di Aaron Pettinari
Lo storico giornalista del Corriere ascoltato ieri nella trasferta a Bologna
"I killer sono entrati in azione tre chilometri prima del casello di Scilla. Compiuta la strage, si sono volatilizzati. Tracce pochissime. Soltanto ieri mattina, una telefonata anonima è arrivata all'hotel Palace di Reggio, dove c'è la sede del Comando Intermedio di Rappresentanza dei carabinieri. 'Questo non è che l'inizio di una strategia del terrore', ha detto l'uomo". E' questo uno dei passaggi dell'articolo scritto il 20 gennaio 1994 dal giornalista del Corriere della Sera, Bruno Tucci (in foto), due giorni dopo l'omicidio degli appuntati Antonino Fava e Giuseppe Garofalo. Ed è su questo articolo che ieri si sono concentrate le domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo durante l'audizione dello stesso giornalista, sentito in trasferta a Bologna nel processo 'Ndrangheta stragista che si sta celebrando davanti alla Corte d'assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, e che vede come imputati i boss Rocco Filippone, per gli inquirenti all’epoca dei fatti a capo del mandamento tirrenico della ’Ndrangheta reggina e ancora oggi, secondo le convinzioni dell’Antimafia reggina, il vertice dell’omonima ’ndrina costola della dinastia mafiosa “Piromalli” di Gioia Tauro, ed il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, già condannato per le stragi del 1992 e del 1993.
Tucci non ha saputo dare un'indicazione precisa di come apprese quella notizia: "Potevo averlo saputo dal portiere dell'albergo. Comunque quel che scrissi era frutto di verifiche. L'analisi del testo mi fa ritenere che il riferimento di quella telefonata era un fatto nuovo".
Non è semplice per l'85enne giornalista rimettere in fila tutti i passaggi di quei giorni trascorsi a Reggio Calabria per raccontare dell'agguato avvenuto il 18 gennaio del 1994. "Sul posto avevamo il corrispondente Giuseppe Barillà, che lavorava anche per la Gazzetta del Sud, ed avevo rapporti anche con altri colleghi con cui mi confrontavo". In quell'articolo si dava atto anche di una comunicazione radio tra la "Gazzella" dove viaggiavano i due appuntati e la centrale operativa della Compagnia di Palmi: “'Pronto, centrale? Volevamo segnalarvi che una macchina, sull’autostrada, ci sta seguendo. Proviamo a richiamarvi più tardi'. La voce dell’appuntato Vincenzo Garofalo arriva chiara in caserma. 'Dateci notizie al più presto', risponde il collega. Passano interminabili minuti nel silenzio. Della “Gazzella” non ci sono più tracce. Che cosa è successo? 'Un inferno', rispondono a 24 ore di distanza gli inquirenti". Anche in questo caso Tucci non è riuscito a fornire un'indicazione sulla fonte che lo portò a scrivere in maniera così accurata quella conversazione: "Questa conversazione tra i carabinieri potrebbe essere stata recepita dai colleghi il giorno stesso dell'agguato e me lo riferirono. Sicuramente la ritenni importante perché era l'inizio dell'articolo. Se l'ho letto in altri giornali? Può darsi. Il nostro mestiere è leggere i giornali al mattino. Ma può essere che anche il nostro corrispondente mi abbia detto qualcosa. Probabilmente l'ho verificato e posso aver chiesto anche più di una conferma. Certo è che non è stato mai smentito".
Un fatto sicuramente singolare se si tiene conto che in un'agenzia Ansa, datata 21 gennaio 1994, si dava atto dell'esame delle conversazioni via radio ma si scriveva: "Secondo quanto si è appreso, i due militari, che si stavano recando a Reggio Calabria per rilevare alcuni colleghi impegnati nella traduzione di un detenuto, non avevano segnalato nulla di particolare al loro Comando. A dimostrazione di questo c'è il fatto che le pistole d'ordinanza dei due militari erano tenute con la sicura nelle fondine. I mitra M12 dei due militari, inoltre, erano riposti nel sedile posteriore dell'Alfa "75", ad ulteriore dimostrazione che l' agguato contro i due militari non è stato preceduto da alcun segnale di allarme". Perché due giorni dopo il delitto viene diffusa una "versione" così contrastante?
I carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo
La presenza di Parisi e Galloni
Parlando dell'articolo Tucci ha cercato di ricostruire il suo arrivo a Reggio Calabria, dove già aveva vissuto sei mesi durante i "moti di Reggio": "Non credo di essere arrivato il giorno stesso del delitto ma il giorno dopo. I virgolettati riportati di alcuni inquirenti? Non partecipai alla conferenza stampa. Probabilmente mi dissero qualcosa i colleghi. Io con i magistrati non parlai".
"Il sostituto Pedone - si legge nell'articolo dell'epoca - avanza un’ipotesi inquietante che, con il passare delle ore diventa la pista principale seguita dagli investigatori: 'Solo per un caso, la strage non ha coinvolto un gruppo di magistrati del pool antimafia di Messina andati a Palmi per interrogare un pentito. Il lavoro si è protratto e gli appuntati Garofalo e Fava che avrebbero dovuto far parte della scorta sono stati spostati su un altro servizio'. Erano cinque i giudici messinesi che nel pomeriggio di martedì, accompagnati proprio dai carabinieri Garofalo e Fava, erano andati nel supercarcere di Palmi per interrogare il boss messinese Antonio Sparacio, arrestato pochi giorni fa e già deciso a pentirsi. In nottata, i magistrati Giovanni Lembo, della Dna, il procuratore aggiunto Pietro Vaccara, e i sostituti Franco Langher, Carmelo Marino e Gianclaudio Mango, dovevano tornare a Villa San Giovanni scortati dalla stessa pattuglia. Ma l’interrogatorio si è protratto oltre il previsto. Per questo ai militari è stato ordinato, nell’attesa, un servizio di pattugliamento sull’autostrada. E’ possibile, a questo punto, che la strage fosse stata organizzata dalla ‘Ndrangheta su richiesta delle famiglie mafiose di Messina anche per mandare un messaggio a Sparacio, un padrino importante che con le sue rivelazioni potrebbe mettere in ginocchio la Piovra Nissena". Confrontando le agenzie del tempo emerge chiaramente che Pedone parlò di questa ipotesi con i giornalisti anche se il nome del collaboratore di giustizia non compare nell'ANSA delle 19.04 del 19 gennaio.
Eppure quell'ipotesi investigativa, come emerso nell'udienza del processo dello scorso dicembre, non sarebbe stata particolarmente seguita dai carabinieri (Un'ANSA del 20 gennaio 1994, addirittura riferisce chiaramente che "i carabinieri non credono affatto all' ipotesi di un collegamento tra l'agguato di Scilla e la visita a Palmi dei magistrati di Messina e parlano di una ipotesi diversa, concentrata sull'attività di alcune cosche della Piana di Gioia Tauro").
Il giorno precedente, alle 11.39, in un'altra agenzia ANSA veniva battuto che "circa le modalità di esecuzione del duplice assassinio, gli inquirenti prospettano, al momento, due ipotesi: o che l'automobile dei carabinieri sia stata seguita fin dalla sua partenza dalla caserma di Palmi, o che sia stata intercettata una sua comunicazione via radio".
Tucci nel suo pezzo, scrisse anche un'altra ipotesi per l'attentato, ovvero che potesse essere "una risposta che la ‘Ndrangheta ha voluto dare ai carabinieri che, negli ultimi mesi, avevano inferto una serie di sconfitte alla malavita". Inoltre riportò alcuni virgolettati di autorità importanti come l'allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi, quelle dell'onorevole Giovanni Galloni, allora vice presidente del Csm, e quelle del Procuratore Guido Neri. Oggi ha detto di non ricordare la loro presenza, o di averli sentiti direttamente ma, come ha specificato, "si può totalmente far fede a quanto scritto. Perché 25 anni dopo è difficile ricordarsi tutto". E all'epoca scrisse che sia Parisi che Galloni erano presenti a Reggio "per un vertice". Vertice che si è tenuto il 19 gennaio, fissato ancor prima del delitto, come dà atto anche un'agenzia ANSA delle 18.45 dove è scritto: "L'attentato è stato interpretato dalle autorità come una risposta della criminalità ai successi nella lotta alla 'Ndrangheta. Oggi a Reggio Calabria il comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica si è riunito alla presenza del capo della polizia Vincenzo Parisi, del procuratore nazionale antimafia Bruno Siclari e del vicepresidente del Csm Giovanni Galloni. Al termine è stato annunciato che, per ragioni di bilancio, l'esercito non sarà più impiegato in Calabria nella lotta alla mafia".
Altro aspetto singolare, leggendo l'articolo di Tucci, è che non vi è alcun riferimento a quanto avvenne già la notte tra il primo ed il due dicembre del 1993, con un attentato sempre ai danni di due appartenenti all'Arma dei Carabinieri (evidentemente all'epoca non furono messi in relazione), né il primo febbraio, quando si verificherà un nuovo attentato contro i carabinieri, come evidenziato nel corso delle domande del pm, il giornalista sarà nuovamente inviato a Reggio Calabria.
Nella trasferta bolognese sono stati anche sentiti Gianluca Goglino, compagno di carcere di Giuseppe Calabrò, e confidente del carabiniere Riccardo Giardina, già sentito durante il processo ed il collaboratore di giustizia di Corso dei Mille, Giovanni Garofalo. Il primo ha chiesto ed ottenuto che la sua testimonianza non fosse videoregistrata mentre il secondo ha raccontato dei rapporti tra la mafia siciliana e quella calabrese. "Vi furono diversi affari nel traffico di stupefacenti - ha ricordato - In un'occasione entrammo in contatto con gente che conosceva Cosimo Lo Nigro per sbarcare un carico di hashish. Siamo fine 1995 inizi 1996 e se non erro erano rappresentanti dei Nirta-Strangio. In precedenza avevamo già avuto un traffico con persone che conosceva Giuseppe Graviano. Portammo la droga in Lombardia e in cambio ricevemmo anche armi".
Parlando del tempo delle stragi, rispondendo alle domande del pm, ha riferito che dopo l'arresto dei Graviano, nel gennaio 1994, "si diceva che chi poteva aggiustare tutto poteva essere Matteo Messina Denaro", mentre politicamente "Giuliano, Romeo ed anche Cosimo Lo Nigro mi dissero che il soggetto di riferimento che poteva fare qualcosa per tutti per aiutarci dopo gli arresi e le mazzate prese, era Silvio Berlusconi. A lui dovevamo appoggiare per un domani, per avere qualcosa di buono nelle leggi. Chi era il contatto? Mi dicevano solo che c'erano persone che potevano arrivare ma non mi fecero nomi". Il processo è stato rinviato al prossimo 28 maggio 2019.
Foto © Imagoeconomica
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