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aula tribunale 0 c imagoeconomicadi Aaron Pettinari e Davide de Bari
Il collaboratore di giustizia sentito oggi davanti la Corte d’Assise. Ma è giallo sulla reperibilità del collaboratore Mariano Pulito

“Da quando sono nato e ho convissuto con la mafia, c’è sempre stata la politica di mezzo. Prima c'erano i democristiani, poi i socialisti, poi il Partito Radicale, poi Berlusconi. In Sicilia non sale un partito se non è d’accordo con la mafia. Può succedere che sale un partito estraneo a Cosa nostra ma loro ci metteranno sempre qualche infiltrato. Fino a quando ci sarà la mafia non ci sarà mai una politica senza mafia”. A parlare è il collaboratore di giustizia Pasquale Di Filippo, ascoltato questa mattina al processo ’Ndrangheta stragista che vede come imputati i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, accusati di essere stati i mandanti degli attentati ai carabinieri che, secondo l'accusa, si inseriscono nella "strategia stragista" di attacco allo Stato, alla ricerca di benefici e nuovi referenti politici. Di Filippo non è uno qualunque. E' stato tra i fedelissimi del boss corleonese Leoluca Bagarella ed era entrato in Cosa nostra come uomo d'onore riservato. "Sono stato battezzato come uomo d'onore riservato, nel 1994 - ha ricordato il genero del boss Tommaso Spadaro - perché Bagarella (descritto dal pentito come il vero capo di Cosa nostra dopo la cattura di Riina, ndr) ha voluto così. nessuno doveva sapere niente di me, tranne lui, Matteo Messina Denaro, Antonio Mangano, Salvatore Grigoli, Giorgio Pizzo e Tony Calvaruso. Noi eravamo componenti di un gruppo di fuoco d'élite e da quel momento nessuno doveva sapere degli omicidi che sarebbero avvenuti". Ma il suo ruolo interno a Cosa nostra era già evidente in precedenza. Infatti, ha aggiunto, "ho fatto cose più delicate e importanti non essendo uomo d'onore rispetto a quando lo ero. Ho fatto da tramite tra carcere e fuori, muovevo i beni dei mafiosi e partecipavo a riunioni mafiose con mio suocero". La "riservatezza" di Di Filippo, però, durerà poco perché "purtroppo è successo che gli altri che facevano parte del gruppo di Brancaccio sono venuti a sapere del mio status”.

Il patto con la politica
Il teste, rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo, ha dunque riferito di “rapporti” e “patti” tra Cosa nostra e la politica.
Parlando di Berlusconi e del nascente partito, Forza Italia, l'ex killer ha ricordato che "tutta la mafia si è adoperata per far salire loro, perché ci doveva aiutare. Dal carcere mi hanno comunicato chi dovevo votare". Di Filippo non precisa il periodo ma è sicuro che "se ci sono elezioni nel '94, nel '93 si sa già chi dobbiamo votare. Quindi ha ricordato l'esistenza di un "patto" proprio con Berlusconi e a dirglielo sarebbe stato proprio Bagarella. "Forse non ha usato questa espressione, ma se un politico si mette d'accordo con un boss, non è un patto?" ha specificato. Quindi ha ricordato un incontro avuto con il cognato di Riina: "Io andavo a colloquio da mio suocero a Pianosa e per quello che capivo io, non erano trattati bene dalle guardie e stavano male. Volevano che si togliesse subito il 41 bis, che si chiudesse il carcere di Pianosa. Quindi questa cosa mi faceva anche rodere. Io vedevo che soffrivano tutti. Ero anche arrabbiato così in un incontro con Leoluca Bagarellagli ho detto: ‘Luca noi abbiamo votato Berlusconi, visto che ci doveva aiutare perché non ci ha aiutato riguardo il trattamento carcerario? Perché tutti stanno a morire?' Lui mi ha risposto: ‘Lassalu iri (lascialo andare, ndr) a sto meschenazzo poi quando può ci aiuta’”. Per il collaboratore Berlusconi sarebbe stato “ostacolato” da “due politici” che “osservavano l’operato del premier” e “gli impedivano di fare le cose per Cosa nostra”. Bagarella non gli avrebbe fatto il nome di questi soggetti, ma comunque avrebbe ribadito che "lui avrebbe mantenuto gli impegni".
Riavvolgendo il nastro della storia Di Filippo ha anche ricordato che Cosa nostra non avrebbe solo “agevolato” Berlusconi, ma anche “il partito radicale e Martelli che faceva parte del partito socialista, e prima ancora i democristiani”. Riguardo il presunto sostegno al partito radicale, l’ex killer ha raccontato un episodio di quando sarebbe andato in carcere per ricevere degli ordini dai boss. “Mio suocero e Pippo Calòmi hanno dato l’ordine di fare dei vaglia a nome mio, di mia moglie, della moglie di Calò e di mia suocera. Sono tutti soldi inviati al partito radicale ... perché ci doveva aiutare per il carcere”.

I legami con la 'Ndrangheta
Riguardo al rapporto tra la mafia siciliana e quella calabrese, che ovviamente è un punto chiave di questo processo, il collaboratore di giustizia ha ribadito che i rapporti con la 'Ndrangheta ci sono sempre stati e che erano direttamente gestiti dalla "cupola". Di questo ne avrebbe parlato con i membri del gruppo di fuoco, tra cui Mangano e Grigoli. “Sapevo che le armi che acquistavamo le mandavano certi calabresi” ha riferito l’ex uomo d’onore che ha precisato “loro (i calabresi, ndr) sono sempre stati forti in questo settore. Avevano mitragliette che noi in Sicilia non avevamo”. Di Filippo ha raccontato anche di un “favore” che sarebbe stato “chiesto” da “una famiglia che sta sia a Reggio Calabria che a Milano e che aveva dei buonissimi contatti con noi”. Si trattava di “una grossa partita di droga” e quindi “volevano il nostro appoggio” e “abbiamo dato copertura nel ’94-'95”. Il contatto sarebbe nato grazie aCosimo Lo Nigro che aveva un buonissimo rapporto con questa famiglia”.

L'arresto di Bagarella al ruolo di Provenzano
Altri temi affrontati durante la deposizione anche il contributo da lui offerto come collaboratore di giustizia per l'arresto di Bagarella: "Quando fui fermato dalla Dia a Palermo, il 21 giugno 1995, io decisi subito di collaborare. Anche mio fratello Emanuele aveva preso quella strada. Io ero molto vicino a Bagarella - ha proseguito - decisi di collaborare e dopo uno o due giorno Bagarella è stato arrestato. Io dissi di seguire Tony Calvaruso che era il suo autista - ha aggiunto - Bagarella è stato poi arrestato vicino il negozio di Calvaruso”. Ma la sua collaborazione è stata importante anche per altri aspetti in particolare per quel che concerne le stragi del 1993. "Nel 1995 sono il primo collaboratore che parla di queste cose. Nessuno sapeva chi fossero i mandati ed esecutori delle stragi di Roma, Firenze e Milano - ha detto - io mi sono assunto la responsabilità di parlare. Così come ho riferito su una cinquantina di omicidi. Ho detto chi è stato a fare le stragi, chi è stato ad uccidere padre Pino Puglisi. Ho detto che è stato Grigoli che al tempo era incensurato ed aveva anche il porto d'armi".
L'ex fedelissimo di Bagarella ha anche raccontato che dopo Riina in Cosa nostra le decisioni erano prese da Bagarella: "Provenzano non contava niente nei confronti di Bagarella. Se io dicevo qualcosa a lui, prendeva lui le decisioni". Addirittura, ha aggiunto il pentito, i capi mandamento davano del “Vossia” a Bagarella in segno di assoluto rispetto "e se a lui non andava bene qualcosa li faceva fuori".

Il giallo su Marino Pulito
Di Filippo non era l'unico collaboratore di giustizia di cui era prevista oggi l'audizione. Infatti era stato citato anche l'ex capomafia della Sacra Corona Unita, Marino Cosimo Pulito, che avrebbe dovuto riferire sulle dinamiche che hanno portato ai rapporti fra Cosa nostra, ‘ndrangheta e Scu nel periodo delle stragi. A quanto pare è risultato "irreperibile" per il servizio centrale di protezione. Lo si è appreso in aula quando è stata letta una nota del Ministero dell’Interno. Ora bisognerà capire le ragioni per cui lo stesso non si trovasse nella propria dimora.
La Corte, presieduta dal giudice Ornella Pastore, ha rinviato l’udienza al prossimo venerdì 16 novembre alle ore 9.30.

Foto © Imagoeconomica

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