Secondo gli avvocati degli agenti del gruppo “Falcone Borsellino” i quattro erano “l’ultimo chiodo della ruota di un carro che muove qualcun altro”

Gli avvocati dei quattro poliziotti Vincenzo Maniscaldi, Giuseppe Di Gangi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, non hanno dubbi sull’innocenza dei loro assistiti. I quattro si sono presentati oggi davanti al gup del Tribunale di Caltanissetta, dove i quattro accusati di aver dichiarato il falso quando avevano testimoniato nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio che si era concluso, in secondo grado, con la prescrizione del reato di calunnia per gli ex colleghi del gruppo “Falcone Borsellino” Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. L’udienza di oggi era dedicata alle arringhe degli avvocati che hanno spiegato perché i poliziotti, tre di loro già in pensione, "non devono andare a processo", come chiesto, invece, dai pm nisseni. Per i quattro poliziotti è stato chiesto il "non luogo a procedere perché il fatto non sussiste", o "in subordine, la riqualificazione della condotta, in falsa testimonianza". A prendere la parola per prima è l'avvocata Maria Giambra, che difende Maurizio Zerilli e Angelo Tedesco. "Non possiamo parlare di depistaggio su vicende già 'depistate'. Il depistaggio si è verificato allora. E' come se volessimo resuscitare oggi un fatto che già si è verificato e si è consumato. E su quel fatto ci sono stati processi a rimedio", ribadisce nella piccola aula del Tribunale. "Se le false dichiarazioni che vengono addebitate agli imputati attengono ai fatti relativi alla strage di via d’Amelio e quindi a fatti che riguardano le indagini svolte e nei processi celebrati, come potrebbero oggi nel processo Bo depistare un processo e indagini che non solo sono state a loro tempo depistate, dalle quali sono derivati tre processi, che sono frutto del depistaggio e genesi di ulteriore depistaggio?", spiega la legale di Zerilli e Tedesco. "Nel momento in cui si sono celebrati quei processi - dice ancora l’avvocatessa - il falso quadro che era stato costruito in sede di indagini entra nel processo e si sostiene nei processi. Il depistaggio c'è stato nel momento in cui le indagini sono state indirizzate verso falsi elementi investigativi. Sulla base di quelle indagini si sono concentrati tre processi e il depistaggio ha portato alla condanna ingiusta di persone". Nel corso dell'udienza preliminare, il pm Bonaccorso aveva accusato i poliziotti, anche oggi tutti presenti in aulaa Caltanissetta, "di malafede, reticenze e false dichiarazioni". ''Agli imputati vengono contestate una serie di condotte che si concretizzano in false dichiarazioni e reticenze, secondo l'impostazione accusatorie mascherate da 'non ricordo'", ha detto il pm Maurizio Bonaccorso nel suo intervento, concluso con la richiesta di rinvio a giudizio. Occhi puntati sulla relazione di servizio, a firma di Zerilli, dopo alcuni sopralluoghi eseguiti con il falso pentito Vincenzo Scarantino. Documento ritrovato solo dopo 30 anni. "Se il rinvenimento di questi documenti può costituire, dal punto di vista del pm, una conferma al depistaggio, sulla posizione del poliziotto Maurizio Zerilli che refluenza può avere? Zerilli che consegna l'annotazione di servizio al proprio dirigente e poi il dirigente ritiene di non trasmetterla. E non ci interessa la ragione per la quale quella annotazione non fu trasmessa. Zerilli è l'ultimo chiodo di una ruota di un carro che muove qualcun altro", dice l’avvocatessa. "Maurizio Zerilli e Angelo Tedesco nel 1994 erano giovanissimi poliziotti, uno appena 20enne e uno 30enne. L'annotazione non è stata trovata in un ufficio, l'hanno trasmessa al dirigente. Cosa ha fatto Arnaldo La Barbera, l'allora dirigente, lo ribadisco, non lo conosciamo. Permettetemi di dire che sulla posizione di Zerilli, sono ininfluenti". L'annotazione d'indagine a cui si riferisce la legale dei due poliziotti è un documento di 30 anni fa ritrovato solo un anno fa dai magistrati di Caltanissetta nell'ambito dell'inchiesta sui 4 poliziotti. Il 28, 29 e 30 giugno 1994 i poliziotti del gruppo ''Falcone e Borsellino” che indagavano sulle stragi del '92, diretto dal questore Arnaldo La Barbera, fecero dei sopralluoghi con il falso pentito Vincenzo Scarantino. L'esito finì dentro una relazione datata 1 luglio 1994, di cui si è scoperto solo per caso l'esistenza di recente. Nessuno ne era a conoscenza perché non c'è mai stata traccia nei processi Borsellino. Un'annotazione anomala dato che si fa riferimento a luoghi inediti dopo tre decenni di indagini e processi. Dimenticata o nascosta?. Secondo la difesa, “Zerilli e Tedesco erano semplici agenti che rivestivano dei ruoli tali da non potere essere in alcun modo partecipi di finalità di questa portata". E conclude: "Noi sappiamo quello che succedeva tra Arnaldo La Barbera e Vincenzo Scarantino?". Quindi è stato il turno dell'avvocato Giuseppe Panepinto, legale dell'ispettore Vincenzo Maniscaldi. "E' documentalmente provato che quanto dichiarato dall'ispettore Vincenzo Maniscaldi è sempre stato vero", esordisce. "Non solo non c'è una ipotesi di condanna ma non doveva essere neppure formulato il capo di imputazione", aggiunge. "Non c'è alcuna falsa dichiarazione nell'annotazione", sostiene il legale. "Sulla base del dato documentale è evidente e provato che Maniscaldi non ha mai negato il vero, non ha mai dichiarato il falso - dice l'avvocato Panepinto - già oggi siamo nelle condizioni di dire che sarebbe ingiusto un processo per una posizione già documentata. Il pm avrebbe dovuto chiedere l'archiviazione per Maniscaldi perché le sue dichiarazioni avevano lo scopo di ricostruire la verità". "Sotto il profilo oggettivo - aggiunge - c'è la prova della veridicità delle dichiarazioni rese da Maniscaldi e la insussistenza di qualunque condotta ipotizzata dal pm". Poco prima il legale ha sottolineato che "se depistaggio c'è stato è stato quello di Vincenzo Scarantino", il falso pentito che con le sue dichiarazioni ha fatto condannare degli innocenti. Spiega anche che, "come detto dalla Dia" Maniscaldi "era la memoria storica del Gruppo Falcone e Borsellino”. L'ultimo a prendere la parola è l'avvocato Giuseppe Seminara, che difende l'ispettore Giuseppe Di Gangi. Che esordisce definendo Di Gangi “servitore dello Stato che per 40 anni, da agente fino a diventare Sovrintendente capo, continua la progressione della carriera proporzionata, all'interno di una vicenda che ha riguardato non solo gli appartenenti alle forze di Polizia ma anche la magistratura. Di Gangi ha ricevuto encomi, ha partecipato all'arresto di latitanti, ha svolto con onore il suo servizio per 40 anni, è esente di qualunque pregiudizio penale. Dal 2014 al 2019 si è trovato terminata con una richiesta di archiviazione. E' stato sottoposto a indagine per gli stessi fatti che sono oggetto della presente imputazione, per le questioni relative a San Bartolomeo al Mare. Di Gangi ha avuto una archiviazione perché il fatto non sussiste, una opzione liberatoria". In aula, al processo a Mario Bo e altri due poliziotti, Di Gangi parlò, in un’udienza piena di “non ricordo”, di un episodio avvenuto a San Bartolomeo al mare, dove si trovava il falso pentito Vincenzo Scarantino, il picciotto della Guadagna. "Il giorno prima della ritrattazione Scarantino aveva detto al personale dell'ufficio di Imperia che voleva parlare con loro urgentemente. Scarantino disse al dottore Bo che voleva tornare in carcere perché non voleva più collaborare. Ho assistito alla discussione tra Scarantino e il dottore Bo. Abbiamo dovuto ammanettarlo a casa perché Scarantino si stava avventando contro il funzionario. Davanti alla moglie e ai bambini. Non feci alcuna relazione di servizio''. Poi spiega: "Il Sovrintendente di Polizia Giuseppe Di Gangi non ha mai puntato la pistola in faccia a Vincenzo Scarantino". Il falso pentito Scarantino, davanti ai pm, al processo agli altri 3 poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, aveva detto: "Nella località protetta di San Bartolomeo a Mare quel poliziotto (Di Gangi, ndr) mi ha afferrato per il collo e mi ha puntato la pistola in bocca. Davanti a mia moglie e ai miei figli". Tesi sempre smentita da Di Gangi. L'udienza è stata rinviata al 15 novembre. In quell’occasione il gup David Salvucci dovrà decidere se rinviare a processo o meno gli ex poliziotti.

Fonte: AdnKronos

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