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aula tribunale c fotogrammadi Francesca Mondin
Nel marzo 2012, sul nascere delle nuove indagini riguardo il caso degli attentati ai carabinieri, emerge un documento dattiloscritto, indirizzato al Procuratore Pietro Grasso, in cui viene ribaltata completamente la versione dei fatti di Giuseppe Calabrò, killer assieme a Consolato Villani dei due appuntati Fava e Garofalo, uccisi in uno degli attentati ai carabinieri avvenuti tra il '93 e il '94.
Quel documento però non fu mai inviato dall’autore a Pietro Grasso, ma copia dello stesso fu inviato da Gianluca Goglino, compagno di carcere di Giuseppe Calabrò, al carabiniere Riccardo Giardini, del quale Goglino era stato un confidente.
“Il documento forniva versione differente rispetto alla versione originale - ha spiegato Giardini oggi al processo ‘Ndrangheta stragista - non era più un fatto occasionale ma era un ordine, di commettere serie reati, arrivato a Calabrò... non citava i mandanti ma era riconducibile ad un alleanza tra mafia e 'Ndrangheta”. Fino a quel momento infatti Calabrò aveva raccontato che il duplice omicidio era stato la reazione d’impulso per evitare un controllo a un’altra auto di mafiosi che trasportava un carico di armi da guerra prelevate a Gioia Tauro.
Goglino “nella lettera manoscritta d’accompagnamento mi comunica che un detenuto che era nella stessa sezione all’epoca, un tale Calabrò aveva chiesto a lui di correggergli dal punto di vista grammaticale quel documento” e che lui leggendo di “fatti così gravi non se l'era sentita di tenersi un segreto così grosso e aveva voluto comunicarlo”. Il tutto poi, come ha spiegato il carabiniere Giardini, fu inviato all’autorità giudiziaria competente a Reggio Calabria.
Il documento dattiloscritto non sarebbe mai stato inviato invece al destinatario perché “lo scopo del Calabrò era di essere allontanato dal carcere di Ferrara perché severo, per essere trasferito in un carcere più morbido, a Bollate” ma ottenendo il trasferimento di li a poco grazie “al suo avvocato Berselli, all’epoca senatore - ha detto Giardini riferendo quanto raccontatogli dal Goglino - Calabrò non conferma più l’intenzione di mandare questa lettera”.  
Goglino, riguardo il quale il teste ha detto di non aver alcun dubbio sulla sua attendibilità, avrebbe raccolto anche alcune confidenza da parte di Calabrò a conferma di quanto scritto nella lettera, senza però aver mai saputo i nomi dei mandanti.
Un mese prima che Giardini ricevesse la missiva, al carcere in cui erano detenuti Gianluca Goglino e Giuseppe Calabrò, il comandante del reparto della polizia penitenziaria Paolo Teducci, in seguito ad una perquisizione nell’area pedagogica, trovò una chiavetta usb vuota in una zona adiacente alla biblioteca dove i due detenuti, assieme ad un terzo soggetto, ricoprivano dei ruoli individuali. Estendendo poi “le ricerca al computer della biblioteca trovarono su una cartella nascosta un documento dattiloscritto, indirizzato al procuratore Grasso” in cui c’era la “descrizione di determinati fatti, tra cui l’uccisione dei carabinieri con le relative motivazioni” ha detto oggi lo stesso Teducci in aula.
La ricerca della chiavetta usb, ha spiegato il comandante, era partita su input di un confidente:Goglino Gianluca, detenuto che in altre occasioni avevamo verificato essere una persona attendibile”.
Del documento il comandante non né parlò con i tre detenuti, “lo spedimmo noi stessi alla Dna”, mentre riguardo la chiavetta “tutti e tre i detenuti negarono la paternità e con efficacia immediata li sospesi tutti dai loro ruoli”. L'unico dei tre ad avere un computer portatile personale, ha detto il comandante, sarebbe stato Calabrò, ma Teducci ha escluso la possibilità di stampare qualcosa dal portatile personale, mentre “in biblioteca quasi sicuramente c'era una stampante utilizzabile da parte dei detenuti per studiare”.
Di li a poco poi ci fu il trasferimento del Calabrò a Bollate, “ricordo che tantissimi detenuti richiedevano il trasferimento lì ma c’erano molte richieste pochi trasferimenti” ha sottolineato Teducci rispondendo al pm Lombardo.
Il processo riprenderà giovedì 26 con la continuazione della testimonianza dell’ufficiale Dia Michelangelo Di Stefano.

Dossier Processo 'Ndrangheta stragista

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