Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Aaron Pettinari
Sentito il maresciallo Tempesta: "A Mori dissi di Bellini, della torre di Pisa e delle siringhe a Rimini"

Quasi due mesi. Tanto è passato da quando il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, imputato assieme a Rocco Santo Filippone nel processo 'Ndrangheta stragista, ha dato la sua disponibilità all'esame del pm, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Unica "condizione" posta il poter riascoltare quelle intercettazioni che lo hanno visto protagonista di un dialogo con il camorrista Umberto Adinolfi, durante il passaggio nel carcere di Ascoli Piceno, in cui parlava anche degli anni delle stragi, della sua latitanza, del suo arresto, delle modalità di concepimento del figlio e non mancava anche un riferimento a Silvio Berlusconi. Atti che furono depositati al processo trattativa Stato-mafia, trasmessi anche a Caltanissetta, a Firenze (che ha riaperto le indagini sui mandanti esterni delle stragi) e a Reggio Calabria che ha depositato quelle parti in cui si fa anche riferimento alla Calabria.
Finalmente il carcere di Terni ha trovato uno strumento (sarebbe stato sufficiente un semplice computer ma a quanto pare era difficile reperirlo per espletare l'attività, nonostante le continue ordinanze della Corte d'assise, ndr) per permettere l'ascolto. L'esame di Graviano è stato rinviato alla prossima settimana (il 23 gennaio) e già ci si chiede a quali domande vorrà dare una risposta o se approfitterà, come già avvenuto in passato, per lanciare messaggi all'esterno.
Lo aveva fatto il 6 aprile 2018 quando con le dichiarazioni spontanee aveva chiesto alla Corte di "acquisire tutte le intercettazioni che ci sono state tra me e Adinolfi... nelle quali si parla anche di Piromalli e anche del signor Girolamo Molè... per vedere le conoscenze e come sono andati i fatti, perché il signor Adinolfi è un carissimo amico mio e noi parlavamo chiarissimo”.
Anche allora si era detto pronto a rispondere alle domande di pm e parti civili, ma al contempo aveva fatto trapelare alcune lamentele sul regime di detenzione con tanto di riferimento ai suicidi in carcere, indicando una "pista" investigativa. “Se si facesse un po' di indagini sui cosiddetti suicidi che sono successi a Pianosa e in altri carceri - sottolineava Graviano - si scoprirà qual è la realtà, la verità di tutto ciò ma non solo”.
In molti hanno pensato alla vicenda della misteriosa morte di Antonino Gioè e magari giovedì potrà essere anche questa una delle domande che il pm Lombardo o l'avvocato Ingroia potranno fare allo stesso boss di Brancaccio. Allo stato, però, è difficile dire se e come risponderà.

ndrangheta stragista 17gen2020

Un momento dell'udienza odierna © ACFB


Intanto nell'udienza odierna è stato sentito Roberto Tempesta, un tempo maresciallo del Nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri. L'uomo che ebbe un contatto con l'ex primula nera di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, per un recupero di opere d'arte, ma che trovò ben presto un altro sbocco.
Ed è proprio su quella vicenda che è stato chiamato a riferire da Antonio Ingroia.
Così come aveva già fatto al processo di Palermo Tempesta ha spiegato quale fu la genesi degli incontri con Bellini: ovvero il recupero dei quadri rubati alla Pinacoteca di Modena. "Il primo incontro a San Benedetto del Tronto fu casuale. A lui, come feci con altri, chiesi se aveva un contatto con soggetti che potevano essere vicini a Felice Maniero, ovvero colui che ritenevamo esser dietro a quel furto che si configurava come un vero e proprio attacco allo Stato. Perché? Era stato rubato il simbolo di Modena, il duca Francesco I d'Este. L'incontro avvenne poco prima la strage di Capaci". "Bellini - ha proseguito - disse che si sarebbe informato e ci scambiamo i contatti. Mi richiamò a metà luglio, prima della strage di via d'Amelio, dicendomi che aveva incontrato persone che aveva conosciuto in prigione tempo prima e mi chiese delle fotografie. Io ritenni opportuno portarle, ci vedemmo a San Benedetto del Tronto, in un ristorante, e le consegnai dentro una busta con dietro il timbro dei carabinieri tutela patrimonio culturale affinché, nel caso fosse stato fermato da qualcuno, non avrebbe avuto problemi per quelle foto o fotocopie". Il racconto è proseguito fino ad arrivare al mese d'agosto quando si incontrò con Bellini in un'area di servizio a Roma. A detta dell'ex militare, però, la situazione era profondamente cambiata: "Bellini mi disse che si era incontrato con persone siciliane con cui aveva buoni rapporti e di aver millantato che poteva ottenere tramite persone politiche di sua conoscenza benefici in cambio di informazioni sui quadri. Disse che era pronto a fare l'infiltrato in quanto era sconvolto dopo le stragi e si proponeva di prevenire eventuali attacchi futuri. Tirò fuori un bigliettino con cinque nomi. Ricordo Bernardo Brusca, Pippo Calò e Luciano Leggio. E chiedeva se almeno uno di questi potesse andare alla detenzione ospedaliera, anche solo per qualche ora, in modo da dimostrare che lui poteva essere un buon canale. E mi mostrò anche fotocopie di quadri rubati a Palermo.

ingroia tempesta ndrangheta stragista 17gen2020

L'esame di Antonio Ingroia al maresciallo Tempesta © ACFB


C'erano anche delle polaroid di un quadro più grande, il più importante. Ma a me questa cosa non interessava anche perché non avevo cultura su Cosa nostra. Servivano persone competenti".
Bellini, però, avrebbe voluto riferire solo a Tempesta. "E' in quel momento che mi chiese se dicendo che stavano per attaccare la Torre di Pisa sarei stato legittimato a seguire la situazione e tenere il contatto - ha ricordato il teste - Risposi che era un espediente di basso rango. Mi parlò di questo ed anche delle siringhe nella spiaggia di Rimini, per il discorso Hiv, e che stavano cercando gente che sapesse pilotare elicotteri e aerei, ricordandomi che lui era un pilota e che avrebbe potuto prevenire una situazione del genere. Io dissi che avrei interessato i Ros e così feci". Il contatto fu proprio con il colonnello Mario Mori: "A lui dissi quello che Bellini mi aveva detto, anche della torre di Pisa. Gli mostrai il bigliettino e letti i nomi mi disse che quello era il Gotha di Cosa nostra e che non c'era niente da fare. Poi aggiunse che c'era qualcosa da verificare.
Comunque trasmisi tutto, riferii anche il nome di Aquila Selvaggia che era il modo per metterci in contatto se non fossi stato io a chiamare Bellini. A mio parere c'era qualcosa da approfondire".
Quando ricontattò Bellini nel mese di settembre, però, apprese che da parte del Ros non vi era stato alcun contatto. "Richiamai Mori ribadendo che poteva essere importante una sua valutazione su cosa poteva esserci dietro quella storia. Mi disse che avrebbero fatto qualcosa, credo anche che mi accennò che forse avrebbe mandato Ultimo, ma poi non ho saputo più nulla".
Da quel momento le notizie di Tempesta si interruppero. Il contatto con l'ex membro di Avanguardia Nazionale continuò nel 1993, quando questi tornò a farsi sentire dopo le stragi di Roma e Milano, ma senza mai incontrarsi. Rispondendo ad una specifica domanda di Lombardo il teste ha detto di "non poter escludere o confermare" che quella chiusura iniziale di Mori, successivamente, sia o meno divenuta altro.

ARTICOLI CORRELATI

Bellini: ''Nel '92 triangolo tra Cosa nostra-piani alti di governo e americani’'

'Ndrangheta stragista: la Lega Meridionale tra massoneria, servizi e mafia nelle parole di D’Andrea

'Ndrangheta stragista, boss Giuseppe Graviano disposto ad essere sentito al processo

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos