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Secondo l’avvocatessa, sentita in aula, è sicura che “nessuno gli suggeriva niente”

"Vincenzo Scarantino, quando era il mio assistito, non mi parlò mai né di maltrattamenti che avrebbe subito in carcere né di avere ricevuto pressioni da parte di poliziotti". Ad affermarlo, rispondendo alle domande del presidente del Tribunale di Caltanissetta Francesco D'Arrigo, è l'avvocata Lucia Falzone, l'ex legale del falso pentito Vincenzo Scarantino, sentita nel processo per il presunto depistaggio sulle indagini sulla strage di via d’Amelio. A Caltanissetta sono imputati i tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia in concorso aggravata, oggi tutti presenti in aula. Secondo l'accusa il “picciotto della Guadagna” sarebbe stato indotto, dopo le stragi di Cosa nostra, ad accusare degli innocenti, che poi furono condannati. Scarantino nei suoi verbali depistò le prime indagini sulla strage di via d'Amelio del 19 luglio 1992 che uccise il magistrato Paolo Borsellino e la sua scorta. Lucia Falzone, che è di Caltanissetta, aveva presentato al Tribunale per due volte un certificato medico. Ma il Presidente Francesco D'Arrigo nelle scorse udienze aveva disposto l'accompagnamento coattivo congiuntamente a una multa da 300 euro. "Ho assistito Vincenzo Scarantino intorno al 1994 - ha raccontato la Falzone - Poi, a seguito di una nomina d’ufficio, mi era pervenuta l'assunzione della difesa di Scarantino. Era stato già seguito da altro difensore in fase di indagine. Io ho assunto il mandato difensivo trasformato in mandato fiduciario, quando era già stata verbalizzata la maggior parte delle sue dichiarazioni. Poi l'ho seguito nel procedimento di primo grado per la strage di via d'Amelio e dopo di che l'ho assistito nel dibattimento Borsellino bis, dove venne citato. Successivamente, nel 1996, in data successiva al 12 luglio, mi sono premurata di predisporre una rinuncia al mandato che venne depositata alla Procura di Caltanissetta".

Alla domanda della Corte sul perché aveva accettato la difesa di Scarantino, Lucia Falzone ha risposto: "Erano momenti molto difficili, c'era ancora l'eco visiva e quasi olfattiva dell'orrore delle stragi, non c'era nessuno a Caltanissetta disponibile a occuparsi di collaboratori di giustizia, non c'era nessun altro e venni così nominata d'ufficio". "Era una normale attività difensiva di uno che decise di collaborare, e la partecipazione di lunghi interrogatori - ha detto - Era in una località del Nord Italia, una vicenda molto complessa". La legale ha poi ricordato che era un "periodo di conflittualità con la sua famiglia. Ma non vi fu nessun rapporto personale con Scarantino, altrimenti il rapporto professionale sarebbe stato vanificato. Era solo un problema di linguaggio, di italiano, nient'altro. Ma non vi furono problemi di comprensione. Non entrava in contraddizione, per me è stato sempre intelligibile il percorso che si prefigurava". Alla domanda se registrò ripensamenti rispetto alla collaborazione nel corso della sua difesa ha risposto: "La vicenda fu quella di una persona con fragilità intellettuale e personale di Scarantino, con i figli e con la moglie che continuarono a vivere per un periodo a Palermo e questo era un problema, gli creava ansia". Parlando poi del periodo in cui Scarantino decise di non collaborare più con i magistrati e avere fatto una serie di ritrattazioni, Falzone ha detto: "La vicenda fu eclatante ma non mi occupavo più di lui, avevo rinunciato al mandato per ragioni di sopravvenute incompatibilità processuale, ma la sua vicenda processuale si era già definita". "La vicenda della ritrattazione mi riguarda personalmente - ha detto ancora - venni anche io denunciata da Scarantino, venni poi sentita in una fase preliminare da un avvocato incaricato dal Consiglio dell'ordine e rispetto all'accusa dell'esposto, portai prova documentale che la circostanza non corrispondeva al vero". E ha spiegato il motivo dell'esposto: "Io avrei avuto un ruolo nella scelta processuale di Scarantino di non impugnare la sentenza". "Invece scoprimmo delle dichiarazioni precedenti in cui aveva detto che era stata una sua scelta che la sentenza diventasse definitiva". L’avvocatessa ha poi riferito in merito alla possibilità che qualcuno gli suggerisse cosa dire e non dire a magistrati e giudici.

"Vincenzo Scarantino aveva difficoltà espressive che forse si traducevano in un italiano non elegante, non forbito, ma io non ricordo sospensioni durante gli interrogatori. Io non ho mai registrato circostanze simili. Sicuramente nessuno gli suggeriva niente”, ha affermato. Proseguendo l'interrogatorio nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio la Falzone ha detto che “durante gli interrogatori c'era solo un generico invito a dire la verità - ha detto - A fronte di alcune risposte che Scarantino dava il magistrato cercava, come è normale, di puntualizzare o fare domande. Dopodiché non c'era nessuna anomalia. Il comportamento delle persone che hanno operato alla mia presenza è stato irreprensibile". La legale ha poi sottolineato, sollecitata dall'avvocato Giuseppe Scozzola: "Se Scarantino fosse stato in possesso dei verbali sicuramente gli avrei chiesto come li aveva avuti. Era concentrato solo sulle sue lamentele personali e le sue problematiche familiari, la paura che lo ammazzassero o che gli ammazzassero i familiari".

Quindi alla legale è stato chiesto nuovamente in merito alle dinamiche che l’hanno portata ad avere come assistito il falso collaboratore di giustizia. "Mi venne notificata la nomina di Vincenzo Scarantino e il mio nome venne estratto dall'elenco degli avvocati d'ufficio - ha detto - Il mio nome circolava in procura e dappertutto, perché avevo già difeso altri collaboratori di giustizia ma nessuno mi chiese se ero disponibile ad assistere Vincenzo Scarantino. Cominciai il mio mandato difensivo da subito". Ma il Pm Luciani ha spiegato che dai verbali emerge che nei primi tre interrogatori Falzone non era presente. "E' in contraddizione rispetto a quanto mi ha appena detto - ha spiegato il magistrato - visto che nei primi tre interrogatori non era presente". E l'avvocatessa ha replicato: "Evidentemente il mio ricordo è errato". Sempre sul periodo in cui assisteva Scarantino, la Falzone ha detto di non sapere dove fosse collocato al tempo Scarantino. “Non ho mai saputo in quale località risiedesse nessuno dei miei assistiti. Non è previsto che l'avvocato venisse a conoscenza, anche con altri assistiti”, ha dichiarato. L’ex legale del “picciotto della Guadagna” ha poi riferito riguardo all’intervista a 'Studio Aperto' in cui il suo ex assistito ritrattò le sue posizioni affermando di non ricordare di tale intervista.

La Falzone ha però detto che come non entrò all'epoca sulla vicenda, non “penso di poterlo fare oggi” di entrare “nei meandri della mente di Scarantino. Posso dire che aveva costante preoccupazione per la sua sicurezza personale e quella dei parenti. Sentiva molta pressione addosso". L’avvocatessa ha anche detto: “Non escludo che io abbia potuto commentare la notizia”. Sempre sul punto, alla domanda se ricordasse di avere parlato con Scarantino "sulla ritrattazione a Studio aperto", la risposta è stata “non ne ho ricordo". Dopo le sue confessioni, Vincenzo Scarantino aveva subito fatto marcia indietro affidando alle telecamere di Studio Aperto la sua verità. La procura di Caltanissetta decise nel 1995, subito dopo la messa in onda dell'intervista, la distruzione dagli archivi e dai server. Ma un tecnico ne aveva conservato una copia.

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