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aula tribunale c imagoeconomica 23di Aaron Pettinari
"Nel ’92, prima che Vincenzo Milazzo fosse ucciso, ci sono stati tre incontri con uomini dei servizi. Volevano mettere in atto una strategia di destabilizzazione dello Stato con bombe e attentati". A riferirlo è il collaboratore di giustizia Armando Palmeri, factotum del capomafia di Alcamo Vincenzo Milazzo (ammazzato per vendetta dai corleonesi nel luglio del 1992), ascoltato oggi durante il processo 'Ndrangheta stragista. Imputati sono il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto all'epoca capo mandamento della 'Ndrangheta reggina, entrambi sotto accusa per gli attentati ai Carabinieri (tra cui gli omicidi degli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo) inseriti nel contesto stragista proprio per imporre i progetti della cupola calabrese-siciliana e ricattare lo Stato.

"Da quegli incontri Milazzo usciva molto turbato - ha aggiunto il pentito rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo - Mi diceva 'questi sono pazzi scatenati' e che quello che volevano fare avrebbe portato alla fine di Cosa nostra e che non avrebbe portato beneficio a nessuno. Milazzo non era favorevole ma rispondeva con un 'Ni' a quel progetto. Se avesse detto no sarebbe stato un gran rifiuto e ci avrebbero ammazzato".
Non è la prima volta che l'ex autista del capomafia di Alcamo parla di queste cose. In merito è stato riascoltato di recente anche dai pm di Caltanissetta che indagano sui mandanti esterni delle stragi che uccisero Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle scorte. Proprio dopo la strage di Capaci Milazzo aveva capito che il progetto era stato avviato: "Mi trovavo con lui quando apprendemmo dell'attentato. Lui rimase di pietra. Io con un sorriso gli dissi: 'Vicè ora tocca a noi'. Lui in quel momento capisce che è aperta la guerra e mi disse: 'Pazzi, sono pazzi. Dobbiamo vedere dopo quando cominciano a piovere gli ergastoli'".

Gli incontri con gli 007
Quindi Palmeri è entrato più nel dettaglio dei vari incontri con quei soggetti appartenenti ai servizi di sicurezza che avvengono dal gennaio del 1992 fino a poco prima della morte di Milazzo. Il primo sarebbe avvenuto. "Lui era stato avvertito che queste persone volevano parlargli e mi chiese di accompagnarlo - ha riferito il pentito non ricordando se fosse già stata emessa la sentenza in Cassazione del Maxi processo - Arriviamo in questo villino in contrada Conza, nel comune di Castellammare del Golfo, di proprietà dell'imprenditore Michele De Simone. Milazzo aveva le chiavi. In quell'occasione io mi tenni defilato in modo da controllare la situazione a distanza e vidi questi soggetti che non conoscevo accompagnati da un noto chirurgo, Baldassarre Lauria (che negli anni successivi sarebbe diventato senatore di Forza Italia, ndr). Ogni incontro sarà durato un'ora, un'ora e mezza. Una volta finito Milazzo mi dice che questi erano matti e che addirittura Lauria avrebbe proposto di fare una guerra batteriologica anziché le bombe, per piegare lo Stato più facilmente". Dopo la successiva contestazione del pm Lombardo sulle modalità che si sarebbero usate nell'utilizzo di questi batteri il teste ha anche ricordato che si parlava di "avvelenare un acquedotto".

Quel collegamento con Firenze
"Milazzo in un primo momento si adoperò, pur tenendosi lontano. Ordinò a Gioacchino Calabrò di riferire a Giuseppe Ferro di mettersi a disposizione 'con quei parenti di lassù'. Col senno di poi capii di cosa si trattava, ovvero dell'attentato dei Georgofili di Firenze. Avevo saputo che i parenti di Ferro erano invischiati in questa cosa. In questa maniera dò un senso a quell'ordine di cui all'inizio non avevo capito nulla". Dunque l'ex capomafia di Alcamo da una parte cercava di defilarsi ma dall'altra commentava "questa è la vera mafia". "Quando parlavamo - ha aggiunto Palmeri - era anche affascinato. Si sentiva impotente rispetto a questi soggetti ed era consapevole che il 'gran rifiuto' avrebbe portato a tragedie".

Il pedinamento
Il secondo incontro con gli uomini dei Servizi, secondo quanto sostenuto da Palmeri, si sarebbe verificato un paio di mesi dopo in un'altra villa, appartenente all'imprenditore palermitano Manlio Vesco, morto suicida nell'ottobre del 1993. "Anche in questo caso Milazzo aveva le chiavi. Stavolta però io pedinai la macchina, un'utilitaria, dei due uomini dei servizi. Arrivai fino alla rotonda di via Belgio a Palermo, poi li persi di vista. Riuscii comunque a prendere la targa. Milazzo mi disse di darla a Sebastiano Di Benedetto per scoprire a chi era intestata. Risultava appartenere ad un autonoleggio dell'aeroporto Punta Raisi ma praticamente in quei giorni non era stata noleggiata. Non c'erano annotazioni".

Il terzo incontro
Ultimo atto di questi incontri con gli uomini del servizio di sicurezza sarebbe avvenuto tra la strage di Capaci e quella di via d'Amelio. "L'incontro è nella villa del senatore Ludovico Corrao, alle pendici del monte Bonifato che sovrasta Alcamo. In quell'occasione arrivammo che c'erano già delle auto. Poi andai a riprendere Milazzo una volta conclusa la riunione. Ancora una volta Milazzo manifestò i suoi dubbi. Lui si giocava la carta del 'Ni' ma io percepivo che era arrivata la fine. C'erano degli incontri con Peppe Ferro, Gioacchino Calabrò, Giovanni Brusca e io li percepivo agitati. Sentivo che era arrivato il nostro momento". Ma chi erano quei soggetti appartenenti ai servizi di sicurezza? Quando il pm Lombardo ha cercato di approfondire il tema scavando nei ricordi del collaboratore per arrivare ad una descrizione fisica degli stessi, Palmeri si è sentito poco bene, chiedendo persino una sospensione dell'udienza. Prima della pausa ha ricordato solo di aver fatto un riconoscimento: "Queste cose le ho riferite dal primo momento. Mi è stato mostrato un album dei servizi ma erano tutte fotografie molto datate, ingiallite e non ho mai riconosciuto nessuno. Se li posso descrivere? Sono passati tanti anni ricordo che uno portava una giacca nocciola". Poi la richiesta della sospensione: "Mi scuso presidente, ma sono in attesa di un intervento cardiochirurgo e questi argomenti mi portano ansia".

La morte di Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo
Nel corso della deposizione Palmeri, che non è mai stato formalmente affiliato ma che era "uomo di fiducia" di Vincenzo Milazzo, ha anche parlato della morte di quest'ultimo: "Venne attirato in un tranello da Antonino Gioé, Leoluca Bagarella, Gioacchino Calabrò. Io queste cose le apprendo da Gioé. Lui mi disse di aver sparato a Milazzo. Perché fu ucciso? Lui mi disse che lo uccise per evitare che a farlo fosse Brusca. Comunque doveva morire. Dopo la sua morte sul movente furono dette una moltitudine di corbellerie. Che aveva incassato soldi, che aveva dato noia alla moglie di un uomo d'onore, che aveva parlato male di Riina e Provenzano. Io non posso affermare con certezza il motivo ma noi eravamo consapevoli del rifiuto che aveva dato nell'affiancare alla strategia terroristica atta alla destabilizzazione dello Stato. Qualche tempo dopo fu uccisa anche la sua ragazza, Antonella Bonomo, appena ventenne e incinta. Sempre Gioé mi disse: 'l'abbiamo dovuto fare'". Il pentito ha però escluso che Milazzo possa aver parlato degli incontri con gli uomini dei servizi alla donna.
Palmeri ha inoltre raccontato di aver ricevuto anche lui degli attentati, ai quale è riuscito a scampare: "Dopo la morte di Milazzo so che c'era chi mi voleva morto ed altri che invece non volevano uccidermi. Gioé perorò la mia causa e ci fu pure un incontro un paio di giorni dopo l'uccisione di Vincenzo. Poi due anni dopo Gioé mi mandò dei saluti così come aveva fatto qualche giorno prima della morte di Milazzo ed io capii che per me era finita. Così evitai di andare agli appuntamenti o ai pranzi".
Quel che è certo è che con l'ex boss di Altofonte si era creata una certa confidenza. "Lui aveva un ruolo apicale dentro Cosa nostra, era il figlioccio di Bagarella. Una volta mi disse pure di essere convinto che nella sua casa c'erano delle microspie".
Infine Palmeri ha anche detto la sua sulla morte di Gioé in carcere: "L'hanno suicidato. Ricordo che quando appresi della sua morte lo commentai con Gioacchino Calabrò e anche lui ebbe questa impressione. Mi disse sconfortato: 'lo ammazzarono'. La lettera lasciata in carcere? Non so nulla di questo".
Il processo è stato rinviato a martedì quando verrà ascoltato l'ex comandante del Ros dei Carabinieri, Gianpaolo Ganzer.

Foto © Imagoeconomica

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