Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

"Alcune telefonate erano anomale"

I brogliacci delle intercettazioni riguardanti il falso pentito Vincenzo Scarantino? "C'erano delle anomalie. Non so se si trattava di problemi di linea, ma c'era qualcosa che non andava. Forse anomalie di funzionamento...". Ad affermarlo è stata la sovrintendente della Polizia di Stato Carmela Sammataro, che dal 14 al 24 gennaio 1995 fu trasferita a San Bartolomeo al Mare (Imperia) per "assistere Scarantino e la sua famiglia". La poliziotta è stata sentita nell'ambito del processo sul depistaggio delle indagini di via d'Amelio che vede imputati i poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, per concorso in calunnia aggravata a Cosa nostra. Secondo l'accusa, i tre avrebbero indotto, con le minacce e le pressioni, l'ex pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni.
La poliziotta è stata chiamata a testimoniare dall'avvocato Giuseppe Panepinto, legale di Bo. Nel corso della deposizione la teste ha riferito in merito alle "telefonate mute" o di quelle "non registrate", oltre che le "forti anomalie", presenti in quelle registrazioni avvenute nel periodo in cui il picciotto della Guadagna si trovava in località protetta in terra ligure. Il tema era emerso nel corso del processo quando fu sentito l'ispettore Giampiero Valenti che parlò addirittura di registrazioni che sarebbero state interrotte per permettere a Scarantino di parlare con i magistrati. La Procura di Messina aveva iscritto nel registro degli indagati i due magistrati che indagarono sulla strage di Via d'Amelio, Carmelo Petralia e Annamaria Palma, accusati di calunnia aggravata in concorso, ma entrambe le loro posizioni sono state archiviate.
"C'erano a volte delle anomalie, dei problemi di linea - ha riferito al Tribunale la poliziotta - C'era qualcosa che non andava. Succedeva di continuo. A volte uscivano numeri anomali altre volte l'apparato non stampava. E quindi chiamavamo spesso i tecnici della Sip che venivano a risolvere quelli che noi chiamavamo guasti tecnici. Con gli strumenti di oggi non succede, ma allora era quasi una costante. Magari i problemi erano di linea e non proprio dell'apparato". Rispondendo alle domande dell'avvocato Panepinto, che le ha mostrato anche dei brogliacci a sua firma, ha aggiunto: "A volte non è indicata né una telefonata in partenza né in entrata. Io scrivevo 'mancanza linea', mancava proprio il collegamento telefonico. Quando veniva ripristinato il guasto ci facevano fare le prove tecniche e veniva scritto se veniva ripreso il servizio. Su alcuni brogliacci c'è scritto: 'Non stampa' con riferimento al numero di chiamata di Scarantino. Erano anomalie che succedevano. Capitava e poi si chiamavano i tecnici. Ai tempi succedeva". Ma quando l'avvocato le ha chiesto se c'era qualcuno che staccava quelle telefonate la teste ha detto di non saperlo. E alla successiva domanda se avesse visto anche i magistrati recarsi nell'abitazione di Scarantino la teste ha risposto icon un "non ricordo", ribadendo che non sia un no. E ancora: "A me Scarantino non ha mai detto di avere accusato persone innocenti della strage, e che io sappia non l'ha detto nemmeno ad altri colleghi". Poi la poliziotta ha anche parlato del periodo dopo le stragi, quando fece parte del gruppo investigativo 'Falcone e Borsellino': "Il 19 luglio 1992 ho appreso la notizia mentre ero a casa, perché ero libera dal servizio, ma non sono stata sul luogo della strage. Ho fatto successivamente parte del gruppo 'Falcone e Borsellino'. Non ricordo le date ma ricordo che non sono stata aggregata subito, bensì dopo mesi. Io ero in sala ascolto. Noi della sala riferivamo era l'ispettore Maniscaldi, a cui portavamo i brogliacci". "Ci siamo incontrati qualche volta nella stanza del dottore Arnaldo La Barbera. Lui ogni tanto faceva parlare quelli della sala e noi esponevamo i brogliacci, coinvolgeva il personale della sala ascolto".

All'udienza di venerdì sono stati sentiti anche altri teste: Giuseppe Cirrincione, Vincenzo Bavuso Volpe, Martino Colline, Agostino Giuffré, Gianfranco Abbruscato e Francesco Li Voti. Proprio quest'ultimo ha raccontato le modalità don cui si arrivò ad individuare la 126 imbottita di tritolo usata per la strage di Via D'Amelio. "Erano le 23.14 del 30 luglio del 1992 - ha detto - appena undici giorni dopo la strage di Via D'Amelio, ed ero in sala ascolto intercettazioni, quando ho sentito due donne che parlavano al telefono. Una delle due, Pietrina Valenti, parlava della sua auto, una 126 che era stata rubata pochi giorni prima e disse che in Via D'Amelio poteva esserci proprio la sua auto".
"C'è una trascrizione di due donne e una delle due fece riferimento alla macchina - ha riferito il poliziotto rispondendo alle domande dell'avvocato Panepinto - Le due stavano guardando un tg e una delle due disse 'lì c'era la mia macchina, una persona mi ha detto che può essere stata rubata". E' noto che da un'intercettazione telefonica sull'utenza in uso a Pietrina Valenti gli inquirenti trassero lo spunto per rivolgere le loro attenzioni su Salvatore Candura come autore del "furto dell'auto". "Successivamente furono messi sotto controllo dei telefoni che potevano avere a che fare con delle persone che Pietrina Valenti poteva avere nominato", ha proseguito Li Voti. Dopo il furto dell'auto, Pietrina Valenti si rivolse a Salvatore Candura, amico di suo fratello Luciano, perché nutriva il sospetto che fosse stato proprio Candura a impossessarsi della macchina. Quello che sarebbe poi diventato un falso pentito assicurò alla signora che si sarebbe prodigato per ritrovare la macchina.
Diversi, invece, i "non ricordo" nella testimonianza di Vincenzo Bavuso. Tuttavia ha spiegato al Tribunale di aver partecipato ad intercettazioni "ambientali in carcere, a Bergamo e Venezia, con particolare riferimento su Vincenzo Scarantino", ma anche su Pietro Scotto. Rispetto alle intercettazioni su Scarnatino, ha detto di "non ricordare anomalie".
Un altro, teste, sempre membro del gruppo 'Falcone e Borsellino', Giuseppe Cirrincione, ora in pensione, ha raccontato quello che al tempo era il suo compito, ovvero "fare accertamenti anagrafici". "Ci davano dei nominativi, noi andavamo nei vari comuni a fare accertamenti e schede anagrafiche - ha proseguito - Sono stato aggregato al gruppo 'Falcone e Borsellino'. Ricordo che mesi dopo mi hanno chiamato e sono andato. Rimasi per circa quattro mesi". "Tra i funzionari c'era anche il dottor Salvatore La Barbera ma non ricordo quanto tempo è rimasto. Dopo venne anche il dottor Bo", l'imputato del processo. "In quel periodo ho fatto dei pedinamenti - ha aggiunto - In particolare pedinammo Pietro Scotto che lavorava alla Sip, lo abbiamo seguito per uno o due giorni, poi sono rientrato a fare accertamenti". Alla domanda se fosse a conoscenza di "intromissioni per chiedere di incastrare qualcuno", ha risposto un secco "no". Parlando di Vincenzo Scarantino, ha spiegato: "Facevo parte del gruppo 'Falcone e Borsellino' ma di queste indagini si occuparono altri". Ma ricorda che "abbiamo fatto delle attività di verifica su Scarantino". "Insieme ad altri colleghi facemmo una verifica su un cantiere edile che si trovava in zona Guadagna dove c'era un gabbione che conteneva delle bombole di ossigeno. Abbiamo accertato questa cosa sulle dichiarazioni che aveva reso Scarantino. Abbiamo riscontrato che quello che aveva detto Scarantino era vero". Il processo è stato quindi rinviato al 30 aprile quando a salire sul pretorio saranno altri testi della difesa di Mario Bo.

ARTICOLI CORRELATI

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos