Il collaboratore di giustizia: "Volevamo ucciderlo ma Madonia teneva a lui"
"Arnaldo La Barbera venne diverse volte in vicolo Pipitone a Palermo, quando mio zio Giuseppe Galatolo era agli arresti domiciliari. In due occasioni, mio zio Giuseppe si ritirò a parlare con La Barbera in uno scantinato. Veniva di sera e non di giorno. Una di queste volte è entrato nel vicolo e uno dei miei cugini gli ha fatto segnale di andare avanti ma lui fece capire che già sapeva dove doveva andare. Nella mia famiglia si diceva che La Barbera era uno che 'mangiava peggio degli altri'". "La Barbera era a disposizione dell'Acquasanta e del mandamento dei Madonia". Così il collaboratore di giustizia Vito Galatolo, ieri sentito in collegamento da un luogo segreto, nel corso dell'udienza del processo sul depistaggio delle indagini della strage di via d'Amelio che si celebra a Caltanissetta. In aula vi era anche il suo avvocato Fabrizio Di Maria. Imputati sono i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Gli ex componenti del gruppo d’indagine Falcone-Borsellino, all’epoca guidati da Arnaldo La Barbera, sono accusati di calunnia aggravata per aver favorito Cosa nostra, perché avrebbero istruito Vincenzo Scarantino a rendere dichiarazioni che sarebbero servite a sviare le indagini sulla strage di via d’Amelio. In primo grado, caduta l’aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto 'perché il fatto non costituisce reato'.
Durante le oltre tre ore di udienza, il collaboratore ha risposto alle domande formulate dal sostituto procuratore Maurizio Bonaccorso, applicato al processo insieme ai sostituti procuratori generali Antonino Patti e Gaetano Bono, spiegando il suo ruolo all’interno della famiglia mafiosa e quali figure istituzionali avevano rapporti con la mafia. “Quando facevo la sentinella a vicolo Pipitone, nel nostro covo, ricordo che venivano appartenenti delle istituzioni. Il maresciallo Sarzana era a libro paga della famiglia dell’Acquasanta, ci avvisava delle operazioni e di quello che succedeva, da noi veniva anche Aiello, ‘Faccia da mostro’, lo chiamavo così perché da bambini ci faceva paura quando lo vedevamo. Me lo disse mio zio Giuseppe Galatolo che lavorava per lo Stato. Poi veniva Bruno Contrada, e qualche volta anche La Barbera, nei primi anni ’90. La Barbera l’ho poi visto spesso nella nostra borgata e in via d’Amelio. Venivano anche due poliziotti, Piazza e Agostino, a cercare latitanti, e il nostro lavoro era quello di far scappare i latitanti nei cunicoli”.
"Madonia teneva a La Barbera"
"Sono del quartiere dell'Acquasanta e cresciuto nella famiglia mafiosa dell'Acquasanta finché ne sono diventato il rappresentante. Poi sono diventato capomandamento di Resuttana nel dicembre del 2012. Io sono nato in una famiglia mafiosa, mio padre era Vincenzo Galatolo. Già all'età di 10 anni facevo la sentinella per vedere chi entrava nel nostro covo" ha raccontato il collaboratore.
"Facevo di tutto - ha continuato Galatolo rispondendo alle domande del pm Maurizio Bonaccorso - ospitavamo le persone, nascondevamo armi. Crescendo mi sono occupato anche degli affari di famiglia".
Galatolo ha raccontato anche che l'ex capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, arrestò Nino Madonia e ha parlato dell'omicidio di Mimmo Fasone, ucciso dal superpoliziotto dopo una rapina. "Gli dovevamo rompere le corna, dargli un colpo di legno", ha aggiunto, “volevamo fare un'azione criminale. Dovevamo fare un'azione grave e molto delicata. Dovevamo fare un agguato. Poi mio zio - ha aggiunto - ci disse che non dovevamo minimamente pensarlo. Perché Madonia ci teneva a lui".
Strage di via D'Amelio © Shobha
"Mi ricordo che Mimmo Fasone era un ragazzo in gamba. Tra il 22 e il 23 dicembre del '91 ci eravamo scambiati gli auguri di Natale poi, ai primi di gennaio del '92, successe questa cosa che fu ucciso dal dottor La Barbera", ha detto Galatolo in videocollegamento. "Quando il giornale pubblicò la notizia che Arnaldo La Barbera aveva ucciso Mimmo Fasone ci fu tanta rabbia, perché comunque un ragazzo giovane era stato ucciso. E si cominciò a dire di 'andare a rompere le corna' a questo La Barbera'. Dicevamo 'ma come si è permesso a uccidere questo ragazzo?'. Ma poi mio cugino Angelo e i miei zii dissero che non si poteva fare perché Madonia teneva a lui", ha ripetuto.
La Barbera "era corrotto" ha detto il collaboratore - "ma non ho mai consegnato soldi a La Barbera perché non ho avuto modo di parlarci".
Faccia da mostro
"Nei servizi segreti c'era Giovanni Aiello, 'Faccia da mostro' (morto di infarto nel 2017 ndr), che veniva ad incontrare gli uomini d'onore a vico Pipitone. Venivano La Barbera, Contrada. Sto dicendo chi ho visto io personalmente".
‘Faccia da mostro’, funzionario dei servizi segreti in attività a Palermo negli anni Ottanta, fino alle grandi stragi del 1992, era stato riconosciuto nel febbraio del 2016 da Vincenzo Agostino, padre del poliziotto di Palermo, Antonino, ucciso con la moglie Ida Castelluccio il 5 agosto del 1989.
Aiello, ha ribadito, "faceva parte dei servizi segreti deviati. Io l'ho visto più volte in vicolo Pipitone, all'Acqusanta. Veniva spesso nel periodo tra l'84 e l'85, fino all'arresto di Madonia".
"Quando facevo la sentinella a Vicolo Pipitone, nel nostro covo, fino a poco prima delle stragi del '92, ricordo che venivano anche degli appartenenti alle istituzioni. Ricordo che c'era il maresciallo dei Carabinieri Sarzana, che era al libro paga della famiglia dell'Acquasanta. Era lui che ci avvisava delle cose che accadevano. Da noi veniva anche Giovanni Aiello 'faccia da mostro'. E lo disse mio zio Giuseppe Galatolo a dire chi era e che lavorava per lo Stato. Ma finché non ho collaborato non sapevo chi fosse, lo chiamavamo 'faccia da mostro' perché ci faceva paura".
Gli omicidi nella casuzza di vicolo Pipitone
"Nella casuzza di vicolo Pipitone sono stati commessi tantissimi omicidi. Ne venivano fatti diversi al giorno. Venivano da tutte le città a fare omicidi lì dentro" ha detto Galatolo durante l'udienza rispondendo alle domande dell'avvocato Giuseppe Panepinto, difensore del poliziotto Mario Bo.
"C'è stato un certo Palazzolo - ha detto il teste - che era un confidente dei carabinieri che è entrato e non è uscito più. Un giorno uno è entrato nello stesso scantinato dove La Barbera si vedeva con mio zio. Questo ci stava scappando e Salvo Madonia gli ha sparato là dentro. Poi è stato un certo Sirchia. Poi c'era gente che arrivava da diversi paesi che portavano persone che si uccidevano pure là. Era un viavai di persone. Quando hanno ucciso il generale Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, da quella casuzza, da quello scantinato è partito il commando per gli omicidi".
La prossima udienza sarà martedì 30 gennaio, e in aula comparirà l’avvocato Gioacchino Genchi, già poliziotto della questura di Palermo durante gli anni delle stragi.
Foto di copertina © Imagoeconomica
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