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L'avvocato Enrico Tignini, nel corso dell'udienza di oggi al processo Capaci bis che si avvia a sentenza, ha chiesto alla Corte d'Assise di Caltanissetta l'assoluzione di Giorgio Pizzo, imputato nel dibattimento. Pizzo è accusato di avere partecipato alla fase di preparazione dell'esplosivo adoperato da Cosa nostra per uccidere in quel 23 maggio '92 il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Nel processo (che ha preso impulso dalle dichiarazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina) oltre a Pizzo ad essere imputati sono Salvo Madonia, Vittorio Tutino, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello.
Il legale difensore ha evidenziato la presenza di diverse lacune nella ricostruzione accusatoria, con particolare riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori Spatuzza e Cosimo D'Amato. “Spatuzza - ha dichiarato l'avvocato - dice che l'esplosivo era stato ridotto in polvere a colpi di mazzuolo e quindi con un oggetto in metallo. I periti che abbiamo ascoltato nel processo ci hanno detto che è una procedura rischiosissima, perché si rischia di rendere l'esplosivo instabile o di causare scintille”.
“Grazie a Spatuzza e all'esame del traffico telefonico delle sue utenze - aveva invece sottolineato il pm Onelio Dodero durante la requisitoria - abbiamo individuato la cronologia per i conferimenti della sostanza esplosiva e, soprattutto, abbiamo dissolto il velo d'ombra che ha avvolto per oltre vent'anni alcuni personaggi del mandamento mafioso di Brancaccio o ad esso vicini come Cosimo D'Amato”. Proprio Spatuzza, che si era autoaccusato di avere avuto un ruolo nella strage di via d'Amelio, aveva rivelato ai magistrati di Caltanissetta di avere reperito anche l'esplosivo utilizzato per compiere l'attentato di Capaci. “Ci recammo a Porticello - aveva raccontato - dove trovammo un certo Cosimo (D'Amato, ndr) di circa 30 anni ed assieme a lui andammo su un peschereccio attraccato al molo da dove recuperammo dei cilindri dalle dimensioni di 50 centimetri per un metro legati con delle funi sulle paratie della barca. Successivamente constatai che al loro interno vi erano delle bombe”.
Inoltre, ha continuato Tignini, “D'Amato non offre alcun riscontro, il suo racconto è pieno di contraddizioni e non fa mai chiarezza quando parla dei soggetti presenti alle fasi di recupero dell'esplosivo o dei mezzi utilizzati per trasportarlo a Palermo”. “La scelta di collaborare con la giustizia di Cosimo D’Amato - aveva sottolineato dal canto suo Dodero - scrive la parola ‘fine’ essendo il principale riscontro al narrato di Spatuzza e alle intuizioni dei consulenti tecnici”. Nel corso dell'udienza il pescatore di Porticello che fornì il tritolo per l'attentato a Falcone aveva descritto le varie fasi di recupero dell'esplosivo. Il collaboratore infatti, aveva spiegato ancora Dodero, aveva ricoperto “un ruolo fondamentale per il compimento non solo della strage di Capaci, ma di tutto il piano mafioso stragista del ’92, ‘93 e ’94” in quanto “fornì l’esplosivo al mandamento di Brancaccio”.

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