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di Davide de Bari
Ascoltato al processo ‘Ndrangheta stragista l’ex membro del gruppo di fuoco della cosca di Archi

“Il boss Giovanni Tegano che si nascose nella casa di Siciliano riuscì a fuggire a un blitz della polizia proprio grazie a delle informazioni che investigatori infedeli gli avevano passato”. E’ questo il racconto del collaboratore di giustizia Roberto Moio, nipote acquisito del boss Tegano, catturato il 26 aprile del 2010, che oggi, davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria, ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nell’ambito del processo ‘Ndrangheta stragista. Moio, pur non essendo al corrente di tanti dettagli della stagione delle stragi, oltre ad aver riferito di quei rapporti intercorsi tra i Tegano e le forze dell’ordine, ha comunque parlato anche dei contatti che le famiglie calabresi hanno avuto con gli esponenti della mafia siciliana e pugliese. “Quanto al rapporto con le forze dell’ordine - ha detto - c’erano due poliziotti che abitavano vicino casa mia e ai quali dovevo far assumere il cognato in una ditta. Poi ricordo che entrò o alla Leonia o alla Multiservizi”. A detenere i rapporti con le forze di polizia “era Pasquale Tegano, ma anche tramite i Frascati, Nino Frascati. Questi ha anche dei parenti poliziotti che davano dritte”. Il teste ha poi riferito della mancata cattura del boss Giovanni Tegano con ulteriori dettagli: “C’erano dei poliziotti che conoscevano i Tegano e gli facevano dei favori come nell’omicidio di Giorgio Benestare gli hanno cambiato i vestiti. Poi c’è stato il mancato arresto di Giovanni Tegano nella casa di Paolo Siciliano. Fu proprio lui a dirmi che ci doveva essere il blitz. Era a casa di Siciliano che Tegano fece la sua latitanza fino al 2009”. Ma non erano solo i Tegano ad avere informazioni dalle forze dell’ordine, ma anche “Frascati aveva i suoi informatori, i Libri anche, così come noi ne avevamo alcuni. In cambio c’erano lavori di edilizia o soldi”.

Le riunioni dopo la seconda guerra di ’Ndrangheta
L’ex membro del gruppo di fuoco dei Tegano ha partecipato in prima persona alla seconda guerra di ‘Ndrangheta, innescata con l’assassino del super boss Paolo De Stefano il 13 ottobre 1985. “Ho partecipato all’agguato a Nino Imerti, a quello di Paolo Condello. - ha detto - Sparavo per i Tegano-De Stefano”. Moio nell’87 è stato “battezzato” ufficialmente con la famiglia dei Tegano in quanto si fidanzò con la nipote del boss Giovanni. E su di lui si fece affidamento per quanto riguarda la latitanza di pezzi da novanta della ‘Ndrangheta come Giovanni e Mimmo Tegano, considerati i vertici dell’organizzazione in quel momento. “Alla riunione di Sinopoli per la pace, dopo la guerra di mafia, mi fu detto da Pasquale Tegano di portare Antonio Nirta in quanto non avevo commesso reati ed ero fidato - ha spiegato in aula collegato in video conferenza - Dopo la morte di Mimmo Tegano, ci fu un incontro nella zona di Sant’Antonio. C’erano Giovanni Tegano, Pasquale Tegano, Franco Giordano, Franco Pellicano, Polimeni, Paolo Schimizzi, Emilio Firriolo, Angelo Benestare. Eravamo tutti armati. Dall’altra parte c’erano Bruno Tegano, cognato di Mico Condello, Pasquale Condello ed altre persone che poi si sono allontanate”.
Il collaboratore ha anche raccontato che una volta accompagnò Pasquale Tegano nella casa dell’avvocato Giorgio De Stefano vicino alla stazione Garibaldi. Lui è stato spesso a casa Tegano per riunioni, ma noi siamo stati sempre fuori, anche perchè alcune dovevo fare altro”.

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Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo © Imagoeconomica


L’irruzione fantasma della polizia
Il pentito ha riferito anche di un vertice di mafia tenutosi a casa del boss Tegano, affermando di avere conosciuto in quell'occasione uno dei capi della mafia pugliese, Salvatore Annacondia, oggi collaboratore di giustizia e ascoltato nel processo ‘Ndrangheta stragista. “Presi parte al summit - ha detto alla Corte - e lì conobbi Annacondia. Era un personaggio importante ed aveva un ottimo rapporto con i Tegano che gli aprirono la strada, insieme a Mimmo Paviglianiti, sulle piazze della droga di Torino e Milano”.
Moio, con riferimento al summit di mafia in casa dei Tegano, ha anche affermato che all'incontro erano presenti elementi di primo piano della 'ndrangheta, come Domenico Paviglianiti, Pasquale Tegano, Carmelo Barbaro, Salvatore Annacondia e Giuseppe De Marzo, riunione che fu interrotta da un intervento delle forze dell'ordine. “Quando arrivai sul posto arrivarono sei o sette poliziotti. - ha riferito alla Corte - Ho saputo che alcuni sono riuscisti a scappare da una porticina secondaria che permetteva di entrare proprio a casa di Emilio Firriolo. Quelli che abitavano ad Archi rimasero”. Alla fine del blitz però ci fu un’anomalia: “Non ci presero i documenti senza alcuna registrazione - ha continuato - Ricordo che i Tegano erano soddisfatti di come era andata la cosa”.
Il pentito ha anche riferito che quando arrivavano gli “ospiti” per le riunioni venivano fatti alloggiare all’Hotel Miramare. Infatti, Annacondia siccome si recava spesso a Reggio i Tegano lo facevano alloggiare sempre nello stesso Hotel in quanto “non bisognava registrarsi e quindi fornire documenti - ha detto - perché Montesano (all’epoca nella compagine societaria del Miramare, ndr) era un intimo amico nostro e ci faceva questa cortesia. Lui era amico dei Tegano. Una volta l’ho portato a Cosenza per fare una grossa cucina per gli ospedali e l’ho messo in contatto con i Vitelli e Franco Pino”.

santapaola nitto e polizia

Il boss catanese Nitto Santapaola


Il legame con i siciliani
Il boss pugliese non fu l’unico, tra gli ospiti, ad alloggiare al Miramare, ma anche un uomo della cosca di Nitto Santapaola che spesso andava dalla Sicilia alla Calabria “accompagnato da due picciotti” e si chiamava Nicolò Maugeri. “C’era un'amicizia particolare con i Santapaola - ha detto il teste - Pasquale e Mimmo erano molto legati. Spesso in Sicilia veniva mandato un nostro affiliato Enzo Panuccio mentre altre volte mi hanno mandato a prendere Maugeri che era accompagnato da due giovanotti e lo facevano alloggiare al Miramare ma durante il giorno stava all’Oasi. Si fermava tre o quattro giorni”.
Dopo l’esame del collaboratore di giustizia è stata la volta dell’ufficiale di polizia giudiziaria, Annalisa Zannino, che ha illustrato i riscontri alle dichiarazioni di Moio. E in riferimento alla figura di Enzo Panuccio, la Zannino ha ricordato che “fu fermato una volta alla guida di un’auto blindata con al suo fianco l’avvocato Giorgio De Stefano”.
Il processo è stato rinviato alla prossima udienza del prossimo 29 novembre in cui sono stati citati gli ultimi teste dell’accusa, Gioacchino Pennino e Leonardo Messina, che ad oggi sono ancora irreperibili.

In foto: il boss Giovanni Tegano © Afp/Getty Images

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