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aula tribunale c imagoeconomica 0di Davide de Bari
“I Piromalli sono un nome che ho sentito nominare in Cosa nostra … non ne ho sentito parlare male … erano un punto di riferimento per Cosa nostra del gruppo nostro di Salvatore Riina”. A dirlo è il collaboratore di giustizia Calogero Ganci che ieri mattina è stato ascoltato dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, durante il processo che vede imputati il boss Giuseppe Graviano e il boss di Reggio Calabria Rocco Santo Filippone con l’accusa di essere i mandanti per gli attentati ai Carabinieri (tra cui gli omicidi degli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo) inseriti nel contesto stragista proprio per imporre i progetti della cupola calabrese-siciliana e ricattare lo Stato.
Ganci, ex membro dello "squadrone della morte" al servizio dei corleonesi, non ha parlato solo dei legami di Cosa nostra con la ‘Ndrangheta, ma ha anche riferito di aver “conosciuto in carcere” nel “'93 a Caltanissetta” il boss catanese Nitto Santapaola; che “da quello che ho sentito dire da mio padre (Raffaele Ganci, capo mandamento della cosca della Noce, ndr) e che lui era referente di Cosa nostra per la zona di Catania”. Quindi ha raccontato anche dei contatti tra la mafia siciliana e quella campana. “Io ho avuto modo di conoscere i Nuvoletta - ha detto il teste - quando c’era la guerra di mafia … uno era Angelo Nuvoletta e l’altro era Gionta (Valentino boss di Torre Annunziata, ndr)”. Secondo Ganci i due boss della Nuova Famiglia avrebbero avuto da parte di Cosa nostra una “donazione di armi” con “mitragliatori" e “kalashnikov”, visto che erano “uomini d’onore di Cosa nostra”. Il collaboratore si è soffermato anche su gruppi di Cosa nostra a Milano. “C’era Grado - ha detto - erano gente che si era trasferita a Milano per fare business … gestivano il traffico di droga … c’erano i Fidanzati, i Carollo padre e figlio”.
Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, Ganci ha anche ricordato le modalità con cui si prendevano gli appuntamenti per incontrare Riina. In particolare ha riferito di alcuni incontri con i fratelli Graviano: "Venivano da noi perché Riina era protetto dal mandamento della Noce. Noi partecipavamo (agli incontri, ndr) quando venivano i Graviano o altri e li portavamo dove c’era la riunione … io avevo solo il compito di portare … stavo fuori ad aspettare”.

Le stragi continentali e l'eccidio di Capaci
Successivamente il collaboratore di giustizia ha parlato delle stragi. Per quanto riguarda quelle del 1993 ha detto di "non saperne niente" ed anzi ha raccontato che "c’è stata una lamentala con mio padre per dirgli a cosa servivano queste stragi contro gente innocente … hanno fatto più danno che bene”. E poi ancora: “Mio padre mi ha allargato le mani per dirmi: è così e basta”. Per il pm Giuseppe Lombardo è inspiegabile come nemmeno il padre di Ganci, Raffaele, sapesse nulla della strategia stagista, in quanto il mandamento della Noce era tra i più “fedeli” all’interno del gotha di Cosa nostra. “Quando c’è stato l’arresto di Riina gli incontri (della commissione, ndr) non venivano più fatti, ma avvenivano singolarmente - ha spiegato Ganci - dopo l’arresto di Riina eravamo un po’ sbandati”. Diversamente i Ganci hanno avuto un ruolo importante per quanto riguarda la strage di Capaci. "Nell'aprile del ’92, mio padre mi incarica di incominciare a seguire la macchina di scorta del Dott. Falcone. - ha raccontato Ganci - All’epoca le persone incaricate eravamo io, mio fratello Domenico, mio cugino Antonino Gagliano e c’era anche Salvatore Cancemi assieme con mio padre. In quel periodo ho saputo che si era deciso di uccidere Falcone”.
L’udienza è stata rinviata a venerdì 19 ottobre alle ore 9.30.

Foto © Imagoeconomica

Dossier Processo 'Ndrangheta stragista

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