che io sono contro i fascisti. Ho sempre votato democrazia cristiana. Si parla di Contorno e De Gennaro, e questo dovessero indagare pure, e si parla di Dell'Utri". Ma il discorso è poi arrivato al nodo 41 bis e all'ergastolo, evidenziando anche la recente valutazione della Corte di Strasburgo e della Corte Costituzionale: “Sono state fatte leggi incostituzionali, perché la Corte costituzionale li sta dichiarando incostituzionali… Le leggi fatte per non farci uscire dal carcere…”. Quindi è tornato sulla domanda del pm: "Nel 2001 veniva rinnovato e poi è diventato legge con il governo Berlusconi. Venne in Sicilia e disse che era una cosa disumana, salvo poi fare leggi incostituzionali come ora sta venendo fuori. Si parlava di abolire l’ergastolo con il nuovo codice penale. Ma Berlusconi - ha proseguito Graviano - chiese di non inserire coloro che erano stati coinvolti nelle stragi. Lì ho avuto conferma che era tutto finito. Questo mi ha dato conferma che ha fatto parte del mio arresto ed ecco perché ho definito Berlusconi un traditore".
Ma ci sarebbe stato anche altro perché per diversi anni anche tra gli ergastolani ci si chiedeva come risolvere la questione: "C’era uno ora all’ergastolo che aveva rapporti con Angelino Alfano, io gli dicevo 'perché non lo diciamo a lui, chiediamogli perché a noi ci trattano così'. Nemmeno la luce del sole possiamo vedere quando passeggiamo, nei materassi abbiamo la muffa, con gli avvocati possiamo parlare solo 10 minuti ma quanto possono bastare? Quante patologie a causa di questo regime, ho scritto anche alla ministra Lorenzin (e sul punto in aula ha anche detto di aver fatto una raccomandata con ricevuta di ritorno ma il documento sarebbe andato perduto, ndr), dicendo di rispettare i patti presi con mio nonno. Tutto è per non fare uscire me dal carcere per questa faccenda dei soldi, di cui a me comunque non importa niente perché io voglio solo rispettare la parola data a mio nonno".
Ed è a quel punto che "Madre natura" ha lanciato un nuovo messaggio ai suoi interlocutori esterni: "Io qui non sto facendo niente, sto solo dicendo qualcosa, ma posso dire ancora tante altre cose. Io non voglio né soldi né altro. Ho solo dato confidenza a un carissimo amico. Ma se sentissi tutte le intercettazioni potrei dire tanto altro".
E dopo un po' ha aggiunto: "Io sto dando degli elementi, se volete indagare indagate, io mi sono fatto 26 anni di carcere già e me li sto facendo con dignità, io sono in area riservata senza coperte a congelare, non ho mai avuto timore degli uomini, solo di Dio, mi sta bene il carcere, siamo di passaggio in questo mondo. Tutti eroi sono in Italia…vediamo se sono eroi oppure arrivisti".
Sicilia Libera-Forza Italia
Nel proseguo dell'esame un altro tema toccato è stato quello del Movimento indipendentista Sicilia Libera i cui voti sarebbero confluiti, a detta di molti pentiti, in Forza Italia. Anche di questo aveva parlato a lungo Graviano con Adinolfi nel carcere di Ascoli Piceno. Ed oggi, sul punto, è tornato in maniera "oscillante", da una parte parlandone in maniera positiva ("la gente non sa cosa c’era di mezzo. Dopo il mio arresto si è fermato tutto, solo per accusare noi, che non siamo responsabili. Il progetto non era solo quello di un paradiso fiscale, ma di sfruttare le bellezze e le potenzialità che abbiamo in Sicilia") dall'altra in maniera più negativa, quasi prendendone le distanze.
"Io non ho mai partecipato ad una riunione del progetto Sicilia Libera. Lo raccontano i fatti che non ero a Palermo. Non avevo motivo per questo movimento. Io avevo altre idee". Ed alla domanda su quali fossero queste idee ha risposto: "Se mio cugino già nel 1992 sa da quello, che vuole scendere.. E che si fa a fare un partito. Che il signor Berlusconi interessa l'unione dell'Italia. Non è che si può appoggiare un movimento e poi l'altro partito politico. E che figura fa?".
Quindi è tornato a parlare del progetto fallito, quasi con rimpianto: "Dopo quello che ha fatto mio nonno per lui… non solo economicamente. Visto che io ho rapporti economici, e lui politici, e le confidenze che avevamo…certo che potevamo avere soddisfazioni, ma non di criminalità ma di cose belle, perché l’Italia potrebbe essere il migliore Paese del mondo".
Inoltre, riferendosi sempre ai rapporti di famiglia con la politica ha anche detto: "Mio cugino, sempre per migliorare il quartiere appoggiò la giunta Orlando, nel 1989. C'era chi diventò assessore...". t
La ricerca della verità
Alla scorsa udienza Graviano aveva spiegato di aver studiato documenti e aver "investigato" in questi anni per capire il perché fosse stato arrestato. Un dato interessante se si considera che Gaspare Spatuzza, quando fu sentito da Ilda Boccassini nel 2009, mise a verbale già allora che Giuseppe Graviano "sta cercando di capire, quindi sta conducendo un’indagine lui per capire chi è che se l’è venduto”.
Undici anni dopo l'esito di quell'indagine è confluito in questo "flusso di coscienza" (o forse dovremmo dire conoscenza?): "Si sono svincolati da tutto col nostro arresto, si sono svincolati da quell’accordo imprenditoriale e che a noi sarebbe servito politicamente per alcuni favori, col nostro arresto. Se i carabinieri dicessero la verità, in particolare la persona che è protetta molto da destra e che sa tanto e non lo dico io. Nelle intercettazioni si fa il nome di un poliziotto, non dico il nome, ce l’avete voi là, fate le indagini, questa persona è protetta abbastanza da quelli che poi hanno fatto le leggi ingiuste; è lo stesso nome fatto dal confidente Giovanni Drago per l’omicidio di Onofrio Barone a Ciaculli".
E poi ancora ha ribadito: "Io sto dicendo cose ora…dovete avere il coraggio...di far emergere, si scopriranno tante cose, che sono ancora i misteri dell’Italia". Quindi, come l'udienza scorsa, ha fatto riferimenti all'agenda rossa e alla morte del poliziotto Agostino. Anche in questo caso non sono state fatte ulteriori domande.
Se di fatti di mafia e di stragi non ha parlato il boss di Brancaccio ha comunque voluto precisare che quando nelle intercettazioni parla di quelli 'che non volevano le stragi' "parlo di quello della montagna nelle intercettazioni è chiaro - ha detto oggi Graviano - non di Berlusconi. Quello della montagna ci sono stato anche carcerato".
L'attentato a Riina
Ha anche voluto raccontare un dettaglio su un progetto di attentato, negli anni Ottanta, contro Totò Riina che solo per un soffio non andò in porto. "La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l'omicidio Costa (il giudice Gaetano Costa, ndr) - ha ricordato Graviano - Quindi, il signor Riina ha deciso di mettere delle regole, insomma un po' di democrazia, perché non potevano prendere le decisioni solo Salvatore Bontade e Gaetano Badalamenti. Così vi fu la costituzione della Commissione di Cosa nostra. Michele Greco era un uomo di pace, non per niente lo hanno fatto diventare 'Papa' e ha messo delle regole che si dovevano togliere delle vergogne". Poi nel febbraio 1981, il tentativo di agguato: "Erano pronti con i fucili, Pietro Marchese, Giovannello Greco, Spina. E in quell'occasione chiesero l'intervento di Michele Greco, boss di Ciaculli. Che disse 'io sono per la pace, posso intervenire per la pace, io non posso continuare se avete queste intenzioni'".
Da parte del boss di Brancaccio nessuna apertura per quanto riguarda i contatti tra palermitani e calabresi. Ha escluso categoricamente di essere lui uno dei referenti mentre il collegamento ha detto che vi era ai tempi di Bontade.
Ed ugualmente si è espresso contro i collaboratori di giustizia che lo hanno via via tirato in ballo. Da Spatuzza a Calvaruso, passando per Tranchina (anche se ha confermato che per un periodo gli ha fatto da autista, ndr) e Pennino. Con quest'ultimo, che per la Procura di Reggio Calabria risulta introvabile, ha ribadito quanto già detto nei mesi scorsi: "E' a Roma, e si accompagnava con un poliziotto. Si è presentato ad un mio parente intimo e a me non raccontano bugie".
Replica Berlusconi
Rispetto all'insolito "fiume" di dichiarazioni di Graviano non si è fatta attendere la replica degli avvocati di Silvio Berlusconi, con in testa Nicolò Ghedini, che hanno parlato di "dichiarazioni totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie" indicando in Graviano uno scopo "finalizzato ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri" annunciando che "saranno esperite tutte le azioni del caso davanti l'autorità giudiziaria". Ciò deve farci supporre che presto Silvio Berlusconi querelerà Giuseppe Graviano?
Non resta che attendere.
Certo è che Gaspare Spatuzza, il pentito contro cui Graviano punta maggiormente il dito, anni fa aveva raccontato di un dialogo avuto a Tolmezzo con il fratello di "Madre Natura": "Al tempo si parlava anche di dissociazione e riprendendo il discorso, Filippo Graviano venne a dire di far sapere a Giuseppe che 'se non arrivava niente da dove deve arrivare è bene che anche noi iniziamo a parlare con i magistrati'".
Che oggi i tempi siano diventati maturi?
Foto © ACFB
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Eravamo noi visionari o eravate voi collusi e codardi?