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E' ripreso oggi il processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D'Amelio davanti Tribunale di Caltanissetta che vede imputati tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata per aver favorito Cosa Nostra. Davanti alla corte oggi ha deposto Vincenzo Militello - poliziotto della Dia da poco in pensione - come teste della difesa. L'ex poliziotto ha dichiarato che sarebbe stato lui l'uomo che accompagnava Vincenzo Scarantino - il cui reato di calunnia è stato dichiarato estinto nel 2017 - a parlare con l'allora Procuratore della Repubblica Giovanni Tinebra dopo gli interrogatori. "Ho accompagnato il pentito Scarantino all'interrogatorio alla Procura di Caltanissetta. E quando è finito l'interrogatorio lo abbiamo accompagnato nella stanza del Procuratore Tinebra. Non lo avevo mai detto fino ad oggi perché nessuno me lo aveva chiesto". Il giorno dell'interrogatorio era il 29 giugno 1994, e "Scarantino ha posto al Procuratore delle domande relativamente alla sua collaborazione - ha detto -  ad esempio sulla scuola dei figli, l'eventuale relazione con la moglie con cui non si era ancora incontrato. Ricordo che ha chiesto anche la possibilità di vendere la casa dove abitava alla Guadagna. Mi rimase impressa questa cosa. Lui disse valeva 200 milioni di lire". Il fatto che Tinebra incontrava Scarantino dopo gli interrogatori non è una novità. Il 20 febbraio del 2020 il magistrato Ilda Boccassini, che indagava sulla strage di via D'Amelio, aveva fatto già questa rivelazione durante un'udienza al processo sul depistaggio di via d'Amelio. Intervenuta in videoconferenza da Milano, in quanto impossibilitata a raggiungere il Tribunale di Caltanissetta per motivi di salute, la Boccassini aveva ripercorso quello che è stato il suo coinvolgimento nelle indagini sulle stragi del 1992. Un impegno che l'ha vista, come applicata alla Procura di Caltanissetta, dal dicembre di quell'anno fino all'ottobre del 1994. "Quando Scarantino arrivava in procura a Caltanissetta, si chiudeva in una stanza da solo con il Procuratore Tinebra - aveva detto Boccassini - Non so il tempo preciso ma per un bel pò. Poi Tinebra apriva le porte e si entrava a fare l'interrogatorio. Alla luce di questo, di tutti i miei tentativi di cambiare metodi e atteggiamenti, dei colleghi che non vedevano l'ora che me ne andassi, scrissi una seconda relazione. Tutti sapevano, tutti conoscevano questa relazione, dove mettevo per iscritto che secondo me si dovevano rispettare i codici". Durante la deposizione Boccassini aveva fatto riferimento a relazioni "sparite" in cui parlava della inattendibilità di Scarantino e che sarebbe stata "mandata via" dalla Procura proprio perché aveva iniziato "a capire che Scarantino diceva sciocchezze".

Nel 1998 Scarantino aveva ammesso infatti di non avere preso parte all'attentato di via D'Amelio e di essere stato costretto da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo, a confessare il falso e di aver subito maltrattamenti durante la sua detenzione nel carcere di Pianosa. Il pentito Gaspare Spatuzza, nel 2007, ha confessato di essere stato l'autore del furto dell'auto FIAT 126 usata per l'attentato, scagionando Scarantino e dimostrando che era un falso pentito, usato per sviare le indagini sulla morte di Paolo Borsellino.

L'ex poliziotto ha poi aggiunto che "la Boccassini era spessissimo nei nostri uffici. Ricordo quando mettemmo una microspia. Quando venne fuori che si erano portati il figlio del collaboratore Di Matteo. Che i fratelli Vitale si erano messi a disposizione per farlo portare via. Boccassini e Arnaldo La Barbera ci hanno atteso fino a notte, ricordo. Ci attendevano in ufficio per aspettare noi". E poi ha raccontato che dopo la strage di via D'Amelio "sono andato all'anagrafe per identificare gli immobili di tutti, per vedere se c'era qualche soggetto noto. Sono stato impegnato diverse ore, all'indomani sono andato in via D'Amelio. Abbiamo collaborato con la Scientifica e i vigili del fuoco per risalire ai pezzi di macchine saltati in aria, per cercare di portare via i rottami". 

Militello, durante la sua deposizione di oggi in aula ha aggiunto che i problemi relativi all'ex picciotto della Guadagna scaturivano dalla presenza della moglie di quest'ultimo, perché secondo l'ex poliziotto "Scarantino era di una gelosia folle". Inoltre rispondendo alle domande dell'avvocato Giuseppe Seminara, che difende due dei tre imputati, ha ripercorso i momenti dopo la collaborazione dell'ex pentito.  Inoltre alla domanda della parte civile se Scarantino aveva "paura di qualcosa", Militello ha risposto: "Assolutamente no".

"Faccio presente - ha continuato Militello - che Scarantino all'epoca era un detenuto e quindi veniva accompagnato ovunque. Alla fine di quell'interrogatorio Scarantino fece una serie di domande che riguardavano lui, la moglie e i figli. Fu spiegato a Scarantino ciò che è previsto per un collaboratore di giustizia. Lo stato d'animo di Scarantino - ha ripetuto- era assolutamente tranquillo".

"Arnaldo La Barbera non era sul libro paga dei Madonia"
"Nel libro mastro dei Madonia non c'era alcun riferimento ad Arnaldo La Barbera". Ha detto l'ex poliziotto della Dia davanti alla Corte. Una dichiarazione che va a scontrarsi con quella rilasciata dal collaboratore di giustizia Vito Galatolo, ex picciotto dell'Acquasanta, nel 2015 durante il processo Borsellino Quater.
Per Galatolo c’era un legame tra la famiglia mafiosa dei Madonia e Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo, coordinatore delle prime indagini sulla strage Borsellino, quelle depistate dalle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. “La Barbera – ha raccontato Galatolo – era a libro paga dei Madonia, me lo disse mio zio Giuseppe Galatolo. Mi ricordo che dopo strage di via d’Amelio c’era il dottor Arnaldo La Barbera che si muoveva nella nostra zona. Mio zio ci diceva anche che Gaetano Scotto, dell’Arenella, aveva contatti con i servizi, ma non so se abbiano partecipato o meno alle stragi”.
A Militello durante la deposizione odierna è stato chiesto se La Barbera avesse mai avuto incontri con mafiosi. "Assolutamente no - ha risposto - La Barbera era un tipo schivo, usciva sempre scortato, ogni tanto si faceva qualche passeggiata la sera con qualche collega, qualche funzionario. Da solo non usciva mai anche perché era stato minacciato di morte". L'ex poliziotto ha poi detto di non avere contezza se "Arnaldo La Barbera fosse a libro paga del Sisde. Io l'ho appreso successivamente dalla stampa".

Pippo Calò rifiutò la televisione in carcere
Militello durante l'udienza ha raccontato di un episodio avvenuto nell'estate del 1990 quando in Italia c'erano i Mondiali di calcio, e il boss mafioso Pippo Calò, l'ex cassiere di Cosa nostra, era ricoverato nel reparto speciale per i detenuti dell'ospedale Civico di Palermo. Alcuni detenuti ricoverati chiedevano di avere una televisione nel reparto per potere vedere le partite di Italia '90. Così  era stata mandata una tv da sistemare nel reparto. "Siamo andati nel reparto speciale e abbiamo consegnato il televisore all'agente di guardia che lo ha posizionato in un determinato posto, ma all'improvviso uscì Pippo Calò, che era in vestaglia, spinse la tv lontano e disse: 'Qui dentro televisore non se ne vede'. E così non se ne fece nulla".
Il processo è stato rinviato al prossimo 27 ottobre, all'aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. Le udienze successive saranno il 10 novembre, sempre al bunker e il 12, 19 e 26 novembre in Tribunale.

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