di Francesca Mondin
Durante l'udienza sentito anche il pentito Drago
"Nel dicembre '93, Bagarella mi ha detto che loro credevamo molto in questo nuovo partito, Forza Italia. Un progetto, mi spiegava, suo e di tutti i suoi amici, quindi di tutta cosa nostra. Bagarella mi ha detto che c'erano candidati loro". A parlare è il collaboratore di giustizia Tullio Cannella sentito quest'oggi a Reggio Calabria nel processo “‘Ndrangheta stragista” che vede alla sbarra il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, già al 41 bis, e il capobastone calabrese Rocco Santo Filippone, esponente di primo piano della cosca Piromalli di Gioia Tauro.
Cannella, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha raccontato della sua amicizia con il boss corleonese Leoluca Bagarella (in foto) per poi passare alla creazione del partito politico indipendentista, “Sicilia Libera”, fino all'appoggio dato a Forza Italia nel 1994.
Proprio rispetto alla creazione dei vari movimenti separatisti che si stavano formando nel sud Italia all’inizio degli anni novanta ha raccontato di aver intrapreso l'attività "su richiesta di Bagarella che si lamentava della disattenzione dei politici nei suoi confronti e nei confronti di Cosa nostra. Movimenti analoghi stavano nascendo nel resto della Sicilia e del Meridione, ma anche la Lega Nord muoveva i suoi primi passi".
Quindi ha riferito dell'incontro che “Sicilia Libera” e “Calabria Libera” organizzarono a Lamezia Terme. In quel luogo "ho incontrato anche uomini del Carroccio. Patania, il responsabile di Catania Libera, mi ha detto che era importante farla lì perché è lì che c'erano legami solidi con la massoneria e alcuni apparati statali che avrebbero dato copertura al movimento".
Un dato, quest'ultimo, che persino l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, gli avrebbe confermato successivamente in un colloquio in carcere. "Mi spiegò che Lamezia è importantissima - ha raccontato Cannella - perché la Calabria è un fulcro per il mondo massonico e con apparati di varia natura. Mi disse che c'erano la massoneria ed altri apparati dello Stato che erano in rapporti con la 'Ndrangheta".
Nell'incontro di Lamezia Terme sarebbero stati presenti anche esponenti della Lega Nord. “C’era - ha riferito Cannella - un certo Marchioni che ho incontrato anche a Palermo e che faceva parte della segreteria della Lega Nord. ‘Calabria Libera’ invece era rappresentata da un onorevole della Regione, un certo Donnici, che aveva lo stesso ruolo che rivestivo io in Sicilia”.
Ad un certo punto, però, il progetto separatista subì un brusco stop. Il collaboratore di giustizia ha spiegato che ad un certo punto "Bagarella mi disse che stava nascendo una situazione in cui loro credevano molto. Si trattava di un movimento che faceva capo all’onorevole Berlusconi e per questo dovevo stare calmo con ‘Sicilia Libera’. Bagarella parlava per lui, per Provenzano e a nome degli interessi di Cosa nostra. Me ne parlò nel dicembre 1993 quando io ancora non sapevo della discesa in campo di Berlusconi e mi fece il nome di Forza Italia ancora prima che diventasse di dominio pubblico. Mi venne detto che tutti i voti sarebbero andati a questo movimento e noi facemmo un club ‘Forza Italia-Sicilia Libera’”.
Quando Cannella chiese di poter inserire nel nuovo progetto alcuni rappresentati di "Sicilia Libera" Bagarella disse che si sarebbe dovuto incontrare con una persona. "Tony Calvaruso mi ha detto che quella persona era Vittorio Mangano, ma l’incontro non c’è mai stato” ha riferito il pentito rivolgendosi alla Corte. Cannella parlò di Forza Italia anche con il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano: "Mi disse di evitare queste cose e di lasciare fare a chi, come lui, ha i contatti giusti. Non mi ha fatto i nomi di questi contatti giusti. Mi disse che bisognava risolvere il problema dei pentiti”.
La testimonianza di Giovanni Drago
L'udienza odierna prevedeva anche l'esame dell'ex boss di Ciaculli Giovanni Drago, amico d'infanzia prima e picciotto poi, dei fratelli Graviano.
Il collaboratore di giustizia ha raccontato dei rapporti tra mafiosi calabresi e siciliani di cui ha avuto diretta conoscenza mentre era al fianco dei Graviano.
Tra l'89 e il '90, ha riferito il collaboratore di giustizia, i siciliani ospitarono i fratelli cosentini Notargiacomo “al villaggio turistico Euro village”: “Nicola e Davide Notargiacomo sono rimasti tanti giorni, non ricordo quanti però, io sono andato a trovarli, anche in compagnia con Graviano Giuseppe”, con loro, ha precisato Drago “abbiamo avuto degli affari di droga e armi”. E non solo, i fratelli calabresi infatti avrebbero chiesto anche di fare un omicidio a Palermo: “Ce l’avevano con un funzionario di polizia che periodicamente scendeva a Palermo e volevano lo star bene per fare questo omicidio giù. - ha raccontato il pentito - ne parlarono con i Graviamo perché si trattava di una cosa delicata”. La risposta sarebbe arrivata dal capo dei capi Totò Riina: “Il Lucchese disse che l'ordine di Riina era che non bisognava fare chiasso” e di fatto “non si fece più nulla” perchè “essendo un funzionario la cosa scuoteva clamore” e invece “ci stavano altre cose, volevano l'eliminazione di Falcone”.
Dei Notargiacomo aveva riferito anche il collaboratore Fabio Tranchina nella scorsa udienza dell'11 maggio ricordando che “erano ospitati all'Euromare village e che erano in affari con Giuseppe Graviano”.
Drago oggi ha parlato di un'altro gruppo di fratelli calabresi: i Bartolomeo ospitati “in una villetta di Graviano in località Palermo” anche con loro ci sarebbero stati “scambi di armi e droga”.
Ma non erano solo i calabresi ad andare in Sicilia, anche i boss siciliani sarebbero andati ad incontrare esponenti calabresi. Sarebbe, ad esempio il caso di Cesare Lupo, fedelissimo di Graviano e cognato di Tranchina, che secondo quanto riferito nella scorsa udienza dal pentito Tranchina avrebbe fatto tappa a Gioia Tauro dai Piromalli durante un permesso dal carcere. “Mi ricordo che a Cesare era stato dato un secondo permesso e in quell'occasione andammo a prenderlo con la macchina della moglie di Cesare e non ricordo se nel ritorno o all'andata ci fermammo nella villa di un certo Gioacchino Piromalli”. Quando arrivarono “Cesare si appartò a parlare con questo signore”, “poi mi confidò che era stato un suo compagno di cella e che era uno di cui si fidava che non dava confidenza a nessuno e che ci stava bene”.
Foto © Letizia Battaglia
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