"Nel carcere di Pianosa andavo a colloquio, mi facevano spogliare nudo e c’era la paletta, quella per controllare se c’è ferro, e mi davano dei colpi nelle parti intime. Dopo mi dicevano di guardare a terra e mi davano schiaffi in bocca perché guardavo a terra. Guardavo a loro e mi davano calci con gli anfibi. Sembrava il carcere di ‘fuga da mezzanotte'. Mi orinavano nella minestra, mi mettevano le mosche e i vermi che si usano per pescare nella pasta. Stavo tutta la notte sveglio. Soffrivo senza dire niente”. E' questo uno dei passaggi con cui Vincenzo Scarantino, il falso pentito della strage di via d'Amelio, aveva descritto il periodo di detenzione nel carcere di Pianosa in una delle ultime deposizioni davanti ai magistrati di Caltanissetta. Ieri, nell'aula bunker del carcere nisseno, è ripreso il processo sul depistaggio di via d'Amelio che vede come imputati i funzionari di polizia Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra.
A salire sul pretorio è stato l'ex direttore del carcere di Pianosa, in carica dal dicembre 1993 all'agosto 1994, il quale, rispondendo alle domande dell'avvocato Giuseppe Panepinto, ha escluso violenze nei confronti del picciotto della Guadagna. "Scarantino mangiava regolarmente e non ho mai ricevuto alcuna denuncia per maltrattamenti o per la qualità del cibo - ha ricordato - Escludo assolutamente che possano essere stati messi dei vermi nel cibo di Scarantino. Il cibo a lui destinato veniva prelevato dalla cucina e gli veniva portato da persone di mia fiducia. Questo succedeva per tutti i detenuti segnalati dal ministero". L'ex direttore del super-carcere ha anche affermato di aver visto l'allora capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera due-tre volte a Pianosa. In una di queste occasioni c'era anche l'ex pm Ilda Boccassini e che tutto veniva annotato in un registro. "C'era - ha spiegato - un'apposita sala dove si svolgevano i colloqui".
In precedenza ad essere sentita è stata la poliziotta Rita Loche, oggi in quiescenza. In particolare la donna, nel 1992 in servizio alla Squadra Mobile di Palermo e facente parte del gruppo Falcone-Borsellino, costituito proprio per far luce sulle due stragi, ha raccontato alcuni momenti del periodo in cui Scarantino era sotto programma di protezione. Dal 12 al 25 agosto del '94, infatti, si occupo' del falso pentito Vincenzo Scarantino, portato in località protetta a Jesolo insieme alla sua famiglia.
"Vincenzo Scarantino era sempre nervoso impaziente e infastidito - ha ricordato - Anche i suoi figli, ancora bambini, avevano difficoltà ad avvicinarsi a lui. A un certo punto voleva fuggire dal residence di Jesolo dove era stato portato nell'agosto del 1994".
"Scarantino - ha continuato la testimone rispondendo alle domande del legale - si esprimeva poco e male in italiano, parlava in dialetto siciliano. Ad un mio collega riferì che era stato a Pianosa, gli disse che si era trovato male e ne parlava come un periodo di sofferenza. A Jesolo non ho mai visto un magistrato ne' un funzionario del gruppo Falcone Borsellino. Mi occupavo prevalentemente delle esigenze della moglie e dei bambini".
Il processo è stato rinviato al prossimo 28 giugno.
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