Al processo 'Ndrangheta stragista parla il pentito Antonino Cuzzola
di Francesca Mondin
E' stato un fiume in piena il collaboratore di giustizia Antonino Cuzzola ieri al processo 'Ndrangheta stragista che vede imputati il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto il capo mandamento della 'Ndrangheta reggina all'epoca degli attentati ai carabinieri per cui sono accusati oggi i due boss. Cuzzola, killer dell'educatore carcerario Mormile assieme ad Antonio Schettini, ha spaziato dai sequestri di persona, allo stesso omicidio Mormile, alla sigla “falange armata”, ai rapporti tra 'Ndrangheta e Cosa nostra ritornando più volte a parlare dei rapporti tra i vertici della 'Ndrangheta e i servizi segreti.
Mormile e i colloqui con i servizi top secret
Ci sarebbero stati diversi colloqui segreti in carcere tra esponenti della 'Ndrangheta e uomini dei servizi. Secondo quanto raccontato da Cuzzola, i Papalia, così come i Libri e i Piromalli sotto la veste di colloqui con i propri avvocati si incontravano con gli 007 in carcere. Dei rapporti con i servizi “a me lo ha riferito Saro Mammoliti” quando “si è messo ad urlare nel corridoio che lui aveva i contatti con i servizi ma pure tutti gli altri”. Secondo il racconto di Cuzzola era una cosa tacita ma conosciuta anche da alcune guardie e “il maresciallo della matricola aveva detto chiaro che chi ha avuto a che fare con i Papalia è rovinato perché continuano a fare i colloqui con uno che viene da Roma”.
Di questi rapporti nessuno doveva parlarne altrimenti rischiava la morte e così infatti avvenne per l'educatore carcerario Umberto Mormile ha sostenuto il pentito in aula: “L’educatore è stato ucciso solo ed esclusivamente perché si è confidato con un detenuto amico dei Papalia” dicendogli “che Domenico Papalia aveva i permessi con l’appoggio dei servizi”. “Schettini dice un mare di balle” ha sottolineato convinto Cuzzola, Mormile doveva morire “perché aveva messo in giro la voce che Domenico Papalia a Parma faceva i colloqui con i servizi dentro il carcere”.
Quando il pentito lo avrebbe riferito all'inizio della sua collaborazione al dottor Nobile, avrebbe anche ricevuto la conferma dei colloqui dalla “guardia del carcere che faceva il servizio alla porta”. La quale, secondo quanto raccontato ieri in aula dal pentito, gli avrebbe detto: “Io li conosco quelli dei servizi che venivano da Domenico Papalia, ma non c'era solo lui, c'erano altri due calabresi che facevano i colloqui con i servizi… io li conosco bene nome e cognome di questi che vengono a fare i colloqui con i detenuti”.
L'ombra dei servizi sull'omicidio Mormile non finisce qui ma sembra essere presente anche nel tentativo di sviare le indagini sul caso. Il collaboratore di giustizia ha raccontato che lo stesso Antonio Papalia gli disse di aver fatto rivendicare, telefonando ad un giornale di Bologna, l'assassinio con la sigla “Falange Armata” per “deviare le indagini”.
Una manovra sulla quale il pentito non ha dubbi: “Qualcuno gli ha suggerito di fare questa telefonata con questo numero e questa sigla” perché “non ha molto cervello Antonio Papalia e nemmeno tanta testa”.
Il depistaggio poi, secondo il pentito, sarebbe continuato con Schettini, l'altro killer che diede una versione completamente diversa da Cuzzola riguardo il movente dell'omicidio. “Schettini lo hanno sempre manovrato da collaboratore - ha detto Cuzzola - Domenico Papalia andava dall'avvocato e spariva e quando tornava convinceva Schettini a scrivere queste lettere”. “Evidentemente - ha concluso - “andava a quei colloqui”.
Altro che carcere duro
Gelati, whisky, permessi, colloqui infiniti e favori, nel carcere di San Vittore a Milano, i fratelli Papalia e altri capi mafiosi godevano di diverse agevolazioni secondo quanto raccontato da Cuzzola: “C'era l'ispettore De lorenzo, il responsabile di quella sezione, e l'ispettore Vitello che gli facevano passare di tutto e di più, pure un frigo fuori dalla cella”. Il boss Papalia Antonio sarebbe addirittura riuscito a decidere la disposizione nelle celle: “Spostamenti di celle? Sì sì anche a Cuneo - ha detto il pentito rispondendo al sostituto procuratore Lombardo - a San Vittore ha fatto spostare un piano, ha fatto perquisire tutto e poi ha scelto lui chi doveva andare in quel piano” mettendo “tutto il suo gruppo e i suoi parenti”. C'erano tante cose che non si capivano, ha detto il pentito, come ad esempio il fatto che “Richichi e Musitano erano fuori in semi libertà quando ancora erano imputati in aula al processo sull'omicidio dell'educatore, una vergogna”. Ma l'apice sarebbe stato raggiunto, secondo Cuzzola, quando “le guardie hanno picchiato Santo Paviglianiti, l'ispettore Vitello lo ha pestato senza motivo perché aveva chiesto il fornello per fare un caffé e allora Santo ha capito che lo avevano mandato i Papalia” e, ha continuato a raccontare Cuzzola, quando Paviglianiti avrebbe pensato ad una azione contro l'ispettore “i Papalia lo hanno difeso” dicendo che “se toccava quell'ispettore si metteva nei guai”.
Il collaboratore di giustizia ha tirato in ballo anche Francesco Delfino, ex generale dei carabinieri coinvolto in diverse vicende ambigue della storia del nostro Paese deceduto nel 2014. L'ex generale, secondo quanto detto da Cuzzola, sarebbe venuto a conoscenza dallo stesso Saverio Morabito, della sua intenzione di collaborare con la giustizia, e avrebbe fatto la spia raccontando tutto ai Papalia. “Delfino ha chiamato Domenico e glielo ha detto” ha raccontato il killer di Mormile, aggiungendo che “Antonio Papalia poi mi ha raccontato di aver incontrato il generale Delfino in borghese sull'autogrill e che gli ha raccontato di Saverio”.
Da lì sarebbe quindi partito il progetto di morte per Mammoliti che avrebbe dovuto mettere a punto lo stesso Cuzzola, secondo la sua ricostruzione: “Avevano progettato di farmi arrestare con un etto di eroina nella zona di Bergamo” per entrare nel carcere in cui era detenuto Mammoliti ed una volta dentro “trovavo già il coltello dentro la doccia per ammazzare a Saverio, ma poi io mi sono ribellato perché Domenico Papalia era lì all'ergastolo già e io mi sarei dovuto far arrestare apposta”. Alla fine l'omicidio non avvenne e “il coltello lo hanno sequestrato le guardie”.
I rapporti con Cosa nostra
Nel riferire aneddoti sui rapporti ambigui tra mafiosi e servizi o forze dell'ordine, Cuzzola ha raccontato di una riunione a casa dei Tegano con “quattro uomini del gruppo dei Santapaola e tre palermitani di Riina”. Il summit sarebbe stato interrotto da “un blitz di un commissario che ha raccolto documenti e compilato un foglio registrando tutto”. Nominativi che sarebbero stati strappati già il mattino seguente in cambio di 10 milioni ha detto Cuzzola raccontando di aver sentito l'aneddoto la mattina a casa dei Tegano. Nel corso dell'udienza il pentito è tornato più volte sui rapporti tra siciliani e calabresi. Rappresentanti della mafia siciliana, calabrese e anche pugliese si sarebbero incontrati più volte anche in Lombardia: “Ci siamo seduti assieme decine di volte ma non me li posso ricordare tutti - ha detto Cuzzola - la maggior parte (degli incontri) si svolgevano nel bar di Paviglianiti o a Lecco o in quello che veniva chiamato “Orto””. Presente “c'era anche Crisafulli, detto 'dentino' collegato a Riina”.
In queste riunioni “si parlava di omicidi” e “l’ultima parola era quella di Antonio Papalia” che riceveva gli “ordini dal fratello Domenico, non faceva nulla senza il fratello”.
Anche nelle carceri questi rapporti si sarebbero consumati, vista la comune detenzione di calabresi e siciliani raccontata dal pentito. Ad esempio a Novara “c'era Pino Piromalli (di Gioia Tauro) e anche Giuseppe Graviano nella stessa sezione, erano difrote di cella e si parlavano di tutto”, poi “anche a Spoleto c'erano i palermitani” ha detto Cuzzola. Proprio il Piromalli, durante il periodo di comune detenzione, “mi raccontava che quando c’erano gli allontanamenti (dei siciliani), loro sceglievano Gioia Tauro perché lui gli trovava la casa e non gli faceva spendere nulla e così usava questi siciliani se doveva sparare o per fare reati”.
Pino Piromalli avrebbe anche raccontato di avere dei documenti che testimoniavano i rapporti tra i servizi segreti e i Papalia: “A Cuneo Pino Piromalli ha raccontato che suo zio Momo Piromalli era riuscito ad avere le carte che aveva firmato Domenico Papalia con i servizi e aveva fatto degli accordi”.
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