di Miriam Cuccu
Oggi chiesti cinque ergastoli. Lia Sava: “Ci sarà un processo ter”
Non finiscono qui le indagini sulla strage di Capaci. L'ha ribadito più volte Lia Sava, procuratore facente funzioni di Caltanissetta, tirando le fila del processo bis sull'uccisione di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. “Lo stato dell'arte che noi oggi rappresentiamo – ha detto il magistrato – non esclude che nuovi elementi di prova possano emergere. La procura non ha smesso e non smetterà di cercare verità sulle stragi. Siamo consapevoli che possono esserci comparti sui quali sviluppare altre indagini” come quello “sui mandanti esterni. Gli spazi sulle cointeressenze di chi poteva avere interessi coincidenti con Cosa nostra possono ancora essere sviluppati” e magari “che si aprano ulteriori maglie collaborative in persone di Cosa nostra. E perché no – ha aggiunto – anche di estranei a Cosa nostra”. Per questi aspetti ancora tutti da esaurire, ha annuciato, “potrebbe esserci un Capaci ter”. Anche sull'ipotetico ruolo del misterioso 007 dal volto deformato, conosciuto come “faccia da mostro” e presunto intermediario tra Cosa nostra e 'Ndrangheta per recuperare l'esplosivo, “la ricerca di ulteriori tasselli per ricostruire il quadro di Capaci con riferimento a questi aspetti continua”. Sava ha quindi indicato i temi da approfondire nel terzo processo: i mandanti esterni a Cosa nostra, i moventi plurimi delle stragi del '92 e '93, le cointeressenze. Nel nuovo procedimento confluiranno inoltre le posizioni del boss latitante Matteo Messina Denaro e di altri tre indagati tirati in ballo da Cosimo D'Amato, pescatore di Porticello e ultimo collaboratore ad aver parlato che ha rivelato come l'esplosivo estratto dalle bombe ripescate in mare sia finito alla cosca di Brancaccio per essere utilizzato nella strage di Capaci.
La pista dei soggetti estranei alle famiglie mafiose che vollero e in qualche modo presero parte alla deliberazione dell'attentato a Falcone sarebbe dunque tutt'altro che chiarita. Una questione che però, ha specificato Sava, “nulla toglie e nulla aggiunge a questo processo e alle posizioni degli odierni imputati”. Oggi infatti la pubblica accusa ha chiesto la condanna dei mafiosi Vittorio Tutino, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello, insieme al boss di Resuttana “Salvino” Madonia, l'unico ad avere anche l'aggravante di essere tra i mandanti, per aver partecipato alla famosa riunione di Cosa nostra del dicembre '91 in cui Riina diede il via libera alla strategia stragista.
Le novità di questo processo sui cinque imputati, ha spiegato Sava, devono molto “alle dichiarazioni dei pentiti Spatuzza, Tranchina e D'Amato”, oltre che di pregresse sentenze come quella di Firenze sulle stragi del '93. Le dichiarazioni di D'Amato, ha precisato il magistrato, “hanno costituito un tassello importante” per la richiesta delle condanne odierne.
“L'unitarietà del disegno stragista – ha aggiunto Sava – prova che l'eliminazione del dottore Falcone si inserì in un progetto unitario in cui Cosa nostra passò all'attacco delle istituzioni, a Capaci, via d'Amelio e nelle stragi del '93”. E questo “ha dimostrato che la famiglia mafiosa di Brancaccio (le cui responsabilità erano già state accertate per le stragi del '93, ndr) fu protagonista di questo disegno”. “La ricostruzione di come si arrivò alla stagione delle stragi, dalla guerra di mafia al rafforzamento della legislazione antimafia fino al maxiprocesso – ha continuato il procuratore facente funzioni – si combina in maniera logica con le dichiarazioni di Spatuzza”. In più a questo si aggiungono “i colloqui tra Riina e Lorusso in carcere nel 2013” quando il boss corleonese “rivendica l'attentato e l'esplosivo assumendosene in prima persona la responsabilità”.
Oggi il pubblico ministero Stefano Luciani ha poi concluso la descrizione della posizione degli imputati con Lorenzo Tinnirello: “Numerosi collaboratori escussi, da Pasquale Drago, a Gaspare Mutolo a Giovanni Brusca hanno parlato di lui”, alcuni indicando “omicidi ai quali avevano partecipato con Tinnirello. Questo per dire che quando Spatuzza lo chiama in causa come uno dei soggetti coinvolti nell'esecuzione della strage è altamente credibile, era già era emerso che Tinnirello fosse persona di vertice nel mandamento di Brancaccio e nella famiglia di Corso dei Mille, appartenente al gruppo di fuoco di Ciaculli e di Brancaccio” e addirittura “responsabile di alcuni omicidi fatti con il boss Giuseppe Graviano”. “È ragionevole ritenere – ha aggiunto Luciani – che quando Graviano deve individuare delle persone per dirigere le operazioni dell'attentato del 23 maggio '92 si sia rivolto a coloro dei quali aveva già sperimentato l'affidabilità”. D'altronde sia Graviano che Fifetto Cannella che Tinnirello sono presenti anche a Roma fino a febbraio '92 per la cosiddetta “missione romana”, quando a suo tempo Riina aveva ordinato di recarsi nella capitale per uccidere Falcone, salvo poi cambiare strategia. “La missione romana e la strage di Capaci – ha affermato il pm – sono momenti di un unico progetto per uccidere Falcone” in quanto si tratta “di azioni in sequenza tra loro” e “i soggetti coinvolti sono sempre gli stessi”.
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