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di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
"La borsa di Paolo arrivò nella mia mano. Non ricordo come. Sarà una colpa di cui risponderò davanti a Dio"
Al processo sentito anche Salvatore La Barbera, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo

L'ex pm Giuseppe Ayala, l'uomo delle molteplici versioni sulla sua presenza in via d'Amelio nel giorno della strage e che tenne in mano la borsa di Paolo Borsellino, è stato sentito giovedì scorso al processo sul depistaggio di via d'Amelio, che vede come imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusati di concorso in calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra.
Una deposizione dove, ancora una volta, il teste non ha mancato di mostrare quei tratti di nervosismo, supponenza e tracotanza in particolare di fronte alle domande della parte civile di Salvatore Borsellino, rappresentata in aula dall'avvocato Fabio Repici, tanto che lo stesso presidente del Tribunale, Francesco D'Arrigo, lo ha dovuto richiamare al proprio ruolo ("Lei è qui in veste di testimone, la domanda non è fatta in modo offensivo, deve accettare il ruolo di testimone che è nobile") prima di predisporre una pausa per stemperare gli animi che si erano surriscaldati.
Eppure anche in questa deposizione Ayala ha avuto modo di fornire nuovi particolari rispetto alle dichiarazioni del Borsellino quater, in particolare sulla persona che lo aiutò ad identificare Paolo Borsellino. Non si trattava di Guido Lo Forte, ma di un'altra persona che non ricorda chi fosse. "Prima di venire qui ho chiamato a Lo Forte e telefonicamente mi ha assicurato che non era lui la persona che mi aiutò a riconoscere Borsellino - ha detto - Lui arrivò dopo. Lo Forte mi ha confermato che ci siamo visti successivamente, che ci abbracciammo e che lui non volle vedere Paolo. Io quindi ricordavo male. C'è stata una persona che mi aiutò ma non ricordo assolutamente chi era".
Ayala ha così giustificato i suoi "difetti" di memoria: "Sin dall'inizio ho fatto una precisazione. Non credo di dover spendere molte parole per descrivere quale era il mio stato d'animo in via d'Amelio quel 19 luglio. Sono arrivato tra i primi perché abitavo lì vicinissimo, ripeto sempre le stesse cose, e sono inciampato in un tronco di uomo carbonizzato, senza braccia e senza gambe. Non sapendo che lì abitava la madre di Paolo Borsellino mi sono sforzato di riconoscerlo perché ero stato messo in allarme dalla presenza della macchina blindata. Poi sono uscito, mi sono ritrovato di fianco alla macchina bruciacchiata di Paolo. L'ho sempre detto, ero presente fisicamente ma con la testa non c'ero. Ero stravolto, anche perché mi era venuto il pensiero se questi continuano il terzo potrei essere io".

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Il colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli in passato finito sotto indagine per il furto dell'agenda rossa


La borsa di Borsellino
Parlando delle modalità con cui ricevette la borsa di Borsellino, al cui interno ha dichiarato di non aver mai saputo che poteva esserci l'agenda rossa, in mano ha aggiunto: "Non ricordo come la borsa sia arrivata nelle mie mani. Mi trovo con questa borsa di Paolo in mano. Non so che farne, sono confuso. In uno stato di agitazione trovo due ufficiali dei carabinieri e la consegno agli ufficiali. Cosa che rifarei. Poi me ne vado. Accanto a me c'era il giornalista Felice Cavallaro il quale insiste e mi dice, 'Ah Giuseppe meno male che sei vivo. Palermo è piena della voce che l'attentato l'hanno fatto a te. Vai subito dai tuoi figli. E io me ne vado. Mi ritrovo con quella borsa in mano forse per meno di un minuto". Ayala dunque ha raccontato di essere tornato a casa per tranquillizzare i suoi figli.
Proprio le tempistiche sulla sua presenza in via d'Amelio restano poco chiare. Giovedì, come al Borsellino quater, ha sostenuto di essere stato sul luogo della strage per pochi minuti. Eppure nel primo verbale del 1998 aveva dichiarato di essere stato presente per circa un'ora mentre nel verbale del settembre del 2005 aveva asserito di “essere rimasto in via d'Amelio per non più di 20 minuti”.
Alla domanda del procuratore Bertone che gli ha chiesto il motivo per cui non ha telefonato a casa per tranquillizzare i figli, Ayala ha replicato dicendo che non aveva telefono. Ma il procuratore capo di Caltanissetta ha incalzato evidenziando come vi siano immagini delle televisioni dove lo stesso Ayala è inquadrato mentre telefona. "Io vorrei vedere queste immagini. Faccio fatica a credere che ci siano" ha risposto il teste.
Anche l'avvocato Repici ha evidenziato delle anomalie rispetto a quell'azione in primo luogo perché, secondo quanto affermato dallo stesso ex pm, immediatamente dopo lo scoppio della bomba si sarebbe visto con la moglie che era appena uscita di casa ("Forse ci scambiammo uno sguardo"), poi perché il giornalista Cavallaro si sentì al telefono con la stessa donna ("Lei oggi dice che lui arrivò dicendole 'meno male che sei vivo'. Ma se ha già sentito sua moglie che sapeva che era vivo non è tanto normale che esordisca in quel modo" ha sottolineato il legale).
Rispetto alle precedenti dichiarazioni l'ex parlamentare del Pri è stato meno certo rispetto al dato se avesse visto o meno la borsa all'interno della macchina di Borsellino "Ci metto un forse davanti. Forse sì ma non ne sono sicuro" ha dichiarato giovedì. Diversamente al Borsellino quater, sentito il 14 maggio 2013 aveva dichiarato con più sicurezza: "tornai verso la macchina e notai lo sportello posteriore sinistro aperto. Appoggiata sui sedili, più verso il lato del guidatore, notammo la valigetta”. Mentre in un verbale precedente aveva indicato la presenza della borsa in un'altra posizione (“Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra”).
Quando l'avvocato Repici ha chiesto se sapesse se la borsa la prese dalla macchina o se la prese qualcuno per dargliela Ayala ha sbottato: "Confermo che quella borsa è arrivata nella mia mano, confermo che l'ho consegnata all'ufficiale dei Carabinieri, visto il momento non ricordo come è arrivata nella mia mano. Sarà una colpa gravissima di cui risponderò davanti a Dio. Se non me lo ricordo cosa vuole?".
Per chi è credente la giustizia di Dio non è qualcosa di astratto così come, per chi è laico, non lo è neanche la giustizia degli uomini, e Ayala avrà il suo bel da farsi per dare risposte che vadano oltre al "non ricordo" e le "versioni discordanti".
Il nervosismo del teste si è manifestato in tutto il corso della deposizione. "Non so quante volte sono stato sentito in questa vicenda. Avanzare dubbi con una forma ossessiva è una cosa che mi crea disagi" ha aggiunto Ayala riferendosi sia a Salvatore Borsellino che alla figlia del giudice, Fiammetta, più volte dicendo di non ricordare alcune circostanze perché sono passati 27 anni dai fatti.
Ayala ha anche preso le distanze rispetto a quanto dichiarato da un uomo della sua scorta, Farinella, che ai giudici disse che Ayala sapeva che in via d'Amelio abitava la madre di Borsellino. "E' del tutto inventato. O un cattivo ricordo, non voglio essere offensivo - ha detto giovedì il teste - Io non avevo idea che lì vi abitasse la madre di Paolo Borsellino. Che non lo sapevo è una certezza. Devo dire che di questo caposcorta, deve essere lui che ha detto della consegna della borsa ad un uomo in borghese, mi è venuta una curiosità. Bisognerebbe controllare se questa dichiarazione è stata fatta prima o dopo l'arrivo del filmato che ritrae un ufficiale dei Carabinieri (Arcangioli, ndr) che la porta via. Perché se è antecedente mi fa pensare ad una possibile copertura. Verifichiamo le date. Coperture di cosa? Mi dicono che c'erano uomini di servizi segreti. Felice Cavallaro, firma storica del Corriere della Sera, conferma la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri, non ad un uomo in borghese. Siamo due a uno calcisticamente parlando".
Dunque Ayala ha totalmente escluso di aver consegnato la borsa ad Arcangioli, affermando che le immagini in cui lo stesso è ritratto con la valigetta in mano sono sicuramente successive alla sua presenza in via d'Amelio. E rispetto all'accusa mossa in passato dal colonnello dei carabinieri che riferì della presenza dell'ex pm al momento della verifica del contenuto della borsa ha parlato di "terrapiattismo".

Le immagini di via d'Amelio
Altro momento di scontro c'è stato quando l'avvocato Repici ha ritenuto di mostrare alcune immagini della strage di via d'Amelio, acquisite agli atti, dopo aver fatto un lungo elenco di nomi di figure che sono state identificate nel luogo dell'attentato, tra cui il maggiore dei carabinieri Borghini, che era in divisa.
Una visione che Ayala, preventivamente e ingiustificatamente, vorrebbe evitare affermando di "escludere che dopo 27 anni posso riconoscere da una fotografia quelli che ho visto per pochi secondi in quel momento. E sono sicuro che anche lei non ci riuscirebbe. Quindi non perdiamo tempo”. Vedendo le immagini Ayala ha riconosciuto Mazzamuto, un collega magistrato con cui non aveva avuto alcun tipo di rapporto, e il Prefetto Iovine.
Diversamente non ha riconosciuto l'unico uomo in divisa dei Carabinieri, appunto Borghini, successore di Mori al Ros. "Non lo ricordo. Mori lascia Palermo nel 1990. E io nell'ultima parte della mia carriera a Palermo mi sono occupato di furti Enel, questo chi lo doveva vedere?". Ayala ha anche riconosciuto se stesso in un fotogramma ed è rimasto incredulo rispetto all'assenza di Cavallaro nelle immagini ribadendo, comunque, di essersene andato dal luogo del delitto dopo pochi minuti.

via d amelio dallalto 610

La testimonianza di Salvatore La Barbera
Il processo è proseguito con l'audizione di Salvatore La Barbera, ex membro della Squadra Mobile di Palermo ed oggi a capo del Compartimento di Polizia postale delle comunicazioni per la Lombardia con sede a Milano, che si occupò delle indagini sulla strage di via d'Amelio. In passato fu anche indagato per il depistaggio sulla strage, accusato direttamente dai due falsi pentiti Salvatore Candura e Francesco Andriotta che hanno dichiarato che lui era presente in diverse fasi della loro “falsa collaborazione”. La sua posizione fu archiviata assieme a Vincenzo Ricciardi e Mario Bo con quest'ultimo che oggi si trova imputato nel processo.
L'esame di La Barbera, al tempo giovanissimo funzionario di polizia che lavorava alla sezione omicidi, è durato circa un paio d'ore in cui ha risposto alle domande del procuratore capo Bertone a quelle del sostituto procuratore Stefano Luciani e delle parti civili.
"All'epoca delle stragi fui investito delle indagini su Capaci, solo in parte su quelle di via d'Amelio per quanto riguarda i telecomandi utilizzati - ha riferito al Tribunale - Il giorno della strage andai in via d'Amelio ma vidi che era presente il dottor Fassari, funzionario di turno quel giorno, così decisi di tornare in ufficio. Non avrei potuto fare qualcosa di diverso". Rispondendo alle domande del pm ha riferito di non aver mai saputo che Arnaldo La Barbera aveva dei rapporti con i servizi di informazione, né aveva mai saputo alcunché delle informative del Sisde in cui si rappresentava, nell'agosto '92, che la Polizia era già in grado di individuare il luogo in cui l'auto fosse stata ricoverata per essere imbottita di esplosivo.
"Non ho memoria di apporti informativi dei servizi - ha detto - Non credo, non mi viene in mente ma mi sentirei di escluderlo". E quando Luciani gli ha rivelato l'esistenza del documento ha aggiunto: "Io ho il ricordo che noi arrivammo ad avere elementi come il blocco motore che ci permise di individuare la 126 e la targa che portò alla carrozzeria. Dire però che si era individuato il luogo dell'imbottitura mi sembra un po’ un volo pindarico".
Certo è che tra le anomalie e le zone d’ombra di quelle prime indagini sulla strage vi è la singolare cronologia del sopralluogo eseguito dalla Polizia Scientifica di Palermo (“su richiesta della locale Squadra Mobile”), nella carrozzeria di Giuseppe Orofino alle ore 11 del lunedì 20 luglio 1992. Proprio in quella mattina, un paio d'ore prima, quest’ultimo aveva denunciato, il furto delle targhe (ed altro) da una Fiat 126 di una sua cliente, all’interno della sua autofficina. Ebbene, quando vennero compiuti quei rilievi ancora in via d'Amelio non erano stati rinvenuti né la targa oggetto della denuncia di Orofino (la stessa venne ritrovata soltanto il 22 luglio 1992), né il blocco motore della Fiat 126 rubata a Pietrina Valenti (rinvenuto verso le 13.00/13.30 di quel 20 luglio 1992).
Non solo. Il blocco motore fu attribuito ad una Fiat 126 solo nel pomeriggio del 20 luglio, quando un tecnico Fiat di Termini Imerese riuscì a certificare il dato.
Perché dunque vi fu quel sopralluogo nella carrozzeria di Orofino. La Barbera ha spiegato al Tribunale che "quella denuncia del furto della targa lasciò sospetti in quanto vi era stata una segnalazione del fatto che l'Orofino era stato visto salutare un pregiudicato tempo prima. Quindi la scientifica fu mandata sul posto a cristallizzare il fatto". Successivamente il teste ha persino aggiunto che "qualora vi fossero stati in quel giorno altri furti di targa lui stesso avrebbe ordinato il medesimo sopralluogo anche negli altri luoghi". Una circostanza sicuramente anomala così come anomalo è il dato che, già nel pomeriggio del 19 luglio 1992, fonti della Polizia di Stato ipotizzavano (con tanto di lancio di agenzia) l’utilizzo, come autobomba, proprio di una Fiat di piccole dimensioni e, in particolare, "una 600, una Panda, una 126".
Nel corso dell'esame, in cui ha spiegato il motivo per cui non entrò a far parte ufficialmente del gruppo Falcone e Borsellino ("Preferivo restare alla Mobile. Solo in alcun occasioni La Barbera mi chiese di accompagnare qualche magistrato per attività") non sono mancati i "non ricordo". Tra le attività a cui partecipò vi fu l'interrogatorio di Andriotta accompagnando la dottoressa Boccassini nel settembre 1993: "La Barbera diede la disposizione di andare e non è che mi potevo opporre. Ricordo che in quell'attività vi erano due magistrati, con la Boccassini c'era la dottoressa Zanetti. Non ricordo altre persone. La presenza di La Barbera a Milano? Non lo ricordo ma non lo posso escludere. Lo stesso non ricordo che vi fosse Ricciardi". Il test ha quindi negato di aver mai avuto interlocuzioni con Andriotta per introdurre Arnaldo La Barbera, come invece ha più volte sostenuto quest'ultimo ("Mi sembra inverosimile. Non facevo il cerimoniere").
Quindi ha dichiarato di non aver mai saputo di colloqui investigativi con Scarantino prima e dopo l'avvio della collaborazione di quest'ultimo e che solo per sommi capi ha saputo dei sopralluoghi effettuati da Scarantino a Palermo, senza poter indicare chi vi abbia partecipato.
Parlando di Scarantino La Barbera ha anche ricordato che da parte sua, vi furono dei dubbi sul fatto che "potesse aver preso parte alla strage, non vi erano perplessità per quanto riguarda il furto dell'auto. I soggetti erano compatibili. Di questo ne parlai con Ricciardi anche invitandolo a trasmettere quel pensiero a La Barbera. Tempo dopo ricordo che lo stesso La Barbera, quando sopraggiunsero altre evidenze mi disse qualcosa del tipo 'hai visto collega?'. Non era una frase di senso compiuto ma chiaramente era per dire che quelle perplessità erano ingiustificate". Inoltre il teste ha anche riferito che la prima volta che emerse il nome di Scarantino, secondo quanto gli riferì Ricciardi, "La Barbera sobbalzò sulla sedia come se gli avesse acceso una pista. So che Scarantino non era un soggetto sconosciuto agli archivi della Squadra mobile. Lui era alla Mobile da più tempo di me e magari era in grado di collegar il nominativo a qualcosa di rilevante. Ma prima delle dichiarazioni di Candura non vi fu nulla su Scarantino come possibile partecipe alla strage".
Infine il teste ha anche raccontato di aver visto la borsa di Borsellino nell'ufficio di La Barbera. Su come vi arrivò però, seppe qualcosa solo dalla relazione "postuma" di Maggi, che lui stesso consegna al pm Cardella. Il controesame proseguirà il prossimo 12 luglio quando sarà risentito anche Scarantino e l'ispettore Giovanni Guerrera.

Foto © Imagoeconomica

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