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massoneria pistola 610di Francesca Mondin
Al processo 'Ndrangheta stragista completato l'esame dell'ufficiale della Dia

A cavallo degli anni 70 la 'Ndrangheta fa il salto di qualità: abbandona la 'Ndrangheta dello sgarro per entrare nella Santa e cominciare ad interfacciarsi con alti livelli di potere e dare il via al fiorente business della droga che la porterà ad essere una potenza economica. L'ufficiale della Dia Michelangelo Di Stefano oggi al processo 'Ndrangheta stragista, in cui sono imputati Rocco Santo Filippone, ritenuto vicino alla cosca Piromalli e l'ergastolano boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, ha delineato questa fase di passaggio interno alla criminalità calabrese. Una fase emersa dagli atti d'indagine che l'ufficiale della Dia ha inquadrato in un contesto più ampio di quegli anni. L'apertura verso la Santa infatti sembrerebbe aver permesso ai vertici della mafia il contatto con soggetti capaci di intercettare quel sottobosco eversivo fatto di logge segrete e piani destabilizzanti che hanno interessato l'Italia fin dal dopoguerra.
“Viene indicata una sorta di super loggia, che sarebbe stata creata sia a Catania che a Reggio Calabria” - ha detto Di Stefano facendo riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed in particolare di Filippo Barreca e Giacomo Ubaldo Lauro - il cui scopo era riuscire a gestire la res loro più che la res pubblica”. Logge massoniche a cui “avrebbero aderito molti esponenti di vertici della mafia calabrese e di Cosa nostra semplicemente perché all’interno di questi contenitori sarebbero riusciti ad avere un flusso continuo di collaborazioni e connivenza con le istituzioni”.
Questa svolta però, non avrebbe trovato il consenso di tutti i capi mandamento della 'Ndrangheta, infatti i boss “Tripodi e Macrì sarebbero stati uccisi perché cercavano di mantenere le originali regole della 'Ndrangheta dello sgarro” andando contro “al nuovo corso che riguardava una cupola ed ossimoro della Santa e della 'Ndrangheta”.
Tra i boss invece più convinti che “i vecchi sistemi obsoleti non potevano più produrre nuova linfa alle casse” ci sarebbero stati “i De Stefano - ha spiegato l'ufficiale della Dia - assolutamente favorevoli al nuovo corso”. Un sistema che “avrebbe garantito alle casse dei Piromalli e dei De Stefano, business milionari, partendo dalla marijuana per arrivare presto al traffico di cocaina con il Canada e l'Australia”.
I De Stefano e i Piromalli inoltre, secondo le dichiarazioni di Giovanni Gullà ed altri pentiti, “erano le uniche due famiglie collegate alla destra” mentre “il resto della 'Ndrangheta era collegata alla Dc”. A fare da collante tra mafia e destra estrema sarebbe stato “l'avvocato Paolo Romeo che aveva favorito i contatti”. In particolare il pentito avrebbe fatto riferimento “al marchese Fefè Genoese Zerbi come link di collegamento con i De Stefano, Stefano Delle Chiaie e Bruno Di Luia.
Proprio un anno prima della strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974) e dell'Italicus (notte tra 3 e 4 agosto 1974), stando ai racconti di Gullà, ci sarebbe stata una riunione nella quale si sarebbe parlato che “la criminalità reggina avrebbe agevolato gli interessi della destra con un supporto logistico in cambio di armi ed esplosivo”.

Il fronte milanese
“Parallelamente a Reggio Calabria - ha evidenziato il teste - c’è uno spaccato che interessa Milano che non va letto in termini disgiunti”. Negli anni 80, finita la prima guerra di mafia i De Stefano li ritroviamo in Lombardia dal momento che “sono presenti a Milano Paolo Martino,cugino dei fratelli De Stefano e Franco Coco Trovato (esponente di vertice della Sacra corona unita) che sarebbe diventato consuocero di Paolo De Stefano”. In questo contesto si sviluppano “fitti rapporti con Cosa Nostra, in alcuni verbali si parla anche di Riina e Nitto Santapaola dove sarebbe stato importante anche il collante tenuto da soggetto vicino a Coco Trovato: Antonio Schettini”, killer (oggi collaboratore di giustizia, ndr) dell'educatore carcerario di Opera Umberto Mormile.

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