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di Davide de Bari
Nelle sue dichiarazoni l’alleanza tra calabresi e siciliani "dai tempi di Dalla Chiesa". Sentito anche Facchinetti

Il coinvolgimento della ’Ndrangheta nell'attacco allo Stato di Cosa nostra nei primi anni ’90; i rapporti tra le due organizzazioni criminali già con l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa; la latitanza in Calabria del 'capo dei capi' Totò Riina e del boss catanese Nitto Santapola; l'esistenza di logge massoniche parallele e non registrato al cui interno vi erano anche giudici ed avvocati. Sono queste parte degli argomenti affrontati oggi durante l’udienza del processo ‘Ndrangheta stragista che ha visto la deposizione del collaboratore di giustizia Simone Canale, che ha risposto. Il processo, che si svolge davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria presieduta da Ornella Pastore, vede alla sbarra il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, boss della cosca Piromalli. Entrambi sono accusati di essere stati i mandanti degli omicidi dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo e degli altri attentati perpetrati contro gli appartenenti all’Arma fra il 1993 e il 1994.
Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo il pentito ha raccontato i vari trascorsi della propria carriera criminale all’interno della ‘Ndrangheta, prima come affiliato all’interno della cosca Raso poi con gli Alvaro di Sinipoli. E' stato durante un periodo di detenzione che ha conosciuto uno dei boss più potenti della cosca Alvaro, Nino Penna, che lo ha accolto nella sua famiglia con la stessa carica di sgarrista che aveva avuto con i Raso. Nel corso della deposizione il teste ha anche riferito di aver commesso diversi omicidi su commissione della ‘ndrangheta e ancora oggi le sue dichiarazioni, in merito ad uno di questi delitti, sono coperte da segreto istruttorio.

Le confidenze di Nino Penna
Ma cosa c’è di così importante nelle dichiarazioni di Canale? Tutto parte dal rapporto confidenziale che riuscì a instaurare con il boss Penna. “Quando mi disse che aveva commesso un reato come una violenza di gruppo e che stava cercando qualcuno per far sì che ci potesse essere una revisione del processo, io mi resi disponibile. - ha spiegato il pentito - Scrissi anche un memoriale molto dettagliato. Quando Penna lo fece sapere alla sua famiglia all’esterno, loro gli dissero che un ragazzo che dà la vita per uno di loro non bisogna mai abbandonarlo”. Un "sacrificio", quello di Canale, che lo avrebbe fatto entrare nelle grazie della cosca Alvaro e in particolare dello stesso Penna che decise di aprirsi raccontando anche questioni più delicate e riservate. In uno dei loro dialoghi, infatti, arrivò anche a rivelare non solo di avere la "dote di vangelo" ma anche di possere la carica “incappucciata riservata”. “Sono delle doti che vengono date quando si riesce ad avere altri contatti più potenti. - ha spiegato il teste -. E quindi solo tu sai cos’hai e chi te l’ha data”. E’ questo il punto più importante della testimonianza di Canale in quanto ha svelato molti collegamenti “segreti” di cui era a conoscenza il boss degli Alvaro. Il teste ha spiegato che il ‘capo dei capi’ Totò Riina sarebbe intervenuto “per fare da pacere” nella guerra di ‘Ndrangheta alla fine degli anni ’80. Non solo. Riina, il boss catanese Nitto Santapaola, i fratelli Graviano di Brancaccio e Filippone sarebbero stati tutti legati da un vincolo mafioso. Il pubblico ministero Giuseppe Lombardo ha poi chiesto un chiarimento in riferimento al Filippone in rapporti con i palermitani e Canale non ha avuto dubbi: “Rocco Filppone. Era la prima volta che sentivo quel nome, da parte di Corica. Credo fosse uno dei Tegano-Condello o un Piromalli”. Secondo il collaboratore sarebbe stato proprio Rocco Santo Filippone a detenere il rapporto di mediazione tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra: “Mi hanno sempre detto che il riferimento era Rocco Filippone. Non mi hanno detto con chi avesse rapporti. Mi parlarono di lui al carcere di Biella, successivamente Nirta me ne parlò in Chiesa”. Quindi il collaboratore ha parlato di “alleanza fra Palermo e Reggio Calabria sulla strategia stragista” in riferimento agli omicidi dei carabinieri Fava e Garofalo : “Mi è stato detto da diverse persone come Domenico Nirta, Nino Penna, Corica, i Macrì”.

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Gli imputati Rocco Santo Filippone e il boss Giuseppe Graviano


Quei rapporti tra la criminalità organizzata siciliana e quella calabrese avrebbero anche visto un compimento già con l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, visto il coinvolgimento di Nicola Alvaro. E sempre in Calabria avrebbe vissuto un periodo della sua latitanza Santapaola. “Mi dissero che la latitanza di Santapola era gestita dai Molè, uno dei fratelli mi sembra Mommo. Rocco Filippone aveva fatto da tramite. Era collegato ai palermitani e aveva gestito la latitanza - ha detto Canale - mentre Riina doveva essere nascosto in zone come Gioia Tauro, Sinopoli o Sila, ma non si fece più nulla”.

Le logge parallele
Grazie alle confidenze del boss Penna, l'ex membro della cosca Alvaro era anche venuto a conoscenza dell’esistenza di logge massoniche "parallele” a quelle legali, in quanto non registrate. Ma il pentito ha fatto anche alcuni nomi di soggetti appartenenti a queste logge. “C’era il barone Nesci, tale Monteleone, ma anche tanti altri”. Ad un certo punto Canale ha anche fatto il nome del “giudice Alberto Cisterna”. E al pm Lombardo che gli ha fatto notare che nel verbale aveva riferito del giudie Tuccio il teste ha aggiunto: "Sì mi fece anche il nome di Tuccio. In relazione al processo Olimpia, mi disse che Tuccio era uno di loro. Mi parlò anche di avvocati come Giorgio De Stefano e dell’avvocato Romeo. Mi disse anche di un altro avvocato legato ad ambienti massonici e ‘ndranghetistici. Era molto legato ai Piromalli, Mancuso e Alvaro ed aveva rapporti diretti con l’avvocato Gioacchino Piromalli, che era massone. - ha aggiunto - Anche Antonio (figlio di Facciazza, ndr) e Girolamo erano massoni”. Secondo il collaboratore avrebbero fatto parte delle “logge parallele” anche membri delle cosche dei Piromalli, Mancuso ed Alvaro in quanto “erano molto legate nella gestione del porto”.
Nel proseguo della deposizione il collaboratore di giustizia ha anche parlato della figura di Franco Coco Trovato: “Mi dissero che lui, tramite Gaetano Fidanzati (boss dell’Arenella-Acquasanta, ndr), era stato agganciato da Cosa nostra che chiese appoggio per fare le stragi a Palermo. Lui rispose che non poteva prendere una decisione simile da solo, ma ne avrebbe dovuto parlare con la società. - ha proseguito - Questa gli disse di farsi da parte. Ed allora, Coco Trovato, per non dire di no, aveva piazzato un’autobomba per Totò Riina, anche se poi fu reindirizzata su Di Pietro, dato che all’epoca era in corso il processo Mani pulite’”.

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Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo © Paolo Bassani


La deposizione del pentito Facchinetti
Prima di Canale a deporre è stato il collaboratore di giustizia Salvatore Facchinetti, ex affiliato alla cosca Pesce-Bellocco e legato particolarmente al boss Vincenzo Pesce. In particlare ha riferito delle divisioni nella Piana negli anni Novanta. Secondo il pentito al tempo il “vero potere lo aveva proprio Vincenzo Pesce anche se “le cariche erano state date a Mico Oppedisano. Dunque se si doveva porre in essere “una rapina non si parlava con Oppedisano ma con Pesce”. Mentre Rocco Santo Filippone avrebbe detenuto un potere molto più alto. “Non ho mai conosciuto Filippone, ma so che Oppedisano per il fatto delle arance si è rivolto a lui per arrivare a un ispettore del lavoro. Per Oppedisano Filippone erano molto importante”.
Il processo è stato rinviato alla prossima udienza del prossimo 22 novembre.

 

Modificato in data 24 aprile 2023

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